La musica dei teenagers: le tendenze attuali dei giovani

di InsideMusic
Che tipo di musica ascolteremo tra dieci anni? Di quali artisti ci troveremo a parlare? E quali, invece, ci limiteremo a ricordare? Sono domande buone per gli addetti ai lavori: critici musicali, giornalisti, discografici. Non per il semplice ascoltatore. La musica è sfogo, intrattenimento, riflessione. Vive dell’oggi e non si preoccupa del domani.

Eppure è innegabile che le tendenze cambino, a volte a ritmi vertiginosamente accelerati. Uno sguardo attento alla scena musicale attuale può aiutare a capire dove andiamo. Ma da che parte rifarsi? Il pubblico, si sa, varia a seconda di tanti fattori: l’età, la provenienza geografica, il grado d’istruzione. Uomini e donne possono avere interessi diversi, come diversi sono gli ascolti che si fanno a 25 o a 70 anni.

Ma c’è una categoria di pubblico privilegiata per chi intende giocare al chiromante con la musica. I giovani. Detta così, si rischia di non cavare un ragno dal buco, visto che ormai la soglia della giovinezza sembra essersi dilatata a tal punto da superare abbondantemente i trent’anni. Hai 32 anni e sei ancora scapolo? Tranquillo, sei ancora giovane!

Quindi occorre delimitare un po’ il campo. Per giovani intendiamo quelli che un tempo venivano chiamati teenagers ed oggi vengono definiti adolescenti. La fascia che va dai 13 ai 19 anni, per essere chiari. Perché proprio a loro deve andare un particolare interesse? Perché è in quell’età che si forma il gusto musicale, è in quell’età che si sedimentano generi, autori, che torneranno a dirci qualcosa per il resto della vita.

Chiedete a chi aveva 15 anni all’inizio degli anni ‘60, vi risponderà che i suoi idoli si chiamavano Gianni Morandi, Adriano Celentano, Mina. E chi aveva la stessa età negli anni ‘70? Be’, vi potrebbe rispondere, sempre a seconda del gusto individuale, che sul suo giradischi non poteva mancare un Battisti, un Vecchioni o un Baglioni. E il gioco potrebbe durare all’infinito.

I nostri adolescenti sono quelli nati con il nuovo millennio. Ragazzi e ragazze che frequentano le discoteche, come a suo tempo avevano fatto i loro genitori, ma che a differenza degli adulti hanno gusti musicali assai diversi.

Diverso è anche il tipo di fruizione della musica. Se fino a vent’anni fa per ascoltare i brani preferiti si doveva far ricorso a uno stereo, musicassette, cd, oggi si è dematerializzato ogni supporto e la musica la si ascolta soltanto in formato digitale. Non solo. Alcuni adolescenti sembrano essere intolleranti all’uso di cuffiette; per loro ascoltare musica vuol dire diffondere la voce dei propri cantanti ad alto volume, attraverso i propri smartphone, che nei casi più radicali, vengono amplificati dalle potenti casse a bluetooth. Allora il vagone di un treno può diventare un’autentica sala da ballo.

Più che il “come” o il “dove”, interessante sarebbe sapere “cosa” ascoltano gli adolescenti. Da insegnante ho cercato di capirlo attraverso un’attività in classe svolta in una scuola superiore della provincia di Pistoia. Al campione, formato da una quarantina di studenti di 16 anni, è stato chiesto di tenere una lezione sul cantante preferito. Due le limitazioni: il prescelto doveva cantare in italiano ed essere autore, almeno in parte, per la musica o per il testo, dei propri pezzi.

L’indagine si proponeva di sondare la popolarità della musica italiana tra i più giovani. Negli anni, infatti, ho avuto modo di constatare come ad andare per la maggiore sia la musica in lingua inglese, seguita dai tormentoni spagnoleggianti e, nel caso di ragazzi di diversa nazionalità, i cantanti del loro paese.

Quanto emerso, non è un risultato scontato. I giovani d’oggi sono imbevuti di cultura hip hop e il loro genere musicale si conferma il rap, insieme alla variante, da alcuni bistrattata, del trap. Tra gli autori, i più seguiti sono Jovanotti, Caparezza, Mr. Rain, Izi, Rocco Hunt, Tedua, Emis Killa, Cranio Randagio (venuto a mancare nel 2016), MadMan e Anastasio.

Tra i gruppi vanno per la maggiore i Maneskin, i TheGiornalisti e, per i nostalgici degli anni ‘90, gli 883. Poi ci sono loro, gli innovatori del rock, Vasco Rossi e Ligabue, che, per quanto lontani anagraficamente da questi ragazzi, continuano a esprimersi, a quanto pare, in un linguaggio attuale.

Infine stupirà trovare alcuni cantautori che, ad eccezione del più recente Samuele Bersani, si fecero spazio tra gli anni ‘60 e gli anni ‘70. Tra questi i più conosciuti sono Francesco Guccini, Fabrizio De André, Lucio Dalla e Claudio Baglioni. Per arrivare poi a uno degli uomini di punta degli anni ‘50, Renato Carosone, la cui presenza in questa folta compagine meraviglia più che mai, visto che, agli occhi della maggior parte dei ragazzi, dovrebbe sembrare quasi la preistoria della canzone italiana.

Giusto un appunto. Il campione coinvolto era formato da soli maschi, in quanto iscritti a indirizzi di norma disertati dalle femmine. Probabilmente lo si può notare dalla particolare insistenza del genere rap, mentre, nel caso di una componente più eterogenea, ci saremmo potuti aspettare una più ampia rappresentanza di autori pop.

Mancano all’appello alcuni rapper fino a poco tempo fa estremamente popolari: Fabri Fibra, Fedez, Ghali, giusto per citarne alcuni. Il fatto che a questi si aggiunga uno sparuto seguito di cantautori può sorprendere, ma, a ben vedere, neppure più di tanto. Come fanno a conoscere Dalla, De André, Guccini e Carosone? Se togliamo Baglioni, di recente tornato alla ribalta attraverso il festival di Sanremo e, per questo più familiare agli occhi degli adolescenti, gli altri non dovrebbero essere così noti, almeno in considerazione del nostro pubblico.

Le risposte sono due, entrambe con qualcosa di poetico. Forse i ragazzi riescono ancora a riconoscere i cantautori del passato perché la loro musica è diventata patrimonio comune ed è entrata a far parte del bagaglio culturale dei giovani. O forse perché in famiglia continuano ad esserci degli eterni adolescenti che non sanno proprio rinunciare a certi miti. In ogni caso ci troviamo di fronte a una grande verità: i gusti cambiano, la musica si trasforma e noi abbiamo sempre più bisogno di lei per esprimere quello che siamo.

di Massimo Vitulano

PH in copertina: Domenico Cippitelli

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