Soen all’Orion (Roma) – Grazia e malinconia dai meandri dell’animo umano [Live Report]

di InsideMusic

Giunti ormai al quarto album, i Soen si sono affermati come uno dei gruppi più interessanti e influenti nel Metal contemporaneo. Sono spesso associati a band come Tool Opeth, di cui riprendono il sound e le atmosfere con originalità ed esperienza. Loro ci proiettano in un viaggio nel profondo dell’animo umano, nel tentativo di svelare paure inconsce e di imparare ad affrontarle. Un percorso lungo, forse infinito. Il tutto reso attraverso una musica cupa, ipnotica, dai vaghi tratti tribali e, soprattutto, molto diretta. E’ questo che ha sempre affascinato dei Soen: non c’è alcuna pretesa di strafare, solo la volontà di arrivare dritti al cuore dell’ascoltatore.

SoenEbbene, la band, dal vivo all’Orion di Ciampino (Roma) la sera del 5 Aprile, non perde nemmeno un briciolo di questo fascino cupo e ammaliante. Due ore di estasi assoluta, ascoltando e vivendo buona parte dei brani dell’ultimo album Lotus, nonché i grandi pezzi dei dischi precedenti. Un concerto dove ogni membro dà il perfetto contributo, senza protagonismi inutili. Non una nota fuori posto, non un assolo di troppo. A partire dal magico Joel Ekelof: il singer svedese è un perfetto intrattenitore, che ci porta per mano, senza scosse, senza strattoni, in un mondo misterioso. Il tutto con uno sguardo innocente e un sorriso timido, come se fosse anche lui incerto su cosa il futuro potrà rivelare. Passeggiando lentamente lungo il palco, qualche chiacchiera, qualche battuta e qualche complimento alla “bella Roma”, Joel crea subito un legame inscindibile con il pubblico.

Alla sua destra e alla sua sinistra il chitarrista Marcus Jidell e il bassista Stefan Stendberg. Buona parte del fascino del sound dei Soen deriva da questi due musicisti. La chitarra di Marcus ci fa viaggiare tra mille mondi, contribuendo a creare costanti dicotomie tra l’universo onirico e quello cosciente. La poesia dei suoi assoli, che ricordano non poco i maestri assoluti Pink Floyd, ci avvicina alle stelle più lontane, cullandoci dolcemente, aiutandoci ad affrontare le nostre paure. La potenza dei suoi riff ci riporta su una Terra crudele, fatta di difficoltà, dove non si può tergiversare, ma solo resistere fino allo stremo. Colpisce sempre duro invece il basso di Stefan. Le sue corde sfornano ritmi perfetti, graffianti, ipnotici. Una congiunzione impeccabile con il collega ritmico alla batteria, Martin, recuperando buona parte dell’eredità dei Tool: l’influenza di Justin Chancellor è infatti sempre presente.

SoenA destreggiarsi tra chitarra, tastiere, cori e percussioni c’è Lars Ahlund. Il polistrumentista riempie ogni punto del repertorio dei Soen, creando il perfetto pulviscolo atmosferico delle loro sonorità. Morbidi synth, pesanti organi, rabbiosi riff o magiche ritmiche, a seconda dell’occorrenza, lui c’è sempre, dando un contributo di cui la band non può assolutamente fare a meno. Ma a reggere tutta l’architettura del gruppo c’è l’encomiabile Martin Lopez alla batteria. Con il suo set ibrido con tom, timpani e percussioni etniche, il suo lavoro ritmico è essenziale per proiettarci in questo mondo primordiale e psicologico. Una riscoperta dell’uomo che attraverso il subconscio ritorna fino agli albori dell’umanità, verso una primitività carica di verità sepolte da millenni di progresso e di caos.

Ad aprire questa magica serata ci pensano gli anglo-finnici Wheel e i danesi Ghost Iris. Mentre i secondi suonano un Deathcore rabbioso e dalle ritmiche accattivanti, seppure un po’ fuori contesto, i primi ci offrono un Progressive cupo da tenere assolutamente sotto osservazione. Immancabili i Tool tra gli ispiratori della loro musica. Ma i Wheel raccolgono anche la lezione di una band mai banale come i Mastodon. Il risultato è un perfetto ibrido delle due band, miscelando sonorità primordiali, tribali e trascinanti con affondi nello sludge più moderno. Una band più che azzeccata per introdurre i Soen e che sicuramente sentiremo ancora nominare.

0

Potrebbe interessarti