Intervista a Murubutu, il rapper poeta di Tenebra è la Notte

di InsideMusic

Murubutu: un nome che è già un’allitterazione. Alessio Mariani, classe ’75, emiliano, è un artista sui generis. Fin dai lontani anni ’90 ha coltivato sua passione per la musica, che ha raggiunto il suo climax con la fondazione della sua posse, La Kattiveria, nel ’91. Poi, da lì la carriera solista: Il Giovane Mariani ed altri Racconti, del 2009, dedicato al figlio; La Bellissima Giulietta ed il suo Povero Padre Grafomane, dedicato, stavolta, alla figlia nel glorioso 2011; Gli Ammutinati del Bouncing, ovvero mirabolanti avventure di uomini e mari, del 2014, ed infine L’uomo che viaggiava nel vento e altri racconti di brezze e correnti del 2016. Album che, apparentemente, non hanno legame fra loro, e potrebbero apparire quasi pretestuosi nelle citazioni letterarie che permeano i versi: eppure non è così. Non c’è arroganza nella musica di Murubutu: nella descrizione dell’umana sofferenza non può esservene. E piccole storie d’umanità sono narrata su uno sfondo di vento, di acqua, e, nel suo ultimo lavoro, Tenebra è la Notte, ed altri racconti di buio e crepuscoli, su un nero tappeto di stelle. Vi abbiamo già raccontato qui il nuovo album di Murubutu.

murubutu intervista tenebra è la notte

Abbiamo raggiunto Murubutu al telefono, per un’intensa chiacchierata in vista della prossima pubblicazione di Tenebra è la Notte per Glory Hole Records // Mandibola Records.

Tenera è la notte è un romanzo di Fitzgerald: ma tratta di un amore malato, disfunzionale, al contrario di come invece tu fai nel tuo album, Tenebra è la notte. Perché allora hai scelto questo titolo?

Il titolo rimanda alla centralità della notte come denominatore fra i brani e alla forte ispirazioni letteraria che innerva tutto l’album, ma non vuole essere un riferimento specifico a Fitzgerald.. Qualcuno ha detto che questo titolo poteva essere un riferimento a Viaggio al termine della notte di Celine, in realtà la mia ispirazione è molto più vasta, non riesco a vincolarmi ad una sola opera.

Le stelle, altro campo semantico che utilizzo: le Pleiadi, Sirio,Orione, le Perseidi, la Chioma di Berenice, Cassiopea, le stelle cadenti di San Lorenzo. Nel tuo album sono silenziose osservatrici delle storie umane racconti, piccolissime rispetto a loro. Non intervengono mai. Non c’è un deus ex machina. Non è una visione un po’ nichilista? L’hai fatto volontariamente o descrivi solo la realtà?

Io sono un paesaggista del rap, dipingo degli scenari in cui ambiento delle trame. I temi dei miei album – notte, vento e mare – in realtà fanno soprattutto da sfondo al vero unico denominatore dei miei testi: la sofferenza umana.

Buio, la prima canzone dell’album. Per impianto scenico, atmosfere, focus sulla Sentinella silenziosa in guerra, ricorda la storia di Shomèr ma mi-llailah, brano di Francesco Guccini che, tradotto, significa “A che punto è la notte?” Eppure, quella era una citazione biblica, mentre in Buio si parla di un cecchino, anzi, tutti i cecchini del mondo. Possiamo dire che hai attualizzato, in modo provocatorio, il racconto biblico?

In realtà Buio è ispirata al romanzo di Rigoni Stern, Il Sergente nella Neve, alla Ritirata di Russia del 1943: ci sono dei passaggi che fanno esplicito riferimento al romanzo. E’una scrittura che comunica freddo e oscurità in cui ho sviluppato tematiche come la paura, la speranza, il ritorno, lo stigma che colpisce lo sconfitto.

Come ti è nata questa passione, il cercare di trasmettere la cultura tramite il rap, la musica? Perché sei un professore?

Beh sì, sicuramente per deformazione professionale. Per me, provare a veicolare concetti è una passione, soprattutto se posso farlo in modo artistico.

Utilizzi un linguaggio estremamente elevato, sia in figure retoriche che in lessico, e come te Rancore, Mezzosangue, e pochi altri della scena rap. Non hai, però, paura di non essere capito? Oppure ti riferisci ad una nicchia di pubblico?

Io cerco in qualche modo di arricchire le persone che mi ascoltano. Se usassi slang, vocabolario limitato e contenuti superficiali non ci sarebbe l’arricchimento che voglio generare in chi mi ascolta. Cerco di essere comprensibile ma complesso allo stesso tempo, come vuole essere la divulgazione scientifica, ad esempio: la materia viene spiegata in modo comprensibile però all’ascoltatore è richiesto uno sforzo di attenzione e ricerca per potere comprendere.

Riguardo il tema del ritorno a casa, il singolo, La notte di san Lorenzo. In “Nuovo cinema paradiso” si dice che per “ritrovare tutto, tutto uguale, si deve mancare per tanto, tantissimo tempo”. In La notte di san Lorenzo c’è una donna che è turista fra i suoi stessi ricordi, come un pellegrino. C’è una componente autobiografica?

Non direttamente. Mi è capitato di visitare paesini arroccati simili a quello descritto, dove è palpabile il fatto che negli anni non cambi nulla, ma che sia tutto perfetto già così. Il concetto che ho tentato di veicolare è quello di una “vita dopo la morte” laica. Il fatto che le persone continuino ad esistere, aleggino sui loro luoghi, se ne percepisca la presenza anche dopo la morte, senza coinvolgere un aldilà.

Ed è ciò che sostieni con La vita dopo la notte?

Il concetto è lo stesso: una tale intensità emotiva durata una vita può sopravvivere alla fine della materia?

Ecco, sia La vita Dopo la Notte che Franz e Milena (brano su Kafka e Milena Jesenskà, morta in un campo di concentramento nel 1944), trattano di amore romantico. Ma Murubutu, o Alessio, quanto ci crede nell’amore uomo-donna, uomo-uomo, o donna-donna? Lo vedi come un ideale o come qualcosa di concretamente raggiungibile?

Io penso sia raggiungibile. Penso che l’amore sia qualcosa che vada nutrito costantemente, ondivago, imprevedibile, pulsante come un essere vivente che nasce dalla concertazione continua dei sentimenti. Platone ne dà una definizione bellissima ne Il Simposio: ogni amore è fragile e tenace.

murubutu intervista

Non sei affatto nichilista come ti dipingevo.

Mai stato nichilista, tutt’altro!

L’Uomo senza Sonno, film di Brad Anderson, e tuo brano con Mezzosangue [qui la recensione di Three Roots Crown]. Ti sei ispirato al film?

Sì, ma le mie ispirazioni difficilmente sono didascaliche. Non è mai una riproduzione pedissequa della fonte: solitamente prendo una suggestione, la costola di una trama, e ne sviluppo una mia. Questo avviene per esempio ne L’uomo senza sonno che peraltro è un brano con un forte lato autobiografico: ho un piccolo disturbo del sonno, dormo poco. I pensieri di notte sono più voluminosi, mi sono dovuto confrontare spesso con me stesso, di notte, a volte è stato doloroso.

Anche in Occhiali da Luna…

Quella è una lettura più positiva dell’insonnia, quella ispirazione artistica che nella notte trova terreno più fertile e lascia fluire la fantasia.

La Notti Bianche, uno dei più noti romanzi (brevi) di Dostoevskij. Il monologo del protagonista illuso dall’amata è uno dei più strazianti della letteratura, perché realistico e concreto. Perché hai scelto di ispirarti alle Notti Bianche, piuttosto che all’amore romantico ed irraggiungibile de Il Giovane Werther?

Perché quello che conta per me è l’ambientazione, se riesco a edificare con le parole un contesto abitabile dall’ascoltatore sono soddisfatto. Mi piacciono i romanzieri russi e il modo in cui riescono a far parlare le città. Per il resto la trama è completamente diversa.

Il tuo album si apre e si chiude con la notte: Nyx. Perché non hai scelto di far nascere l’alba?

L’album si apre con la notte ma nell’ultimo brano (Tenebra è la notte) la protagonista trova la salvezza grazie all’alba: la conclusione è più che positiva. Spesso mi criticano per il pessimismo dei miei testi, in questo caso ho voluto concludere con un messaggio di speranza, un viaggio pieno di paure e inquietudini che termina con il trionfo dell’alba. Alla fine io sono un ottimista anche se non sembrerebbe.

Un’ultima domanda sul tuo album. Omega man, penultima traccia di Tenebra è la notte. Siamo in un periodo di grandi sconvolgimenti, climatici, politici: le calotte polari si sciolgono e la Corea arricchisce l’Uranio. Il futuro espresso in Omega man appare ineluttabile. Murubutu, o Alessio, possono proporre una soluzione a questa Apocalisse o solo una speranza?

Se parli di apocalisse climatica, Omega Man si ispira ad una distopia, è fantascienza! Il problema c’è, ovviamente, ma non per forza deve degenerare in questi termini. Occorre essere lucidi: il catastrofismo apocalittico rischia di non renderci consapevoli del problema reale.

La presa di coscienza, per i problemi ecologici, è, secondo me, strettamente necessaria da parte delle masse.

Su questo sono pessimista. Soprattutto con l’avvento del negazionismo e del concetto di post verità, inaugurato in parte anche dalle osservazioni climatiche negli Stati Uniti. È il relativismo funzionale non più solo etico ma anche gnoseologico che mi preoccupa molto.

Una domanda un po’ più tecnica. Qual è la genesi delle basi? Hai collaborato con produttori quali Il tenente, Dj West, XxX -Fila, Swelto, Dj Fastcut, SuperApe, R-Most. Come funziona? Ti vengono proposte delle  basi oppure tu ci lavori a stretto contatto e decidete topic del brano e base adatta?

Col mio produttore prevalente, Il Tenente, che nel caso del precedente album era stato XxX-Fila, collaboro strettamente poiché sottopongo loro campioni, c’è una valutazione comune del materiale da portare avanti e sul quale lavorare. Nel caso di collaborazioni più saltuarie, ascolto moltissime proposte e poi scelgo.

Qual è, a questo punto, il tuo genere musicale preferito e cosa senti maggiormente in questo periodo?

In questo periodo sto ascoltando molto l’ultimo album di Apollo Brown con Ortiz. Ascolto soprattutto hip hop e dance hall. Ora mi piace molto rilassarmi con il pianismo minimale e la musica di Yann Tiersen.

Non l’avrei mai detto. Mi aspettavo più, non so, hard rock anni ’70.

Guarda, negli anni ho ascoltato così tanto metal da esserne saturo.

Ma dimmi un po’, una questione organizzativa. Come riesci a destreggiarti fra il tuo lavoro [Murubutu è professore di storia e filosofia in un liceo, n.d.R] e i concerti? Non arrivi sfinito a fine anno?

In realtà no. Mi organizzo bene, faccio uno, massimo due concerti a settimana e non sono mai troppo pieno. Avendo anche un lavoro normale, una famiglia, tanti impegni di routine, per me andare a fare un concerto è una gioia. È un momento di grande divertimento ed un grandioso antistress.

Volevo infine chiederti della tua posse, La Kattiveria. Avete altri progetti in ballo?

Nella traccia Omega Man c’è La Kattiveria al completo. Per tradizione, in ogni mio album, c’è un brano in cui ci sono tutti i componenti del gruppo. Anche se non facciamo più molto a livello artistico insieme, rimaniamo un affiatato gruppo di amici. C’è una fortissima componente umana. Gli altri soci de La Kattiveria ci saranno al completo nelle prime due date del tour, e poi mi seguiranno solo U.G.O. e Dj T-Robb.

A Roma suoni il primo marzo, vero, al Monk?

Sì!

Cercherò di esserci. Un’ultima domanda. Qui, in Italia, a partire dalla storia di Baglioni che si è espresso sui migranti, si parla tanto di “separazione di poteri”: il musicista deve fare il musicista, l’arte non si deve occupare della politica, eppure tu hai iniziato la tua carriera occupandoti di political hip hop. Tu cosa ne pensi?

Perché un artista non dovrebbe occuparsi di politica? In base a quale ragionamento? L’arte è politica nella misura in cui lo è tutta la vita. È giusto che un artista si esponga e dica ciò che pensa, lo metta nelle sue espressioni artistiche.

Ti ringrazio, sei stato gentilissimo!

Ti ringrazio per la disponibilità. Ciao!

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