Intervista a Vasco Barbieri: “Ogni mattina è come se ricominciassi da capo”

di Adriana Santovito

Vasco Barbieri, compositore e filosofo, è un artista con alle spalle una storia molto particolare. Nato il 6 agosto del 1985, afferma di essere venuto al mondo una seconda volta: il 30 aprile 1993, dopo un coma che in qualche modo l’ha costretto a ricominciare.

Il 15 maggio è uscita la sua Love Remains (L’amore resta).  A questo proposito (ma non solo) abbiamo fatto un’interessantissima chiacchierata con lui.

Love Remains è il racconto di emozioni vissute che diventano tatuaggi sulla pelle dell’anima”: così si legge nella descrizione che accompagna il brano. Dunque, quali sono queste emozioni ed in che modo hanno influito sul percorso umano ed artistico di Vasco Barbieri?

Tatuaggi sulla pelle dell’anima perché queste emozioni, quelle esperienze vissute intensamente, ti penetrano in profondità, fino alle radici del cuore. Durante la mia vita ho ricominciato tante volte, direi che tutt’oggi ogni mattina è come se ricominciassi da capo. Amori, speranze, sorrisi, pianti, quante porte chiuse credevo di essermi lasciato alle spalle. Finché quel giorno mi sono reso conto che invece molte erano ancora socchiuse e lasciavano entrare profumi ancestrali e luci remote di Soli che avevano segnato il mio tempo…e le mie ombre. Le emozioni che mi riaffiorano durante la canzone credo siano le stesse che prova ogni persona che, guardandosi indietro, si rende conto che ha ancora una scia nell’acqua che lo insegue. Questa canzone mi è servita a capire che i ricordi e il mio passato sono ancora qui con me e determinano la rifrazione della luce sulle onde che mi arrivano intorno. 

La nascita di questo brano è stata dettata da un particolare stato d’animo. Dicci com’è andata.

Durante la mia vita ho sempre creduto che la cosa più importante fosse raccontare i collegamenti e le connessioni intrinseche alla realtà, perciò la musica è stata lo strumento migliore per mettere insieme tutte le frequenze che caratterizzano le emozioni. Suonavo la sera nei locali di Roma per alleviare la malinconia di quelli che cercavano conforto nell’alcol e per coronare la gioia di chi, invece, veniva per brindare alla vita. Per cui dovevo avere sempre un orecchio pronto per cogliere tutte le più flebili sfumature della realtà, perciò mi piaceva perdermi per reinventarmi ogni volta da capo, per riniziare, per mettermi alla prova. Quel giorno mentre ero assorto fra miei baluginanti pensieri, improvvisamente mi trovai fra un teatro chiuso e una fermata dell’autobus affollatissima. Mi sentii improvvisamente pesantissimo, se infatti da una parte c’era il teatro, che nel mio immaginario corrispondeva alla possibilità di esprimere finalmente la sincerità, dall’altra era pieno di persone ognuna pronta a lasciarsi alle spalle il luogo in cui stava. La sensazione di essere fra questi due opposti, fra il lasciarsi andare e il lasciar andare, mi fece sentire investito da una un peso che mi costrinse ad alleggerirmi. Perciò ho fatto i conti con me stesso e, come un sospiro da un angolo della mia speranza, è sopraggiunta questa canzone che mi ha costretto a cercare un pianoforte per essere suonata.

Ho letto la tua bio e mi ha colpito parecchio, poiché sicuramente la tua è una storia singolare. Pare tu sia nato due volte e che a 7 anni fossi in grado di suonare il piano ad orecchio. Ti va di raccontarci qualcosa in più?

Ho avuto un trauma cranico a 7 anni che mi ha costretto a ricominciare da capo perché mi cancellò definitivamente la memoria. Per cui quando rinvenni fu per me come rinascere. Quell’incidente mi abbassò moltissimo la vista e per fortuna riuscii a compensare con un altro senso: l’udito, appunto. Era come se vedessi le frequenze, i colori delle persone intorno a me, ero molto delicato. Quando ebbi modo di scoprire il pianoforte fu per me un profondo sollievo, perché finalmente avevo trovato uno strumento per organizzare quel caos emotivo da cui ero circondato e perché mi dava rifugio dai continui vortici morali che di conseguenza mi venivano, essendo sempre in balia degli eventi. La prima canzone che ho suonato, cercandone il motivo a orecchio sul pianoforte, fu Caruso di Lucio Dalla. La sentii una volta suonare da un amico di mia madre sul pianoforte che avevamo in salotto; così, per gioco, provai a risuonarla senza aver mai suonato prima…qualche tentativo e voilà, i miei genitori si convinsero che forse avrei avuto delle potenzialità e che la musica avrebbe decisamente aiutato il mio ritorno al mondo. E così sono cresciuto con la musica nella musica.

Soffermiamoci ancora un po’ sulla tua storia. Dopo aver studiato presso l’Actor Studio di Roma, hai deciso di iscriverti alla Facoltà di Filosofia, laureandoti nel 2013. Da piccolo, invece, hai studiato in America presso una Music School nell’Ohio. Quanto è stata importante per te questa esperienza oltreoceano?

I miei genitori, dopo aver intuito le mie potenzialità al pianoforte e la mia passione per la musica, mi regalarono un’esperienza che mi ha segnato indelebilmente: mi mandarono in una Summer Music School in Ohio dove ho avuto, mia disgrazia, un pessimo incontro con la formalità della teoria musicale. Quell’estate  ha determinato in un certo qual modo, perciò, qualunque mi altra esperienza, fra cui, per l’appunto, il mio bisogno di approfondire più alternative possibili, come l’almanacco degli stati d’animo attraverso la recitazione, e delle idee attraverso la filosofia. In questo senso i miei studi e la mia vita sono stati determinati dalla musica e si sono compiuti con la musica perché, quando mi laureai in Filosofia, mi resi conto di come il miglior modo per comunicare con gli altri, e con se stessi, era esprimendo più profondamente e sinceramente le emozioni. Perciò da allora non ho più smesso di suonare nei locali romani con gli altri e per gli altri, finché non mi ha trovato la Maqueta Records e mi ha dato l’opportunità di arrivare anche ai non presenti.

Perché la scelta di cantare in inglese? Dipende, appunto, dalla tua formazione?

Alle elementari andavo a scuola americana, per cui le mie prime interazioni emotive col mondo furono filtrate da quella lingua e in inglese hanno avuto modo di manifestarsi nella loro compiutezza. 

Love Remains, rilasciata il 15 maggio, anticipa l’uscita del tuo primo album. Come sarà strutturato questo lavoro? Hai già le idee chiare in merito?

Quest’album vorrà rappresentare un ciclo che si compie e, perciò, lo libero imprimendolo in delle registrazioni pubbliche. Sarà composto da dieci canzoni, come il numero delle dita di due mani aperte pronte a dare e, ora, a ricevere qualcosa di nuovo. Sono 10 canzoni a cui sono molto affezionato con cui esprimo esperienze cruciali della mia vita, che hanno rappresentato la colonna sonora di quei momenti di transizione verso un me più maturo. Le ho volute condividere perché, secondo me, esistono altre persone che hanno dovuto compiere scelte simili. Dedico l’album a loro, a quelli che come me hanno avuto il coraggio di correggersi, superarsi e lasciarsi andare. Sarà un album di formazione, com’erano quei romanzi che ci facevano leggere da ragazzi…io l’ho scritto in musica. Ho inventato una fiaba che servirà a immaginare il processo di elaborazione di questo risultato, ma non voglio anticiparvi nulla per lasciarvi la libertà di sorprendervi.

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