Intervista a Stefano Lentini, il compositore della serie tv “La Porta Rossa”

di InsideMusic

Abbiamo avuto il piacere di intervistare Stefano Lentini, il compositore romano noto in tutto il mondo per le colonne sonore per registi come Wong Kar-Wai (The Grandmaster), Giacomo Campiotti (Bakhita, Braccialetti Rossi), Carmine Elia (La Porta Rossa) e per aver collaborato a film premiati negli Stati Uniti, Australia, Regno Unito, Brasile, Ucraina, Hong Kong.

Stefano Lentini, unico compositore italiano, insieme ad Ennio Morricone, ad essere rappresentato dall’agenzia hollywoodiana The Gorfaine/Schwartz Agency, è reduce dal recente successo del suo progetto solista “Fury”, prodotto con il tre volte Grammy Award Geoff Foster, e martedì 7 maggio è uscito il box-set della Seconda Stagione de “La Porta Rossa”, la serie ideata da Carlo Lucarelli e Giampiero Rigosi con Gabriella Pession e Lino Guanciale, co-prodotta da Rai Fiction e Velafilm, con le musiche originali del polistrumentista romano. Sono state curate da Lentini anche le musiche del tv movie “Liberi di scegliere”, registrate presso l’Auditorium Parco della Musica di Roma in collaborazione con l’orchestra PMCE, Parco della Musica Contemporanea Ensemble, diretta da Tonino Battista, che vede al pianoforte Gilda Buttà, affermata interprete di musica da cinema, nota per “La leggenda del pianista sull’oceano” e “The Untouchables” (Gli Intoccabili).

Ciao Stefano, benvenuto su Inside Music e complimenti per il tuo lavoro. Partiamo con una domanda generale: quali sono stati e quali sono i tuoi modelli musicali di riferimento?

Diciamo che io sono nato musicalmente con cose molto diverse che ti vorrei riassumere con Fryderyk Chopin, che mi ha proprio segnato dal punto di vista pianistico, John Renbourn, un chitarrista inglese che ho ascoltato e amato tantissimo, poi nello stesso tempo sono stato attratto dall’heavy metal e fan dei Metallica, mentre in Italia De André è stato proprio il mio movente per quanto riguarda l’aspetto dei testi, ma anche come figura nel rapporto con la musica, un rapporto unico, sempre rinnovato, mai ripetuto e mai preso troppo sul serio. Ecco, ti direi questi quattro poli molto diversi, che magari insieme non significano nulla, però per me sono stati molto importanti.

Del resto a volte quando ci sono ibridazioni di generi musicali si riesce a creare anche meglio!

Si, assolutamente. Sicuramente sono tutti elementi musicali che confluiscono da qualche parte e sbucano fuori. Poi sai, è sempre molto difficile parlare della musica che ti segna e quella che fai. Io ti posso dire quella che mi ha segnato, anche come ascoltatore, e poi quella che faccio sarai più te a dire quello che provi, perché potrei essere pure celebrale in questo.

Come è nato il tuo amore per le colonne sonore?

Devo dire che è stato un caso. Io da giovane non avevo una particolare attrazione per il cinema. Anzi, devo dire che quando mi proponevano di andare al cinema preferivo stare a casa e suonare. Nel senso che io avevo proprio una voglia pazza di suonare, creare, registrare. Il cinema è arrivato dopo per caso, perché tramite un’amica mi è stato proposto di fare un piccolo cortometraggio, poi ne ho fatto un altro. Insomma, una catena di eventi che mi hanno portato a lavorare per il cinema. Però ti dico che io vengo dalla musica pura, nel senso proprio quella scollegata da ogni immagine visiva. Poi il cinema mi ha aiutato a rendere la mia musica più concreta, a realizzarla. Perché mi ha dato ogni volta dei paletti dentro quale muovermi e in qualche modo mi rende il momento creativo più semplice, più circoscritto.

Per quanto mi riguarda, la colonna sonora è una delle parti fondamentali per la buona riuscita di un film o una serie. Tu dal 2004 firmi le musiche per produzioni cinematografiche e televisive, quanto è difficile dare alle immagini la giusta componente sonora? E come deve essere l’impatto che ha sulle scene?

Diciamo che ci sono due elementi che mi guidano quando ho a che fare con una scena, e sono il suono e l’emozione. Da un lato cerco sempre il suono, nel senso proprio acustico del termine, che sia uno strumento, un’atmosfera, un colore che io riesco a ricondurre a quello che sto vedendo, proprio una relazione profonda e che quindi in sintesi si amalgami in maniera naturale, e questo è il primo elemento. Il secondo elemento riguarda invece l’emozione che devo raccontare e la sfida maggiore è sempre riuscire a raccontare quell’emozione facendolo in maniera nuova, originale, rompendo le regole in modo naturale, senza creare una simulazione innaturale di un’emozione.

Quanto è importante per te parlare con registi, sceneggiatori o attori, oppure andare sul set e respirare l’atmosfera dell’intera produzione?

Sono tutti elementi fondamentali e che aggiungono ognuno qualcosa, ma l’elemento più importante è sempre il regista. Il regista ha una visione che può andare oltre quella dello sceneggiatore, perché lo sceneggiatore seppur ha un’immagine visiva di quello che sta scrivendo, quella stessa immagine potrebbe essere del tutto equivocata e trasformata dal regista. Quindi è sempre lui che racconta in prima persona cosa vedremo e soprattutto perché. Dietro ad ogni film c’è sempre un “perché” che è un po’ la sua anima. E’ come se noi guardassimo un film prima che il suo destino accada, per cui possiamo in qualche modo ricostruire a tavolino come se fossimo dei creatori di realtà. Quindi, sapere cosa il regista vuole è l’aspetto più importante.

Il tuo lavoro cambia a seconda se ti trovi a comporre per un lungometraggio o una serie televisiva oppure hai lo stesso modus operandi?

No, non cambia perché ci sta sempre la messa in piedi di un’idea, e questa idea nasce sempre da una tabula rasa e deve sempre essere connessa a quello che vedi o alla storia che devi raccontare. Per cui no, non c’è differenza. Certo, l’unica differenza importante tra una serie e un film è la lunghezza. Nel senso che abbiamo dei minutaggi proprio diversi. Una serie di 12 episodi dura 600 minuti, un film 90. Per cui proprio questo ti racconta il quantitativo di lavoro che c’è da fare su questi tipi di progetti.

Qual è l’esperienza professionale a cui sei maggiormente legato?

Guarda, per me sono tutte importanti, tutte magiche, tutte uniche. Ci sono state di più grandi dal punto di vista del successo e dei premi.

Infatti hai lavorato con grandi nomi, tipo Wong Kar-Wai!

Si, quella è stata un’esperienza enorme. Ma sono altrettanto enormi tutte le altre, ognuna a suo modo ha aggiunto qualcosa. Quella con Wong Kar-Wai è stata speciale perché ovviamente parliamo di un regista visionario, poi anche il film è importante (The Grandmaster ndr) che ha girato tutto il mondo, è stato candidato (a due premi oscar ndr), ha aperto il Festival di Berlino. Insomma, ha dato una visibilità ai miei lavori importante per la carriera. Ma anche i progetti piccoli che ho fatto, tipo i cortometraggi con piccoli budget, mi hanno dato tante cose. Ognuna è un tassello.

Hai nuovi progetti nel cassetto?

Si, sto già lavorando a un nuovo progetto che purtroppo non posso rivelarti nulla. Però presto lo vedremo e magari ne riparleremo. Mi dispiace solo che non ti posso rivelare niente.

Mi lasci con l’acquolina in bocca. E’ appunto una scusa per risentirci e parlarne.

Si infatti, assolutamente!

Siamo all’ultima domanda. Qual è il tuo sogno musicale che ti piacerebbe realizzare?

Mi piacerebbe tantissimo collaborare con i Metallica. Anche perché non potendo collaborare con Chopin, Renbourn è purtroppo scomparso qualche tempo fa, De André pure, diciamo che tra i quattro nomi rimasti rimangono loro.

Te lo auguro perché secondo me ne verrebbe fuori qualcosa di interessante.

Bisogna far arrivare a James Hetfield l’album Fury e poi parlarne. Per me l’incontro tra heavy metal e l’orchestra sinfonica può generare qualcosa di speciale. Sarebbe bello riuscire a farlo. Poi sai cos’è, esiste molta musica che non conosciamo perché i canali media ci parlando della musica di consumo e questo ti fa vivere in un ambiente che ti sembra finito musicalmente, quando in realtà ci sono nel sottobosco decine e decine di progetti che meriterebbero molta attenzione. Alcuni di questi arrivano ad aver un’attenzione, a volte magari anche troppa diventando ad essere essa stessa di consumo, ma è bello scoprire.

Prometto, l’ultimissima domanda e poi ti libero.

Ma ci mancherebbe, è un piacere.

Per quanto riguarda la serie tv di Rai Due La Porta Rossa, lavorerai anche per la terza stagione immagino.

Si, certo. Si è parlato di fare la terza stagione, ma io non so ancora nulla sulla storia, e quindi allo stesso tempo non ho ancora iniziato a pensare a nulla. Però sarà interessante vedere come gli sceneggiatori si reinventeranno un po’ tutto.

Grazie Stefano e in bocca al lupo!

Grazie davvero a te, crepi il lupo!

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