Francesco Cavestri e la sua “IKI – BELLEZZA ISPIRATRICE” – INTERVISTA

di Alessia Andreon

È uscito “IKI – BELLEZZA ISPIRATRICE”, il nuovo album del pianista jazz Francesco Cavestri, uno dei vincitori del Top Jazz sezione Nuovi Talenti indetto da Musica Jazz.

Il disco, ispirato alla bellezza della musica ed ai legami tra i generi e gli artisti, è anche un percorso alla scoperta del jazz che, grazie alla sua predisposizione alla contaminazione, ha contribuito allo sviluppo di nuove musiche e stili, in un rapporto di continuo scambio e confronto con le innovazioni sonore della contemporaneità.

Nel primo album, Early17, il giovanissimo Cavestri analizzava i profondi rapporti che sussistono tra due generi così apparentemente diversi come jazz e hip hop; nel suo secondo progetto la ricerca è stata improntata ai legami tra jazz e musica elettronica, mantenendo sempre la centralità̀ del pianoforte, strumento principe dell’album.

Tema dell’album è l’IKI, filosofia che racchiude l’essenza del pensiero giapponese, e che mette in primo piano la concezione libera e multiforme che Cavestri vive verso la musica.

Ciao Francesco, venerdì 19 hai pubblicato IKI – bellezza ispiratrice, che emozioni accompagnano l’uscita del tuo secondo lavoro discografico?

Dopo una grande attesa, sono contento di pubblicarlo, finalmente!

È un lavoro che ho sviluppato in diverso tempo e che ho ultimato poco prima dell’estate.

In questo secondo album esploro sonorità molto diverse dal mio primo lavoro discografico Early17, che metteva a confronto jazz e hip hop.

È un disco che ha molteplici sviluppi, innanzi tutto in senso filosofico e musicale. Come si conciliano queste due anime?

Questa è una domanda che mi pongo spesso da quando mi sono avventurato in questo nuovo progetto e ho scelto di dare alle tracce che ho creato un senso anche di pensiero, non solo musicale. L’album si basa sull’aspetto filosofico giapponese dell’IKI, che ha come punto culminante il distacco che non è da vedere in modo negativo ma che segue a una visione complessa e completa della realtà.

È come se riuscissi a vedere tutto dall’alto e riuscissi a concettualizzarlo in maniera totale. Altro punto molto interessante è l’idea del mutare del circostante e come ci si adegua a questi cambiamenti.

Sono partito da questo principio di base della filosofia giapponese e l’ho trasferito nella musica. È venuto fuori un album che attinge pienamente dal Jazz, anche dal Jazz tradizionale.

Per fare un esempio di mutevolezza c’è la terza traccia dell’album che si intitola “Naima” di John Coltrane, uno degli standard più eseguiti nel mondo del jazz, che si fonde con “Everything In Its Right Place” dei Radiohead, il tutto accompagnato anche da sonorità elettroniche come tutto il resto dell’album.

Il jazz, più di altri generi musicali è volto a trovare nuove sonorità, nuove strade espressive e a confrontarsi con altri generi come l’hip hop e l’elettronica.

In questo album, più che in “Early17”, la ricerca è incentrata ad analizzare i rapporti tra musica jazz ed elettronica in cui il jazz è il genere per eccellenza, sempre volto alla ricerca di nuove strade.

“Distaccati”, titolo del primo brano dell’album, è anche la parola chiave della filosofia IKI.
Come è nata la passione per questa disciplina giapponese? Sei appassionato di cultura orientale?

Decisamente; anche uno dei pianisti jazz a cui mi ispiro di più, Herbie Hancock, ha scritto un libro in collaborazione con Wayne Shorter e Daisaku Ikeda, che è un grande leader buddista, dal titolo “Storie di vita, jazz e buddismo,  una conversazione veramente interessante, che mi ha avvicinato ancora di più alla filosofia del pensiero orientale in sé, applicato anche al linguaggio musicale e, nello specifico, a linguaggio del jazz.

Questo secondo album è un confronto con le innovazioni sonore della contemporaneità tra jazz e musica elettronica. Per farlo hai scelto dei brani come la fusione di “Naima” di John Coltrane con “Everything In Its Right Place” dei Radiohead o di citare in “Sguardi” la ritmica di “Bump It” di Erykah Badu e “Growing Apart (To Get Closer)” di Kendrick Lamar. Il lavoro di comparazione e sovrapposizione di queste tracce è frutto di tuoi ascolti abituali?

Credo che per un musicista sia tanto importante lo studio, la formazione, quanto l’ascolto, perché trasferiamo in musica quello che assorbiamo, che ci piace più ascoltare, in cui vogliamo riconoscerci. Non c’è mai nulla di assolutamente originale, ma è tutto un ricreare, reinterpretare, reinventare quello che ascoltiamo tutti i giorni. L’ascolto è fondamentale; io ho una formazione di ascolto profondamente jazzistica, che va alle origini del jazz e del cool jazz, da Miles Davis, Herbie Hancock, Bill Evans, Chick Corea e tutta la corrente di jazz che si è formata negli anni 50-60 e poi più avanti fino agli anni 70.

Quando avevo 15/16 anni ho scoperto quella corrente di jazz contemporaneo, Robert Glasper, Kamaal Williams, Corey Harris, tutti  musicisti che poi hanno anche influenzato moltissimo il corso della musica hip hop, soprattutto negli ultimi anni   collaborando, ad esempio, con Kendrick Lamar e Terrace Martin.

Questa seconda evoluzione musicale mi ha fatto comprendere anche tutti i punti in comune che ci sono tra musiche apparentemente distanti, come il Jazz e l’hip hop o la musica elettronica.

Sono arrivato in ultimo ad appassionarmi anche alla musica elettronica e altri incontri, appunto, tra jazz ed elettronica, grazie ad artisti come Floating Points, uno dei più grandi sassofonisti jazz di sempre. Il suo ultimo disco Promises è stato prodotto insieme da Pharoah Sanders e dalla London Symphony Orchestra.

Tutti questi progetti che inglobano al loro interno il jazz, la musica elettronica, la musica sinfonica e l’hip hop, mi appassionano moltissimo e mi servono anche a raccontare, negli incontri che faccio, come le lezioni concerto, i punti in comune che ci sono tra il jazz e questi altri generi.

La mia attività di divulgatore mi permette di far riflettere i giovani (anche miei coetanei dato che ho 20 anni) su come il jazz, proprio per questa sua componente estremamente varia, abbia influenzato gli altri generi che magari ascoltano quotidianamente.

Il risultato della fusione tra pianoforte e musica elettronica è psichedelico, quasi futurista. È un’opera d’arte riuscita, per dirlo con le parole di Steiner tratto da “La dolce vita”?

Per l’album non me lo chiedo, perché se dovessi rintracciare tutti gli album che sono opere d’arte riuscite forse non mi soddisferebbe neanche uno, dal punto di vista di un musicista. Il musicista è sempre convinto che ci possa essere qualcos’altro. Penso che i migliori giudici non siano mai gli artisti stessi ma qualcuno di esterno.  

Morricone raccontava spesso un aneddoto a proposito de “Gli intoccabili”: quando aveva proposto i brani aveva raccomandato al regista di scegliere tutto tranne una determinata traccia ed era proprio quella che il regista aveva scelto.

Credo che l’opera sia compiuta nella misura in cui rappresenta un circolo che si apre e poi si chiude, un percorso finito.

Non è un album a cui aggiungerei qualcosa. Secondo me si apre e si chiude nel modo giusto, non solo dal punto di vista musicale.

“Distaccati” mi manda in una direzione diversa da quella che ho intrapreso finora e quindi è una dichiarazione di intenti di come io voglia esplorare nuove sonorità in modo anche deciso.

L’ultimo brano, quello con Paolo Fresu, è come se mi riportasse ad una dimensione più simile al mio primo album,  più simile al mio percorso jazzistico, pur mantenendo però una direzione elettronica, anche molto convinta; infatti la seconda parte del brano con Paolo Fresu è aperta da un estratto di intervista a Miles Davis e poi tutta una parte elettronica, su cui si sviluppano le batterie elettroniche e i sintetizzatori, che affianca il mio pianoforte e la tromba di Paolo.

C’è anche una circolarità nel brano in quanto si intitola “IKI – bellezza ispiratrice” e, come dicevamo all’inizio della nostra chiacchierata il fine ultimo della filosofia Iki è il distacco, esattamente come il titolo della prima traccia di questo album. Tra l’altro è stata una coincidenza, in quanto ho scritto prima “Distaccati” e poi ho scelto come concept dell’album l’Iki, quindi è stata la ciliegina sulla torta.

L’ultima traccia, forse quella dall’atmosfera più sognante, vede la collaborazione di Paolo Fresu e funge da anello di congiunzione del cerchio sonoro che hai voluto creare in questo album.  Era la prima volta che ti trovavi a collaborare con lui?

No, lo conosco da diversi anni e sono stato già due volte ospite al Time in Jazz, sia lo scorso che questo anno.

La prima volta solo per una lezione concerto, la seconda invece ho fatto sia un concerto che una lezione.

Ci sono già delle date di presentazione dell’album?

Si, abbiamo già fissato una data a Roma e ce ne saranno in Sicilia e in Puglia per l’estate. Stiamo lavorando su Bologna e, ovviamente, Milano. Le comunicherò sui miei social e sul sito!

0

Potrebbe interessarti