King Gizzard & The Lizard Wizard live all’Alcatraz di Milano

di InsideMusic

Basta un unico aggettivo per aprire e chiudere, subito dopo, questa recensione sul live dei King Gizzard & The Lizard Wizard del 15 Ottobre all’Alcatraz: D-E-V-A-S-T-A-N-T-I.

Infatti non servirebbe aggiungere altro ad una serata già perfetta sotto ogni punto di vista, o quasi, anche se al netto di cellulari al cielo per minuti interi e umani troppo accalcati ai margini del Second Stage, si sarebbe potuto raggiungere lo stato dell’arte dell’esperienza sonica.

Probabilmente è tutto qua l’unico, microscopico, neo nel loro cursus honorum meneghino, se proprio volessimo essere pignoli: una volta letto “Sold Out” sul comunicato stampa di Comcerto per l’unica data italiana, ci si immaginava l’agevole apertura del Main Stage con un affluenza più massiccia e ben distribuita di freaks a sancire l’inarrestabile, massivo, ritorno del rock psichedelico indipendente.

Sia chiaro: il successo è stato comunque pieno con un migliaio di rockers arrivati da tutta Europa – e non solo – tra le pareti di Via Valtellina e in vena di far gran festa cantando, pogando e godendo, in una bellissima atmosfera, dei 100 minuti infuocati che Stu Mackenzie e soci hanno dispensato senza risparmiarsi, tra un crowd surfing e l’altro. 

Un set preciso quello del settetto australiano. Perfettamente bilanciato sia nelle parti vocali che in quelle strumentali,  e che ha ripercorso le tappe salienti (19 canzoni in scaletta) dei loro ultimi 4 anni in studio – sono stati saccheggiati soprattutto “Fishing For Fishies”, “Murder Of The Universe”, “Polygondwanaland” – con un focus privilegiato sull’ultimo album “Infest The Rats’ Nest”: da qui hanno ciucciato, e poi risputato impietosamente a freddo sulla platea, la cattivissima doppietta d’apertura “Self Immolate“/”Organ Farmer” e quella di metà concerto con “Hell” a suturare gli sfregi di “Venusian 2”.

Il resto è stata pura Magia. Un viaggio acido e caleidoscopico foriero di comportamenti anti sociali, sesso occasionale nei bagni, e un desiderio impellente di correre nudi e urlanti per le vie della città. Ma non solo.

I King Gizzard sono La Band Del Momento in un momento che, di per sé, non è semplice per la musica Rock: sono piacenti, giovani, tutti polistrumentisti, maestri nel creare un continuum musicale dinamico e potente grazie ad una produzione qualitativamente alta (15 album in 7 anni) come poche altre band nella storia e in più tengono il palco benissimo gestendo, spesso intendendosi solo a occhiate,  una line up a dir poco schizofrenica (3 chitarre, 2 batterie, synth, tastiere, percussioni, 1 basso, 2/3 voci). In ultimo sono stati geniali nel generare un buzz planetario con il precipitato della loro “carriera”, dimostrando di maneggiare con grande acume le nozioni fondamentali del marketing discografico e diventando così una band già ai confini della leggenda.

Che fosse Speed Metal, Prog Rock, Blues, Psichedelia, Boogie o una jam session strampalata e multicolore, ho guardato l’orologio solo due volte in quasi 120 minuti di pura estasi.

Non accadeva da anni.

di Davide Monteverdi

 

Fonte foto: Paul Hudson

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