Dallamericacaruso, il concerto perduto: il docu-film su Lucio Dalla

di InsideMusic

Da Lunedì 20 a Mercoledì 22 Novembre sarà possibile visionare in alcune sale cinematografiche il docu-film “Dallamericacaruso, il concerto perduto“, realizzato da Walter Veltroni, che racconta lo storico concerto tenuto nel 1986 da Lucio Dalla al Village Gate di New York.

 “Qui dove il mare luccica
e tira forte il vento
su una vecchia terrazza
davanti al golfo di Surriento”

È proprio intorno a “Caruso”, considerato tra i brani più belli di tutta la musica italiana, che ruota questa incredibile storia: Lucio è infatti di ritorno dagli Stati Uniti dove ha registrato un album live destinato ad intitolarsi “Dall’America”, in cui avrebbero dovuto confluire i suoi più grandi successi, tra cui “Futura”, “Anna e Marco”, “4/3/1943”, riarrangiati insieme a Gaetano Curreri, frontman degli Stadio, che in quel periodo divennero la band ufficiale di Lucio.

Ma mancava un inedito, un brano nuovo da inserire nella raccolta.

Il cantautore, da sempre appassionato di lunghi viaggi in mare, nell’estate del 1986 è proprio a bordo del suo “Catarro”, nei pressi di Sorrento. E’ in compagnia di alcuni amici mentre si lascia alle spalle il porto di Napoli e si dirige verso Capri. Ad un tratto, però, l’imbarcazione ha un’avaria e si pianta in mezzo al mare.

Dopo essere stati prontamente soccorsi vengono ospitati nel Grand Hotel Excelsior, il cui proprietario era un grande amico di Lucio Dalla. Proprio a lui il cantautore chiede: “Posso visitare la stanza di Caruso?”. Lucio sapeva che lì, nel 1921, il famoso tenore napoletano Enrico Caruso aveva alloggiato per un paio di mesi prima di morire a soli 48 anni.

In quel rifugio sul mare, gli raccontano, Caruso si faceva portare il pianoforte ed intonava le sue arie più famose e le canzoni della tradizione napoletana. Sapendo che non gli restava molto da vivere accettò di dare delle lezioni di canto ad una giovane donna di Sorrento, di cui finì per invaghirsi e alla quale dedicò il suo canto nell’ultima notte passata lì.

Lucio ascoltava rapito, travolto da questo racconto in bilico tra amore, musica, morte e leggenda, perché, anche se non fosse stata vera la storia del tenore che cantava sulla terrazza, era bello crederci ed era una “bugia” che serviva a Dalla per parlare anche di sé e del suo amore viscerale per Napoli: “A volte penso di aver scritto Caruso per la mia voglia di essere napoletano”, disse qualche anno dopo.

Nelle strofe si rincorrono una serie di immagini: “il mare” che “luccica”, la “vecchia terrazza”, le lacrime della ragazza con “gli occhi verdi come il mare” in cui Caruso “credette di affogare”, il pianoforte, lo strazio per quell’amore arrivato troppo tardi.

E poi c’è quel ritornello emozionante: “Te voglio bene assaje, ma tanto tanto bene sai. E’ una catena ormai, che scioglie il sangue dint’e ‘vvene sai”, che è una parafrasi di “Dicitincello vuje”, brano della tradizione napoletana a cui Lucio era profondamente legato.

“Caruso” era diversa da tutte le canzoni che aveva realizzato fino a quel momento, molti cercarono di convincerlo a non inserirla in quel disco ma Lucio era convinto della potenza di quel brano che per lui era una vera e propria poesia d’amore dedicata a Napoli, alla musica ma anche a tutti gli amori impossibili che lui stesso aveva vissuto. Un capolavoro assoluto che vanta oltre 100 cover ufficiali e che ha venduto oltre 38 milioni di copie a livello internazionale, diventando una delle canzoni italiane più famose nel mondo.

di Luca Nebbiai

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