Silvia Salemi esce con il nuovo singolo “Noi contro di noi” – Intervista-

di Paola Pagni

Silvia Salemi ha scelto di tornare sulle scene con un brano scritto insieme a Matteo Faustini, giovane cantautore protagonista della 70a edizione del Festival di Sanremo nella sezione Nuove Proposte, e a Marco Rettani, coautore anche degli ultimi due brani di Silvia, “Chagall” e “I Sogni nelle tasche”.

Caratterizzato da sonorità estive, “Noi contro di noi” è un brano che invita chi lo ascolta a riflettere su temi delicati, come il forte bisogno di unità e pace. Un testo diretto e attuale che si lega alle difficoltà che hanno segnato gli ultimi anni e che hanno portato gli essere umani a diffidare del proprio vicino e a non vedere il buono che c’è.

Per noi è stato un piacere scambiare qualche battuta con lei sul perché di questo suo nuovo singolo

Intervista a Silvia Salemi

Noi contro di noi suona come un monito: siamo noi stessi i nostri nemici?

Siamo l’uno contro l’altro, perché non riusciamo a guardare oltre il nostro piccolo orticello. Pensavamo che dopo il covid l’uomo avesse imparato la lezione, in realtà ci accorgiamo che non è così. Nonostante le crisi, i conflitti, le difficoltà quotidiane che abbiamo tutti, anche in relazione alla situazione economica e mondiale, noi non abbiamo imparato nulla. È una follia nella follia, che non è più giustificabile. Dovremmo fare qualcosa per vivere meglio oggi: abbiamo la desertificazione, mancanza d’acqua e continuiamo a farci la guerra, ad essere così stolti da ritrovarci noi contro di noi. Io invece invito tutti ad un incontro con gli altri, ad una umanità che ci siamo dimenticati.

Come nasce l’idea di questo brano?

Dal concetto di Homo homini lupus, l’uomo che sbrana il suo simile come un lupo, ma alla fine questo ha delle conseguenze su noi stessi, sui nostri figli, sulle nostre famiglie. Si dovrebbe partire dai piccoli gesti quotidiani per non farsi la guerra: siamo tutti esasperati e non ci rendiamo conto che così andiamo verso una fine comune. Mentre la comprensione e la compassione dell’altro sono cose che ormai abbiamo dimenticato, magari pensando a farci un selfie, per dimostrare di essere migliori dell’altro. Questo non fa altro che renderci insoddisfatti, è una competizione che non finisce mai.

L’unico antidoto è la consapevolezza quindi?

Sì, un’assoluta consapevolezza, un rispetto dell’altro che non c’è, un ascolto dell’altro che manca.

 “A casa di Luca” compie 25 anni: secondo te oggi un posto come la casa di Luca è ancora possibile?

Secondo me sì. Penso che la casa di Luca siano i ragazzi al muretto che se ne stanno tranquilli magari con una bibita a parlare, sono tutte quelle persone che si incontrano con gli amici per chiacchierare guardandosi negli occhi, che si fermano un quarto d’ora per prendersi un caffè in una giornata frenetica. Ma anche la signora anziana che sta fuori dalla porta vedendo la gioventù che passa, sognandosi ancora ventenne magari. Tutte quelle cose che ci danno un tempo per pensare, un tempo per sentire le nostre vite, sono tutte piccole case di Luca. È una canzone generazionale che avrei preferito fosse superata, invece è ancora attuale, c’è ancora bisogno di uscire dal frastuono con cui siamo bombardati ogni giorno.

Com’è nata la collaborazione con Matteo Faustini?

Sono diversi anni che osservo Matteo, lo trovo una persona meravigliosa ed un’anima rara. Ha gli occhi aperti sul mondo, curiosi e poetici, pieni di pagliuzze luminose che brillano. Sono convinta che tra 10 anni sarà una realtà assoluta e consacrata della musica italiana, lascerà veramente delle belle tracce. Quindi mi faceva piacere linkare un tipo di storia poliedrica come la mia, con la sua che è completamente votata alla musica.

Da alcuni anni stai facendo uscire dei singoli: pensi di raccoglierli in un ep?

Tra i vari impegni, radiofonici ma anche col cinema visto che uscirà un film con Federico Moccia di cui ho curato una parte della colonna sonora, spero di realizzare anche una raccolta di questi singoli, che sono usciti in questi anni. Io mi sono servita dei singoli per raccontare quel particolare momento artistico e storico che stavo vivendo. Questo mi ha permesso di esprimermi quando, dove e come lo sentivo più vero, senza che il tempo intercorso dal pensiero alla realizzazione me lo facesse sembrare “ datato”. Secondo me le cose vanno dette quando hanno un senso. Poi raccogliere il tutto perché no, ma non è un’esigenza stringente.

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