Home Interviste Roberto Angelini, un “Condor” che sa cogliere i segnali

Roberto Angelini, un “Condor” che sa cogliere i segnali

by Alessia Andreon

Conversare con Roberto Angelini è una boccata di ossigeno in questo anno in cui la musica è stata messa all’angolo. Lui è brillante e spiritoso, una persona con cui chiacchiereresti volentieri davanti a una birra post concerto. Durante questa piacevolissima intervista ci ha raccontato i suoi progetti attuali e futuri, ma ci ha anche offerto una chiave di lettura della sua ventennale carriera. Un uomo consapevole del successo, che ha avuto la saggezza di non farsi fagocitare da esso; che con le sue canzoni sa far riflettere ma anche ridere, come con la virale Shock because, tormentone lanciato nel programma Propaganda live in cui Bob è musicista stabile.

Ciao Bob, ascoltando Condor, il tuo nuovo singolo, mi ha incuriosito la tua idea del “vivere intensamente”?

In qualche modo provo a spiegarlo proprio nella canzone: il concetto di vivere intensamente dovrebbe essere quello di essere sempre pronto a seguire i segnali, avere l’esperienza per capire che cosa ho sbagliato, con la consapevolezza che questa esperienza non deve essere un dogma: si può continuare a sbagliare perché sennò non si vive intensamente ma si vive in linea piatta. Mi piacerebbe continuare ad avere degli sbalzi: ad essere molto felice, ma anche soffrire se ce n’è bisogno. Questo è alla base della vita di chi, come me, cerca di trasferire a qualcuno delle emozioni in musica. Bisogna maneggiare con cura la fortuna che c’è capitata di fare musica nella vita. Vorrei continuare ad essere curioso, ad imparare senza mai pensare di essere arrivato da nessuna parte… Ecco, questo è quello che penso sia il concetto di “vivere intensamente”. È chiaro che il Condor è una metafora, che rappresenta la mia parte debole, che poi decide di fare anche cose sbagliate ma altrettanto fondamentali, perché se seguissi solo il bene sarei un prete. Invece è nell’equilibrio tra una retta via e una laterale o sotterranea che si vive una vita intensa, quella che desidererei vivere…

Come mai hai scelto il Condor? Forse perché ti assomiglia: maestoso, schivo ed è legato all’America?

Mi ci ritrovo meravigliosamente. Quando abbiamo fatto questo video, in cui i registi hanno pensato di mettermi addosso una sorta di costume da uccellaccio, mi sono anche divertito, mi piace rivedermi così…una parte di me è un condor! Avrei potuto scegliere anche un corvo, ma nell’immaginario collettivo il corvo è quello che ruba gli oggetti preziosi, io invece volevo esattamente un animale che sembrasse maestoso come un’aquila, ma non un predatore. È proprio questa la chiave di lettura del pezzo: l’accettare le scelte altrui, a volte lasciare che gli altri decidano per te… Poi, ho pure il physique du rôle del condor!

In questo periodo sei impegnato nella promozione delle canzoni ufficiali e, contemporaneamente, sforni successi anche con la Propaganda Orchestra, come Shock because e Gatto Matto in russo. Come riesci a cogliere gli spunti giusti?

Se avessi il manuale di istruzioni per farlo avrei appartamenti sparsi per tutto il mondo. La cosa bella è che queste cose non sono replicabili. Mi diverto, non c’è niente da fare! Nelle mie canzoni c’è anche la malinconia, ma è proprio questo che la musica ti permette di fare: mostrare quelle cose che il tuo carattere non tira fuori. A me piace suonare con gli altri, essere accogliente, sorridere, questa è la mia natura. Dopo tanti anni ho fatto anche pace con Gatto Matto e non ho problemi a suonarla. Certo che, se chiudo gli occhi e devo suonare un pezzo davanti al camino di Luca Carocci, mi esce fuori Incognita, che ha tutta un’altra atmosfera.

Artisticamente hai vissuto più vite, vivendo la musica a 360°. Quale ruolo ti piace di più ricoprire?

Mi piacciono tutti. Torniamo al discorso dell’equilibrio: quando suono la chitarra con Niccolò non ho il desiderio di essere al posto di Niccolò. Penso che ogni ruolo sia il nutrimento per l’altro e la fortuna di poter cambiare sia un plusvalore di questo mestiere, perché posso lasciare un ruolo che magari mi stava diventando stretto e nutrirlo delle energie di un altro progetto. Lo consiglio vivamente, quando mi capita di chiacchierare con qualche amico musicista, perché ti libera dall’ossessione della frustrazione e dell’aspettativa di un unico lavoro. La musica è bella perché è fatta di comunicazione e di ascolto; è un parallelo che può essere fatto anche nella vita. C’è una frase che dice: suono come sono e sono come suono; avolte leggere un libro, fare un’esperienza, ti fa suonare meglio di una settimana di esercizio sulla chitarra. Tutte queste cose insieme mi rendono una persona felice e equilibrata in ogni cosa, poi, ovviamente, quando esce qualcosa di mio c’è uno stress superiore, ma ho imparato a dargli il giusto valore.

Nel 2001 hai partecipato a Sanremo; son passati vent’anni esatti. Ci torneresti? Hai un preferito quest’anno?

Ci tornerei molto volentieri, ma ringrazio il cielo che non mi è successo quest’anno perché ci vorrei andare per divertirmi e sarebbe stata una sofferenza farmi un’edizione di Sanremo così blindata. Mi piacerebbe tornarci per vivere quella follia che ruota intorno a quella città in quei giorni: le serate, le feste, l’emozione, i giornali. L’ho vissuta quando ero un ragazzino e mi piacerebbe riviverla da grande. Quest’anno ci sono molti amici e sono curioso di sentire come sono le canzoni. Ci sono molti progetti che mi piacciono, come il disco di Colapesce e Dimartino; mi piace anche La Rappresentante di lista e ovviamente Max Gazzè, che te lo dico a fa’… Sono curioso di sentire con quale canzone si sono presentati, perché è quello che fa la differenza. Lo scorso anno, sentendo il pezzo di Diodato ho pensato che avesse in mano la canzone giusta, poteva vincere o non vincere, ma era un pezzo emozionale, giusto per la kermesse.

Che rapporto hai col successo?

Sono scappato da un certo tipo di successo tanti anni fa ed è stata una scelta che hanno definito coraggiosa o imprudente e anche io, onestamente, per anni ho pensato di aver sbagliato. Alla lunga però la difendo con tutto me stesso perché ognuno di noi ha delle proiezioni di ciò che vorrebbe diventare. Succede a volte che le persone intorno ti vogliano diverso e spesso, da ragazzino, cerchi delle conferme. Ognuno è libero di essere come è e di capire qual è il vestito che si sente meglio addosso. È giusto rifarsi un percorso e ricostruire mattoncino dopo mattoncino un percorso più corrispondente alla tua idea. Quello che ho oggi è il successo a misura d’uomo. È quello che mi fa star bene, perché non mi fa mancare nulla e mi fa continuare a essere me stesso.

So che hai una immensa passione per il Giappone, tanto che hai un ristorante ma non di quelli cinesi anche se il cibo è giapponese (cit. Niccolò Fabi). Come mai ti sei lanciato in questa attività?

Effettivamente è totalmente diversa, infatti i miei amici e colleghi si ammazzano dalle risate quando magari stiamo andando a fare un concerto e improvvisamente mi arriva una telefonata di ordine di tonno. Come racconto in Condor io le coincidenze ho deciso di trasformarle in segnali, per cui a un certo punto mi sono successe talmente tante cose strane con uno chef giapponese, che quando un giorno mi ha chiesto, 5 o 6 anni fa, se mi andava di aprire un ristorante insieme a lui, ho detto sì, perché era sbagliato dire di no, e quindi mi sono avventurato in questa impresa che è sicuramente diversa da quella della musica. È molto divertente da un certo punto di vista e poi sono responsabile di tante persone. Se la musica ha avuto tanti problemi in questo anno, la ristorazione non è da meno.

È un’avventura e nutro il desiderio, un giorno, di raccontarla in un libro: la storia assurda di un cantautore musicista e dell’incontro con uno chef giapponese e di tutte le cose incredibili che accadono all’interno di un ristorante… pensa cosa può succedere quando la cultura romana incontra la cultura giapponese.

Magari son di parte, ma considero Cenere e Incognita due veri capolavori. Perché è sempre più difficile farsi conoscere con la musica cantautorale?

Noi facciamo un mestiere strano, per il quale sono le persone a decidere, che ti abilitano a questo mestiere. Quando abbiamo fatto Shock because, l’ultima cosa che mi sarei mai immaginato è tutto quello che è accaduto dopo. Ho ricevuto più messaggi con la parola “genio” per Shock because che in vent’anni di carriera. È strano avere in promozione le canzoni programmate e contemporaneamente diventare virali con un’altra cosa che ha senso solo in quei 45 secondi di trasmissione, e mi dispiace che possa sembrare una cosa calcolata. Ti dirò che la gratificazione economica è arrivata sempre quando non l’ho inseguita, se no avrei proseguito il percorso di Gatto Matto. Oggi ti posso dire che la scelta è stata giusta, perché mi ritrovo ad essere quello che avrei desiderato: un musicista con una sana e diffusa popolarità, ma non opprimente; libero di fare qualunque cosa, di suonare con chiunque, non intrappolato in un personaggio. È una condizione meravigliosa quella di non essere schiavi del proprio successo. In questo disco sentirai che anche le altre canzoni indagano. È un’analisi che io faccio dentro di me, cioè indago sulle problematiche dell’anima.

Appena si potrà ripartire con i tour riprenderà quello di Niccolò che è rimasto in sospeso, ma tu hai anche qualche progetto solistico in cantiere?

Farò uscire ancora un brano o forse due per poi arrivare a settembre a far uscire il disco. Non voglio farlo uscire oggi e suonarlo fra 8 mesi, mi dà un senso di vecchiaia del disco; così invece ho la possibilità di tenere vivo l’entusiasmo, di far conoscere quello che faccio ad altre persone, fino ad arrivare a suonarlo dal vivo nell’autunno prossimo.

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