“Ricominciare dalle parole” è il nuovo album del cantautore Giovanni Battaglino che, dopo svariate collaborazioni con musicisti come Ennio Morricone, Giovanni Allevi, Renato Zero, Laura Pariani, e un’intensa attività in ambito lirico sinfonico, ha deciso di riportare al centro del suo lavoro “la parola”.
Dalle parole appuntate da Giovanni su un taccuino nascono le storie, gli incontri e i progetti narrati e ripresi anche nell’artwork che si trova all’interno dell’album “Ricominciare dalle parole”.
Dieci canzoni che, come ci ha raccontato in questa intervista Giovanni Battaglino, hanno preso vita prima come testi, ai quali, successivamente, ha abbinato le musiche.
“Ricominciare dalle parole” è già in sé un manifesto dell’intero album, è un punto di partenza differente…. Come mai questo cambio di prospettiva?
Nelle mie valli dell’alto Piemonte, le famiglie usavano, un tempo, avere dei cahier (quaderni), dove annotavano soprattutto le canzoni che venivano cantate durante l’inverno quando ci si trovava nella stalla per scaldarsi e stare insieme.
Dato che sono stato sempre abituato a cantarle e suonarle sin da piccolo, ho pensato di riprendere questo ricordo di famiglia; nel periodo della pandemia, mi son comprato un taccuino e ho cominciato a scrivere le canzoni.
È stato un punto di partenza per riprendere a dialogare, dopo quel periodo di solitudine, in cui non ci si poteva incontrare, con una consapevolezza diversa che derivava proprio da quella situazione di incertezza che abbiamo vissuto.
Sia “Il peso delle cose” che “Isola pedonale” e “Ricominci”, pur avendo sviluppi diversi nel testo, parlano di un momento difficile dei protagonisti. È come se avessi deciso di raccontare le storie che hai osservato da una panchina…
Già nel disco precedente raccontavo delle mie visioni. È come se tutte queste storie che racconto io le abbia viste.
La protagonista di “Isola pedonale” la vedo lì, che si specchia nella vetrina, che tira fuori i trucchi, poi si guarda in giro e, vedendo il barbone, va verso di lui.
Sono immagini che ho visto ma che ho riletto anche con la mia sensibilità e il mio vissuto.
Tra l’altro ne “Il peso delle cose” c’è una cosa divertente, perché ho usato l’immagine dei foglietti che rimangono infilati in mezzo al parquet e questa stessa immagine l’ho trovata in un racconto di Fred Vargas nella Serie del Commissario Adamsberg.
“La giostra” invece parla di guerra, eppure non l’hai scritta pensando all’attuale situazione tra Russia e Ucraina, anche se ci sono degli elementi comuni.
Come mai l’hai inserita in un album che, prevalentemente, segue il filo dei sentimenti?
Questa canzone è stata scritta dallo scrittore torinese Giorgio Olmoti.
Come diceva anche Borges, tutte le guerre hanno la stessa matrice: la guerra coinvolge sempre dei poveracci che vengono mandati a morire perché qualcuno possa proteggere i propri interessi.
In quest’ottica non ci sono mai distintamente i buoni e i cattivi, perché alla fine avranno entrambi la stessa sorte.
Purtroppo, oltre alla guerra in Ucraina, in questo momento ci sono tante altre guerre di cui non parliamo.
Il punto di vista narrato nella canzone è quello di un cecchino, che ho ripreso da un racconto di un pilota di droni da guerra.
“La giostra” è un luogo simbolico e drammatico al tempo stesso, dove si uccidono i nemici come in un gioco.
Un racconto forte e diretto di sangue, di pallottole e di dolore.
Tra le tracce troviamo “Non ho occhi” che parla della condizione degli ipovedenti non come handicap ma come “diversità”, a conferma che la musica è inclusiva in ogni sua declinazione.
Che emozioni ti ha dato scrivere questo testo?
Il testo è stato scritto insieme a Carlo Pestelli ed è nato anch’esso durante la pandemia perché mi sono chiesto, nel momento in cui non ci si può più toccare, come si potesse sentire un non vedente che basa la sua vita sul tatto, sulla percezione di quello che lo circonda.
Ho sviluppato questa idea di Carlo, che ha scritto la prima strofa e poi, leggendo alcuni libri, sono andato avanti con la scrittura del testo e delle strofe; però non volevo pubblicarla senza confrontarmi con chi quella situazione la vive quotidianamente.
Non è stato facile contattare l’Unione Ciechi ma, alla fine, ce l’ho fatta e le ho sottoposto la canzone e il mio desiderio di realizzare con loro un video.
Il loro intervento mi ha fatto cambiare alcune cose, poche, ma significative, perché io non avevo capito fino in fondo… li consideravo delle persone sfortunate, ma così non è.
Sono persone che hanno molto da insegnarci e il loro contributo è stato preziosissimo.
Per la realizzazione del video, mi hanno fatto camminare per Torino bendato, con un cane guida.
È stato impressionante capire quanto affidamento ci vuole e quanto le nostre città siano così poco a misura di chi ha una disabilità.
In “Ricominciare dalle parole” troviamo anche l’incontro con uno spirito. Come è nata questa canzone?
Inizialmente è nata la musica, a cui non riuscivo ad abbinare un testo, così ho chiesto aiuto ad un amico, lo scrittore Enrico Chierici, che mi ha raccontato la storia del cantante dei Soundgarden Chris Cornell, morto suicida quattro anni fa.
C’è un posto a Seattle dove sua moglie non va mai: sa che non deve passare da lì, in quel lembo di terra lambito dalle acque fredde del lago, dove ogni cosa ricorda il suo nome.
Invece, sovrappensiero, alza gli occhi e scopre che i piedi l’hanno portata dove il vento gioca a intrufolarsi tra le canne d’organo sospese, e scompiglia i suoi lunghi capelli mentre i tubi mormorano, ululano malinconici.
Non pensare al suo uomo è impossibile, lui è in troppe cose.
Già, perché il bello è ovunque, si nasconde male.
Lei cerca di rifuggire il ricordo, accatastare sopra di questo la fatica del suo oggi, perché pensare a lui la sconquassa, è il momento dove il dolore più profondo si lega a una nostalgia dolcissima.
Cammina lentamente, con sé non ha nulla, solo le mani nelle sue tasche. Il vento freddo non è mai stato così caldo, porta con sé profumi lontani.
È un attimo, il pensiero le entra dentro: forse la vita è troppo difficile, forse anche per lei la via è quella che lui ha tracciato, l’uscita.
È un attimo, il pensiero se ne va, rimane la certezza che finché ci sarà qualcuno a ritrovarlo nel suono, nel vento, lui non se ne sarà mai andato.
Non lo raggiungerà, continuerà a piangere e a ridere, aspettando che – come oggi – sia lui a venirle incontro.
Il valzer composto precedentemente alle parole, era straziante, aveva bisogno di un urlo di archi.
Era giusto che l’ultima canzone di “Ricominciare dalle parole” andasse addirittura oltre le parole e parlasse di comunicazione con uno spirito.
A volte ci capita di sognare di parlare con qualcuno che non c’è più, ecco, da questo incontro immaginato o meno, sono arrivate le parole di questa canzone.
Perché hai scelto di abbinare a dei testi malinconici musiche come il valzer o la bossa nova. che apparentemente sono in contrasto con quello che viene narrato?
Bisogna cercare di agire per contrasti, se no si appesantisce troppo il contenuto.
Inoltre, i contrasti a volte portano in risalto il contenuto: pensiamo alla Ballata dell’amore cieco di De Andrè, che parla di una storia macabra ma con una musica festosa. Un ottimo sistema per veicolare dei concetti; probabilmente, se lui avesse messo una marcia funebre non avrebbe ottenuto lo stesso effetto.
Se ci pensiamo è il modo più efficace per attirare l’attenzione verso la parola.

Per ogni cosa c’è un posto
ma quello della meraviglia
è solo un po’ più nascosto
(Niccolò Fabi)