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I Rockets: un gradito ritorno con Wonderland [Recensione]

by InsideMusic
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E’ uscito in maggio 2019 il nuovi album della storica band dei Rockets, icone degli anni ’70 space rock, che hanno ora abbracciato un pop estremamente raffinato: Wonderland.

Talvolta la carriera può cominciare anche a sessant’anni. È quello che sta succedendo ai Rockets, una band che ha fatto la storia della musica in Italia e in Francia, contribuendo a ciò che accumuna il nostro popolo e quello dei cugini d’oltralpe: la musica elettronica. Da sempre accostati ai Kraftwerk, che a loro confronto sono delle arcigne cornacchie arrabbiate, i Rockets sono araldi della gioia.

Dal 1977, gli uomini spaziali, che negli anni ’70, ai tempi di Plasteroid, ai tempi dei Telegatti, si coprivano interamente di vernice grigio cromato, e si ispiravano allo spazio e alla fantascienza imperante ai tempi, sono tornati prepotentemente per ambientare, stavolta, un album sulla buona vecchia Terra: Wonderland.

Attualmente, le redini della band sono tenute saldamente dallo stoico Fabrice Quagliotti, tastierista e compositore, che fin dalla fondazione parigina fa parte del gruppo. Attualmente, oltre a Fabrice, i Rockets sono John Biancale (voce), Rosaire Riccobono (basso), Gianluca Martino (chitarra) e Eugenio Mori (batteria).

Tracklist e artwork di Wonderland dei Rockets

wonderland rockets recensioneWonderland
Kids From Mars
Heaven
We are one
Strange people
Rock’n Roll Loser
Get It On” (feat. Fabrice Pascal & Axel Cooper)
Nuclear Fallout
The One
Doot Doot
Wonderland” (feat. Fabrice Pascal & Axel Cooper).

Dunque, data la distanza temporale da Kaos del 2014, che uscì per Warner ma risultò sostanzialmente inosservato (purtroppo) e le ere geologiche passate dall’epoca che rese famosi i Rockets, spaziali ed esagerati, rutilanti e barocchi, cyberpunk e coloratissimi – essendo ora, i ragazzi che li seguivano e amavano, degli uomini e donne più che adulte – non ha senso fare paragoni col passato, e lasciamo sia la musica a parlare.

Innanzitutto, di Wonderland i Rockets hanno affermato di averlo ambientato sulla Terra per ricordare al mondo chi siamo. Cioè, un prodotto dell’evoluzione. E prima di guardare per aria, col naso all’insù, quasi ottusamente, dovremmo tornare a scrutare attorno a noi. Ai boschi, alle saline, ai geyser, alle montagne calve e non più screziate di neve e ghiacciai, alle bottiglie corrose dal sale che tornano a riva dopo una mareggiata: e dovremmo studiare di più. Sarà che sono di parte, ma, da biologa, mi riconosco fortemente nei colori che fluiscono nell’artwork di Wonderland, quei violetti e rossi, di antociani e altri pigmenti accessori – quelli che coloravano i tappeti microbici che c’erano sulla Terra primordiale, quando un Sole giovane e potentissimo colpiva con radiazioni UV non schermate dall’ozono. Sull’artwork, però, figurano anche sei figure, sei bambini: fra illusioni di Stranger Things e The Body, ci accorgiamo dopo qualche occhiata che si tratta di giovani alieni che guardano un’aurora sul nostro pianeta.

Wonderland inizia con la title track, e subito si riconoscono i tratti distintivi del pop elettronico francese che ha fatto scuola, e che ha dato vita a gruppi come i Phoenix, quel tocco francese: beat catchy, coloratissimi, numerosi filtri vocali, e una propensione enorme allo storytelling, supportato da un ottimo soundscape di archi campionati e synth ricercatissimi. Il singolo Kids from Mars aggiunge ritmo alla base espressa in Wonderland, accostandovi, però, influenze dai White Lies di Bigger Than Us – la stessa tensione all’epòs, raggiungibile anche con semplicissimi espedienti quali cori infantili e intenso dubbing.

Mi auguro, invece, fortemente, che il terzo brano di Wonderland, Heaven, venga estratto come singolo, perché è, più o meno, assieme ad Uramaki di Mahmood, uno dei brani pop più belli usciti nel 2019 in terra italica: si parte da quelle sonorità catchy che si potrebbero ritrovare nelle sigle dei cartoni degli anni ’70 (non me ne vogliate, Rockets: è un complimento!), evolvendosi poi in un arpeggio di piano frizzantissimo ma che non sfigurerebbe in un album symphonic metal, per poi esplodere in un ritornello raffinatissimo, la cui base di basso fa un gigantesco lavoro per ispirare agli ascoltatori l’esperienza sci-fi. La seconda parte del brano, invece, segue la stessa frase musicale dello start, ma in chiave raggae. Un gioiellino.

I don’t care what trouble I’ll be,

I’m ok ‘cause I’m in Heaven!

Si prosegue con un’altra possibile hit, che non disdegna ispirazioni a là Sia di This is Acting, in cui la voce di John Biancale è rimpiazzata da una femminile: ballad emozionante la cui parte strumentale evolve in una sezione rap modernissima. Siamo impazienti di viverci l’ending in bagpipe dal vivo.

Si cambia radicalmente rotta, sforando nella techno, con Strange People, e si torna al vocoder che tanto piacque ai Rockets nei tempi passati. La successiva, ed esplosiva, Rock ‘n Roll Loser mescola sapientemente rock e elettronica – un po’ gli Amaranthe – ma con sonorità vintage e new wave. Adorabile. I primi e unici due ospiti di Wonderland dei Rockets fanno poi la loro comparsa in Get it on, Fabrice Pascal e Axel Cooper, due giovanissimi produttori, per una vera e propria hit da dancefloor vecchio stile eppure contemporanea e godibile.

Il momento più alto di Wonderland si tocca, però, con, come al solito dei Rockets, con le strumentali – come dimenticare Prophecy e Anastasis?: Nuclear Fallout. I Rockets scrivevano strumentali elettroniche prima che Fatboy Slim e Moby imparassero a parlare, e si sente: in un’esplosione di effetti raffinatissimi, guidati in parata da un pianoforte drammatico ed espressivo, che poi evolve in synth spaziali. Dopo tale intermezzo drammatico, si torna ai toni gioiosi e pop dell’inizio di Wonderland, con The one, brano che forse manca della dinamica dei precedenti.

Wonderland si chiude con la cover di Doot Doot, archi campionati e drum machine che si fondono in uno strano miscuglio – violaceo – e il graditissimo ritorno del vocoder. Echi giapponesi e tornano i cori infantili, segno che i bambini sono una costante, ingenua e gravida di promesse, che va perseguita per la rinascita del nostro pianeta.

In conclusione, Wonderland è una piccola gemma per chi vuole approcciare ai Rockets, in quanto propone un pop elegantissimo e fruibile, suoni estremamente ricercati ed un concept interessante; forse i vecchi fan storceranno il naso, ma, come succede in ecologia, o si evolve o si muore. E Fabrice e compagni hanno saputo perfettamente inscriversi nella scena attuale, senza però perdere la loro anima. Gli alieni cromati sono ancora là sotto.

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