Home Approfondimenti La rubrica Ritmo Sbilenco ci racconta i PFM. Live il 4 Aprile al Brancaccio

La rubrica Ritmo Sbilenco ci racconta i PFM. Live il 4 Aprile al Brancaccio

by Luca.Ferri
PFM Franz Di Cioccio

IL MOVIMENTO PROG IN ITALIA e la Premiata Forneria Marconi.

Intanto, in Italia… Con il successo mondiale che i Procol Harum stavano avendo – di cui vi abbiamo parlato nel precedente appuntamento di questa rubrica – e con la sperimentazione in atto sulla scena di Canterbury, la nuova tendenza musicale non poteva non giungere anche in periferia: la vigoria intellettuale giovanile e curiosa degli anni ‘60 e ‘70 trova anche da noi terreno fertile; i giovani dell’epoca, stanchi di essere ingessati nella forma della canzone popolare italiana, subiscono gli influssi di culture musicali più libere. Basta unire questa voglia di scoprire “lune nuove” ad una preparazione musicale spesso eccellente, per spiegare l’estrema ricchezza – per qualità e quantità – del movimento progressive italiano. Così, musicisti o gruppi, che si erano fatti le ossa inseguendo i miti della beat generation, si lasciano conquistare da sonorità e concetti in arrivo dal mondo anglosassone, che già premiava band oggi leggendarie. Ecco allora che, dai primissimi ‘70, nascono gruppi come gli Area, gli Osanna, i New Trolls, il Banco del Mutuo Soccorso e la storica Premiata Forneria Marconi.

La PFM: il primo minuto. In occasione del prossimo concerto del 4 Aprile al Brancaccio di Roma (cui parteciperemo e che vi racconteremo su queste pagine) era nostra intenzione servirvi un antipasto che vi stuzzichi il palato (e che magari vi incuriosisca) facendovi venire più fame:  gli albori di una delle massime espressioni della musica leggera del Bel Paese; evoluzione di gruppi beat precedenti, la PFM rappresenta una delle eccellenze – in termini musicali e di successo interno ed internazionale (e’ stato l’unico complesso italiano ad entrare nella classifica top 100 della celebre rivista Billboard) – del panorama musicale rock-prog italiano. La struttura basilare della band affonda le proprie radici nel gruppo beat  “I Quelli”, da cui prenderà tre dei futuri quattro componenti “titolari”: Franz di Cioccio alla batteria, Franco Mussida alle chitarre ed il tastierista Flavio Premoli, arricchiti poi dal francese Patrick Djivas, bassista tra i più eleganti della scena contemporanea. L’incontro con Mauro Pagani – compositore e polistrumentista meraviglioso da ascoltare ed ammirare all’opera – sancisce il passaggio definitivo: nasce la PFM!

(n.b. dopo l’abbandono di alcuni dei membri originali, la formazione attuale è Franz Di Cioccio – batteria, percussioni e voce, Patrick Djivas – basso, Lucio Fabbri – violino, tastiera e chitarra, Roberto Gualdi – batteria, Alessandro Scaglione – tastiera, Marco Sfogli – chitarra, Alberto Bravin – tastiere aggiuntive e voce)

Questo nome così particolare viene dalla Forneria Marconi di Chiari vicino Brescia, uno dei posti più frequentati dallo stesso Pagani. Già il nome profuma di prog: barocco, articolato, elaborato; in sostanza, nomen omen.

La loro abilità è tale, che vengono disputati come session men dai più grandi talenti musicali italiani di quegli anni, anche grazie alla scelta di abbandonare la Ricordi per associarsi ad una  nuova etichetta discografica – la Numero Uno – in cui erano confluiti numerosi artisti dell’epoca. In questi prolifici anni sono copiosi gli sposalizi di giubilo auricolare (anche il nostro stile si fa, come la musica progressive, “difficile”) in cui la PFM unisce le proprie qualità a quelle di artisti come  Mina, Battisti e de Andrè.

Nel biennio ‘70-’71 il gruppo pubblica un paio di singoli e si impegna in eventi dal vivo, aprendo i concerti di grandi band in tour in Italia quali Yes, Deep Purple e proprio i Procol Harum (ebbene si, le vie del progressive sono infinite). La prima fatica discografica è datata 1972: esce Storia di un minuto, e per noi è stato amore al primo ascolto.

PFM – Storia di un Minuto

L’album è già un sunto delle eccezionali potenzialità della band: ad un’introduzione con venature hard rock (Jethro Tull non vi temiamo!), subentra il pezzo più famoso della PFM: “Impressioni di Settembre”. Si sogna ad occhi aperti, ci ritroviamo in un’altra realtà quasi medievale. Siamo in un verde campo circondato dagli alberi, l’aria è fresca e lieve ed una leggere nebbiolina copre il mare d’erba davanti a noi. Elemento caratterizzante di questo pezzo è Il Moog in versione portatile e preso in comodato d’uso (l’unico esemplare esistente all’epoca era nelle sapienti mani di Keith Emerson, che ne era giustamente geloso). Il suono pieno e coinvolgente del Moog  cuce il tema della canzone – suonato, anziché cantato in forma di ritornello – con i suoi svolazzamenti, un viaggio leggero e grave nelle riflessioni di un uomo che si scruta dentro, nella meraviglia di un albeggiare che illumina la natura. Musiche evocative e immaginifiche, che ci immergono in un ambiente bucolico, alle luci del primo mattino con un testo cesellato e descrittivo ad opera del maestro dei parolieri italiani, quel Mogol il quale – durante gli stessi anni – scalava le classifiche insieme a Battisti.

PFM – Impressioni di settembre (Live in Japan, 2002)

Siamo ancora “uomini in cerca di noi stessi”, quando da lontano sentiamo il suono di una chitarra solitaria che ci guida verso una opulenta sala da ballo; all’approssimarci all’ingresso, si aggiunge un pianoforte con il suo scivolare sinuoso di note. Siamo rapiti. Ci decidiamo, prendiamo coraggio… Apriamo la porta ed entriamo nella sala, dove un’esplosione di ritmo coinvolgente e trascinante ci investe: signore e signori possiamo dirlo forte: “E’ Festa”! La sala è piena di giovani danzanti che ci coinvolgono nel ballo. La parola d’ordine che si riconferma è coralità: ritmiche ad armonie complesse e variegate, suoni fino a quel momento imprevedibili che si susseguono in un turbinio degno delle migliori trame della musica orchestrale; stanchi delle folli danze ci sediamo e riprendiamo fiato con la suite Dove… Quando…” divisa in due partie guidata dal tastierista Premoli.

Ricaricati dall’ascolto di tanta meraviglia, siamo pronti a ripartire. Ci serve un mezzo magico, uno di quelli che si trova nelle favole. I membri della band ci indicano una porta che porta all’esterno: usciamo dalla sala da ballo e fuori ci aspetta un ragazzetto biondo, un po’ scapigliato con un sorriso furbetto: “prego accomodatevi, benvenuti sulla mia carrozza, io mi chiamo Hans!”. Ecco un altro pezzo iconico: “La Carrozza di Hans”, concepita da Mussida alla guida in piena notte e quindi fortemente onirica, nel testo e nell’atmosfera: volete un consiglio sincero? Ascoltatela. L’album si chiude con “Grazie Davvero”: si tratta probabilmente del brano più astruso ed ondivago di tutto l’LP, dove a fare la parte del leone sono i fiati.
Un viaggio in un regno fuori dal tempo, fra boschi magici, sale da ballo e carrozze della durata di nemmeno 35 minuti, lungo e profondo come un sogno. Un prodigio. Sapete qual’è la vera magia? C’è da stupirsi ancor di più se vi riveliamo che tutto l’album è pensato per descrivere una giornata ordinaria, di un uomo ordinario. Come a significare quanto la vita di ognuno di noi sia colma di grazia e meraviglia.

 

di Luca Angelini e Marco Coco

Potrebbe piacerti anche