Manuella: una cantautrice contemporary pop sarda, divisa tra terra e mare

di Alessia Andreon

Venerdì 27 agosto è uscito “Giostra”, il suo primo ep, lei è MANUELLA, ipnotica e talentuosa cantautrice contemporary pop e suo progetto discografico è composto da sei tracce, tutte legate da un filo conduttore: la Sardegna.

L’intervista che segue è un piccolo sunto di una mezz’ora di chiacchierata tra due conterranee che amano profondamente la loro terra ma ne riconoscono anche i limiti, geografici e non solo…

Ciao Manuella, benvenuta su Inside Music. Questa intervista è particolare anche per me che finalmente incontro una mia conterranea. Mi fa sorridere pensare che siamo nella stessa isola e potevamo anche vederci a metà strada!

Esatto, anche io sono felice che siamo entrambe sarde perché tra noi ci intendiamo meglio su certe cose… solo chi le vive e le sperimenta tutti i giorni può capirle appieno!

Il tuo primo Ep “Giostra” simboleggia la vita che riprende sempre a girare dopo un fallimento; quanta strada hai fatto per arrivare fino a qui, visto che uscire dalla Sardegna non è così facile?

La strada è stata lunga e non solo a causa delle barriere che in Sardegna abbiamo, oggettivamente.

Il mare è per me un’arma a doppio taglio: è bellissimo, ci dà vita, ci dà aria e ci porta ad accogliere e ad attirare tantissime persone, però per chi vive qui può anche essere, appunto, una barriera.

Ho lasciato la Sardegna quando avevo 19 anni, quindi ero abbastanza giovane; sono stata prima a Roma e poi a Londra per imparare l’inglese.

Sono tornata in Sardegna e ripartita subito per Milano, quindi sono stata circa 10 anni lontana dalla nostra isola; la strada è stata lunga perché forse noi sardi abbiamo un po’ paura di sognare. Inoltre avevo dei blocchi che mi portavo sin da piccola, come la paura di cantare. La timidezza mi paralizzava totalmente, nel vero senso della parola, quindi ci son voluti anni per arrivare ad esibirmi.

Quando salivo sul palco provavo delle emozioni così grandi che avevo paura di non essere capita….

La musica è stata la mia salvezza ma mi rendeva, al contempo, vulnerabile.

Per chi come noi è nato in un’isola il richiamo della terra e del mare è fortissimo e per te si è espresso nel trasmettere qualcosa del tuo vissuto nella musica, come in “Sceti tui” che non a caso apre l’Ep…

“Sceti tui” è stato il brano che mi ha sbloccata e che ha iniziato a sciogliere le mie paure, per questo ci sono particolarmente legata.

È stato il primo che ho cantato in pubblico e mi ha fatto provare la sensazione di sentir risuonare la mia voce per la prima volta “liberata”.

Per questa ragione che ho voluto ricominciare da questo brano e non ti nego che ci tenevo particolarmente a far parlare anche la nostra terra e celebrarla.

Anche gli altri brani hanno lo stesso intento ma utilizzare la nostra lingua, tra l’altro in un dialetto che non è il mio, perché io parlo gallurese mentre “Sceti tui” è in campidanese è un omaggio a 360° ai miei conterranei.

Sembrerà strano ma la nostra lingua sarda ha dei dialetti molto diversi a seconda della zona e per interpretare al meglio questa canzone ho chiesto aiuto a Elena Ledda, artista per la quale nutro un enorme rispetto, dato che ho interpretato la sua versione del brano.

A volte, per apprezzare pienamente quello che si ha, bisogna prenderne un attimo le distanze: è questo quello che ti è accaduto quando sei andata a vivere a Roma, poi Milano e Londra?

A 19 anni sono andata via da Budoni (SS) e mi sono trasferita a Roma, sia per studiare che per la musica e lì ho iniziato a fare delle esperienze importanti. Ma, malgrado stessi vivendo delle bellissime esperienze, sicuramente più grandi di quelle che potevo avere qui in Sardegna, non trovavo il mio posto.

Ho capito solo a distanza di anni che tutto questo mio girovagare alla ricerca di qualcosa mi stava riportando a casa, dove ho chiuso il cerchio di tutto.

Le esperienze fuori mi hanno sicuramente arricchita, ma non riuscivo ancora a trovare la mia chiave, forse proprio per il fatto che per tanti anni ho avuto paura di tirar fuori la mia voce e non ero ancora sicura di aver trovato il modo giusto per esternare ciò che avevo dentro.

Il ritorno in Sardegna è stato fondamentale: solo una volta rientrata ho realizzato ciò che effettivamente, inconsciamente, avevo costruito in tutto il mio percorso lontana da casa.

Non ho mai abbandonato la musica, ma ci sono stai dei periodi in cui i blocchi del passato prendevano il sopravvento.

Ad Oslo per due giorni” rimarca quel sentimento che ci attanaglia quando siamo lontani dalla nostra terra… quali esperienze ritieni abbiano segnato un crocevia nel tuo percorso?

È una storia in cui racconto come riemerga il nostro bagaglio emotivo in qualunque situazione, anche, paradossalmente, quando sei fuori a bere un aperitivo con gli amici.

È forse il pezzo più importante per me, nel quale ho riversato tante cose… “dormivo sola in mezzo ai fiordi in pace con i sensi” perché avevo ai piedi uno dei fiordi più grandi del mondo e alle mie spalle montagne alte 2000 metri.

Oslo poi è importante perché proprio quando mi sono allontanata di più geograficamente, in particolare con i due viaggi in Norvegia nel 2017 e poi In Islanda nel 2018, ho iniziato a capire che l’unica soluzione era tornare in Sardegna.

L’Ep percorre le mie emozioni e libera la mia anima da tutta questa serie di blocchi, infatti “crollavano i ricordi” perché stavo bene e quelle situazioni hanno contribuito a far sciogliere le cose che mi portavo dentro.

In Islanda mi sono sentita a casa e ho ritrovato molte di quelle energie e percezioni che ci sono in Sardegna e ho capito che era il momento di tornare alla base.

Era il 2017, ora siamo nel 2021: è stato un percorso di un continuo bai e torra (vai e vieni) dalla mia terra e dalle mie emozioni, ma alla fine ho capito che proprio loro sono la mia forza.

Nella tracklist c’è anche “Sua Maestà” che non è un brano in omaggio alla Regina Elisabetta….

“Sua Maestà” è dedicata all’isola nell’isola, Tavolara: lì, come in Islanda, ho trovato qualcosa di speciale a livello energetico ma anche emotivo perché mi ricorda le gite in barca con mio nonno paterno e i miei cugini quando eravamo bambini.

È un brano molto contorto perché, al di là di questi riferimenti, è un pezzo che parla di sessualità, che credo di aver sentito da donna consapevole, anche se non si finisce mai di indagare su se stessi. È un brano in italiano che usa delle metafore per spiegare una serie di meccanismi psicologici che influenzano i rapporti sessuali.

Il soggetto principale è la natura e ha un significato molto profondo, perché credo fortemente a tutto ciò che riguarda la terra e gli elementi naturali.

La frase “un grattacielo ai piedi di un vulcano” racchiude in se una doppia valenza metaforica perché negli anni ho capito che non riesco a legarmi a qualcuno che magari preferisce andare a visitare una città piena di grattacieli.

L’immagine del vulcano simboleggia anche il fuoco che ho dentro e lo cito anche nel primo singolo “Ho smesso” ma questa volta con una consapevolezza diversa.

Time in jazz è stata un’importante vetrina per la tua musica, direi un bel giro in “Giostra”, ora come proseguirai?

È stata un’esperienza bellissima e devo ammettere che stentavo a crederci quando mi hanno comunicato che avrei portato un mio progetto al Time in Jazz.

Si è creata una sinergia molto forte con il direttore artistico del Time After Time, Giovanni Gaias e con tutti gli altri musicisti, tanto è vero che facevamo le prove in una vigna e finiva sempre a tarallucci e vino.

La realtà ha superato la mia immaginazione e anche lì si è chiuso un cerchio per me perché abbiamo suonato dopo Fabio Concato, che avevo incontrato durante una jam session alla Salumeria della Musica a Milano, nella quale cantavo tre brani.

Dopo l’esibizione ricordo che si è avvicinato e mi ha detto: “tu non devi mai smettere di cantare”. E così ho fatto!

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