Fra le grandi sorprese di Sanremo 2019 c’è la partecipazione della storica rock band italiana de i The Zen Circus, composti da Andrea Appino, Karim Qqru, Massimiliano “Ufo” Schiavelli e Francesco “Il Maestro” Pellegrini.
Era il lontanissimo 1998 quando uscì About Thieves, Farmers, Tramps and Policemen, e i The Zen Circus si chiamavano ancora solo The Zen, cantavano in inglese, erano giovanissimi, suonavano nei centri sociali della nativa Pisa. Album autoprodotto, nella formazione si contavano Andrea Appino come polistrumentista, Marcello “Teschio” Bruzzi alla Batteria, Emiliano Valenti al basso, e Andrea Picchetti alla chitarra. Il brano più notevole dell’album che, ad ogni modo, possiede alcune bei passaggi blueseggianti, è Beautyful & Warm, una toccante ballata folk intrisa del sarcasmo che poi sarà marchio di fabbrica dei The Zen Circus.
Passano gli anni, passano gli album. Visited by the Ghost of Blind Willie Lemon Juice Namington IV esce nel 2001, tempo in cui i The Zen Circus si sono dedicati alla realizzazione del proprio studio di registrazione, e del secondo album, sempre per la loro personale etichetta Ice for Everyone, e ci si comincia ad avvicinare alla formazione classica della band: è il primo lavoro con Massimiliano “Ufo” Schiavelli. La svolta avviene però con il terzo album, ed il primo in cui c’è l’indispensabile apporto di Karim Qqru, lo storico batterista: Doctor Seduction. Siamo nei primi anni del triste terzo millennio, nel 2004, ed il rock italiano ha molto da dire: ci sono anche i Perturbazione, in pienissima attività. E Doctor Seduction è un album bellissimo, che dosa atmosfera e influenze noise in un pregevole risultato che è godibile, internazionale (e se fossero stati una band indie della profonda Londra, invece che dei ragazzetti toscani in odor di leva obbligatoria?), e modernissimo anche nel 2019: ricordiamo con infinito amore Sweet Me, ballad in compagnia proprio dei Perturbazione.
Eppure, l’italiano sembra avere una marcia in più, per l’ormai affermatissimo terzetto, in vena di letteratura: arriva, nel 2005, solo un anno dopo Doctor Seduction, Vita e opinioni di Nello Scarpellini, gentiluomo, mentre nel 2008 arrivò alle stampe Villa Inferno, che album nel quale vengono definitivamente abbandonate sperimetnazioni noise ed elettroniche di Doctor Seduction, e un sound folk punk si sedimenta sempre di più. E si punta sempre più all’internazionalità: al basso – le cui linee sono semplicemente grandiose – c’è Brian Ritchie, storico strumentista dei Violent Femmes, band statunitense punk fondata nei primi ’80 e ritornata in attività nel 2016. All’epoca il bassista fu effettivamente un quarto dell’entità chiamata The Zen Circus, per un album nuovamente sorprendente – tutto Pixies, Siouxies, tutto country e tutto punk italiano, con una cover di Wild Wild Life dei Talking Heads di David Byrne – che sancì la fine di un’era per la band. Un album liquido, gioioso e triste, Villa Inferno è splendido: se si dovesse scegliere, con una pistola puntata alla tempia, un brano, Figlio di Puttana (con testo di Giorgio Canali) meriterebbe la corona. Ecco, qua, i semi di ciò che sarebbero stati i The Zen Circus poi: creatori di inni anti-manzoniani, laddove la provincia è un piccolo, verde, inferno, fatto di parenti, vicinato e disoccupazione.
E pensare che neanche c’era stata la crisi del 2007. Per gli Zen Circus, però, non c’è crisi, e già nel 2009 sfornano un nuovo album, quelli per il quale la maggior parte dei fan italiani li conoscono: facevamo le superiori, ci sentivamo ribelli, ascoltavamo i Tre Allegri Ragazzi Morti, i Modena City Ramblers, e, a mo’ di Appino, mandavano tutti a fanculo. Ecco che esce per La Tempesta Dischi (una label italiana storica) Andate tutti affanculo. Nello stesso anno in cui a scuola imparavo il termine “qualunquismo”, ossia il movimento dell’Uomo Qualunque fondato da Guglielmo Giannini nel 1944: una contrapposizione fortissima, quella di Andate tutti affanculo e i suoi inni – la title track, Vuoti a Perdere, Canzone di Natale – e ciò che accadeva nel BelPaese in quegli anni, del berlusconismo imperante. E come non ricordare proprio Andate tutti affanculo, otto minuti di humour nero, di folk provinciale, di assemblea studentesca, di un monologo così pregno d’astio che fa effetto ancora oggi, quando siamo ancora più disillusi?
L’amore con Giorgio Canali si rinnova nel 2011, ed esce Nati per Subire, ideale seguito di Andate tutti affanculo e ancora più nichilista del precedente: siamo di fronte alla protesta di un adulto, ciò che predicano i Punkreas da decenni ma espresso nella musica tecnicamente pregevole di Appino & Soci. Il rock italiano dell’epoca – che ora si chiama indie, il che fa ridere moltissimo – si faceva sempre più arrabbiato, con il successo de I Ministri (qui intervista e qui recensione di Fidatevi) di Fuori. Ma c’erano anche i lucidi Baustelle, in quegli anni, così floridi. Il cinismo è dosato a piccole gocce, non lasciato fluire in fiumi di lava come nel precedente album: fra effetti elettronici e campanelle, la summa dell’eleganza compositiva di Nati per Subire – noi, poveri, non-più-proletari italiani, Accattoni pasoliniani sfruttati, lasciati a combattere per le briciole e a perderci nell’autotuning e a non dichiarare le fatture nel 730 a fine anno – è la suite Cattivo Pagatore. Con il sound epico, grandioso, ed i giri di basso che Ufo ha sviluppato sin da Andate tutti affanculo, ed una deliziosa mollezza di fondo che ci conduce attraverso condomini, sterpaglie, supermercati colmi di merendine di provincia e tv a tubo catodico, Cattivo Pagatore è uno dei brani migliori degli Zen Circus.
Del 2013 (in cui è uscito l’EP Metal Arcade vol.1!) è Canzoni contro la Natura. De andreiano, si rifa a modelli dei grandi cantautori italiani classici – Guccini, de Andrè stesso, Tenco– ma rende ciò che gli Zen Circus sono ora: parte dei fan, laddove i fan sono parte dell’entità Zen Circus, non più avanguardisti, non più noise, privi di sperimentazione ma ricchi di sincerità e pronti ad imbracciare gli strumenti come fossero armi. Come avviene ciò? Con due brani. Viva – dove il livello di Scazzo è ai massimi storici, e ora che ho quasi trent’anni posso capirlo – e la bellissima e anti-antropica Canzone contro la Natura, in cui si vanno a creare inteleiature musicali che raramente si sono viste nella discografia degli Zen Circus. Ah, il buon vecchio leopardiano contadino islandese contro la crudele, ghiacciata, eppure eruttante lava, Natura.
Siamo vicini ai tempi moderni, ragazzi. È il 2016. Oramai i nostri cominciano ad avere una certa età, ed Appino, poco dopo Canzoni contro la Natura, aveva pubblicato il suo esordio solista, il Testamento, dedicata a Mario Monicelli. E come non ricordare un brano sentito, crudelmente reale, come la Title Track, che riporta – finalmente, in un paese che si imbigottisce sempre più – il sacro valore del suicidio come onorevole e dignitoso addio alla vita?
Ma nel 2016 esce anche il penultimo album degli Zen Circus, La Terza Guerra Mondiale. Sostanzialmente placido e pieno di ballate, è figlio dell’età e delle esperienze del terzetto, che si fa un selfie sulle macerie di un mondo distrutto. Quello della giovinezza, quello delle illusioni, quello in cui ti ubriacavi e non avevi l’hangover il giorno dopo, in cui il fegato ti funzionava appieno, mentre ora c’è solo malinconia ed il rimpianto di non aver fatto abbastanza per evadere dalla Villa Inferno. Ed abbandono. Ed, in fondo, L’Anima non Conta – ed un neorealismo che ricorda quello di Cattivo Pagatore.
L’ispirazione non è mai stata un problema, e siamo ormai al 2018. Il governo non si fa, il PD è passato dal 50 al 28%, gli U2 urlano disperati contro i totalitarismi in Europa, è scoppiata la mania dell’indie ed una miriade di gruppetti nascono e muoiono, raggiungendo in pochi mesi la popolarità che gli Zen Circus hanno impiegato anni a costruire. Nel triste 2018 – anno in cui li abbiamo incontrati per un’intervista – esce, dunque, Il Fuoco in una Stanza (qui la recensione). La malinconia è divenuta dolore, nella title track, è divenuta lutto in Catene, quel sentimento che gli inglesi chiamano grief, che serpeggia nella mente dell’italiano e non si concretizza mai, e viene incanalata nell’odio e nel rancore. Gli Zen Circus sono maturi, non hanno paura di sembrare pop e di essere additati come venduti – e, infatti, vanno a Sanremo. Perché loro se ne fregano, e fanno bene: ed ecco che un brano pop alternative come Low Cost, epica nei suoi echi brit rock dei White Lies, nella chitarra sussurrata e negli effetti eterei che vanno a creare un brano efficacissimo.
Dunque, il principale vanto degli Zen Circus è quello di essere sempre stati se stessi. Sperimentatori e curiosi da giovani, maturi e scazzati da adulti. La loro è la storia di tutti noi, una parabola di evoluzione e, infine, stabilizzazione. E crediamo fortemente che Appino & Soci siano fra quanto di meglio che il Belpaese possa esportare all’estero.
Ecco le dieci canzoni più rappresentative degli Zen Circus:
Beautyful & Warm
Sweet Me (con i Perturbazione)
Figlio di Puttana
Andate tutti affanculo
Cattivo Pagatore
Viva
Canzone contro la natura
L’Anima non Conta
Low Cost
Catene
+ Bonus Track di Andrea Appino come solista: Il Testamento
+ Bonus Track di Karim Qqru come La notte dei lunghi coltelli La Nave Marcia
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