Home RubricheGioved-INDIE The Zen Circus “Per noi l’indie è la più grande presa per il culo”

The Zen Circus “Per noi l’indie è la più grande presa per il culo”

by InsideMusic
zen circus intervista

Quarto appuntamento con la rubrica Gioved-INDIE, ospite Karim Qqru batterista dei The Zen Circus. Il 2 marzo la band pisana ha pubblicato il nuovo album di inediti “Il fuoco in una stanza” e Karim ha raccontato ad Inside Music quella che è stata la genesi del disco ed altre curiosità legate al concetto di indipendenza.

Ciao Karim, benvenuto nella nostra rubrica del giovedì più indipendente del web, Gioved-INDIE, domanda introduttiva generale: cos’è per te l’INDIE e cosa si mantiene ancora INDIPENDENTE?
Per me l’indie è la più grande presa per il culo sia per il pubblico che per i media: per indie dal punto di vista della musica è quel periodo che va dagli inizi degli anni ’80 alla fine dello stesso decennio, che riguarda quel sottobosco musicale, come ad esempio i CCCP, che non ha alcuna attinenza di genere con quello che oggi viene definito così. Noi abbiamo da anni un contratto con la Sony – che è una multinazionale – e così come noi almeno il 90% delle band etichettate come indipendenti. Quando l’indie è arrivato ai media più grandi questo movimento è stato legato ad una forma mentis di una certa indipendenza che nasceva dal costruirsi i percorsi per emergere, il che non ha niente a che fare con l’estetica ed il modo di porsi nei confronti della discografia che vede all’interno tante realtà diverse, generando così molta confusione. Come tutte le mode anche questa dell’indie ha avuto un inizio, è molto di tendenza adesso e avrà una fine. Preferirei sempre parlare di musica italiana piuttosto che di indie. Per quanto riguarda cosa si mantiene ancora indipendente, io credo che lo sia il voler fare le cose con il controllo completo che non riguarda solo l’aspetto musicale, ma anche dal punto di vista discografico. C’è sempre un modo per portare sul palco e sul disco quello che ti rappresenta al cento per cento, nonostante la presenza di etichetta e ufficio stampa. Il modo c’è, noi da anni siamo riusciti ad ottenere il controllo totale sul nostro lavoro, e come noi altre band, nonostante intorno a noi lavorino venti persone.

Tra i crediti de “Il fuoco in una stanza” compare anche Giorgia D’Eraclea (Giorgieness) come corista d’eccezione. Come mai la scelta è ricaduta proprio su di lei?
Innanzitutto Giorgie è un’amica ed è, a nostro parere, una delle voci più belle che c’è in Italia, una voce quasi black dal punto di vista sia della timbrica sia di impronta stilistica sui testi. Io la conobbi circa due anni fa, non avevo mai ascoltato una sua canzone, andai ad un concerto della sua band, siamo diventati molto amici e abbiamo pensato subito a lei per i cori del disco nuovo. È stata bravissima in studio, siamo molto contenti di averci collaborato.

Quanto è indipendente la nostra generazione? Qual è la catena più indissolubile che non gli permette di spiccare il volo?
Credo che non scendere mai a patti sia la cosa fondamentale. Riuscire a mantenere un po’ una propria “politica” non significa rinchiudersi in una cantina, sia in musica ma anche in altri ambiti, così come nella vita normale. È necessario interagire con il mondo esterno restando coerenti con se stessi, senza però diventare seri davanti alla vita reale. Secondo me il discorso di indipendenza è un concetto molto complesso che deriva da molti aspetti della vita, soprattutto nel modo di porsi nei confronti di se stessi, dei propri sogni e delle proprie ambizioni.

Nella stanza di Gino Paoli si intravedeva il cielo, nella vostra invece il fuoco. Si tratta di fiamme benevole o di veri e propri incendi?
Entrambi, il discorso di “Il fuoco in una stanza” è molto simbolico e tratta il fuoco dal punto di vista dell’espressione. Il fuoco è legato al discorso della famiglia ed il legame con il fuoco possono essere le proprie differenze, i sentimenti espressi che nel bene e nel male condizionano i nostri legame. Il fuoco come simbolismo in questo album può essere visto sia come fiamme benevole che come fiamme infernali perchè quando si tratta di rapporti riusciamo a dare sempre il meglio ed il peggio di noi. Questo disco parla di rapporti, di insuccessi, di catene che non si riescono a rompere e di quelle che non si vogliono rompere perchè stiamo bene così.

Cosa ne pensi dell’attuale panorama musicale indipendente italiano? Prova a dare una spiegazione riguardo il fatto che d’improvviso in molti si sono accorti di questa “scena”.
In questo caso inizio con un “mea culpa” enorme, poichè io non seguo quasi per niente la scena italiana. Sin da bambino ho cercato di apprendere alla perfezione quelle che erano le basi del jazz, del rock e del pop. Adesso mi trovo in ritardo su molti dischi italiani. Sento parlare molto della cosiddetta scena italiana e ho avuto modo di ascoltare qualcosa in occasione dei concerti con altre band. Ho rilevato un aspetto positivo, ora non bisogna più fare la cosiddetta gavetta e si riesce ad arrivare ad un pubblico piuttosto folto con un solo disco.

I testi dei vostri primi album erano stotalmente in lingua inglese. Cosa vi ha spinto ha scrivere in italiano? Quanto conta il linguaggio con il quale ci esprime in un paese come il nostro?
Tutto, perchè in Italia c’è un livello piuttosto basso di conoscenza della lingua inglese. Siamo un paese che ha avuto da sempre in classifica una maggioranza di brani italiani a differenza delle altre nazioni e questo è dovuto anche e soprattutto dall’aspetto linguistico. Spesso mi rendo conto che molte persone ascoltano canzoni in inglese senza conoscerne il significato. Il concetto di comunicabilità, dunque, risulta fondamentale.

In quale decennio avreste voluto vivere per esprimere al meglio la vostra arte?
Sono un tipo revival, quindi direi tra la fine dei ’60 e i ’70

Voi siete il risultato del volere del passaparola fra i fans. Tutto nasce dai Festival e dal riscontro popolare, prima ancora della fiducia da parte delle label indipendenti e dell’arrivo in RAI. Nel brano “Il fuoco in una stanza” citate la circumvesuviana ed il Vesuvio. L’avete scritto durante la vostra tappa a Napoli al Farcisentire Festival la scorso luglio?
Sicuramente, avevamo la circumvesuviana accanto ed abbiamo anche una foto che lo testimonia. Il percorso della circumvesuviana è molto affascinante, magari in Campania un po’ meno, ma per chi viene da fuori ha il suo fascino, tra natura e industria, si passa da zone sgarupate a paesaggi suggestivi.

A proposito di Napoli, avete pubblicato alcune date del prossimo tour, ma tra queste non figura il capoluogo partenopeo. Tornerete a suonare in Campania in estate?
Certamente. Intanto l’appuntamento è fissato per domani alla Feltrinelli di Napoli alle 18 per lo showcase, poi torneremo a suonare in estate di sicuro.

 

A cura di Lorenzo Scuotto

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