Il 15 Marzo è uscito Raptus vol.3 l’ultimo lavoro di Nayt, rapper romano classe ’94. Grande l’attesa, non sono mancate le critiche, ma per chi scrive è pienamente in corsa per diventare il disco rap dell’anno: ecco perché.
Anticipato da una lunga sfilza di singoli che hanno attraversato tutto il 2018 e parte del 2019 (“Gli occhi della tigre”, “Quando non ci crede nessuno”, “Fame” ft. Madman, “Animal” e “Brutti sogni”) il 15 marzo è stato pubblicato “Raptus Vol.3”, terzo mixtape di Nayt e -nonostante la giovane età- già il settimo lavoro da solista (ottavo se si considera la deluxe edition di “Un bacio”).
“Raptus Vol.3” è stato un album atteso per più di un anno, grazie anche all’hype creato dai sopracitati singoli (a partire da “Gli occhi della tigre”, il primo vero passo verso le luci della ribalta compiuto anche grazie a un dissing nei confronti di Sfera Ebbasta) e dalla partecipazione a Real Talk.
In definitiva però ha sofferto delle sue stesse aspettative, perlomeno per quel che è stato il giudizio di una consistente fetta di pubblico.
Personalmente ho avuto la fortuna di seguire Nayt per qualche anno ormai, e il processo di crescita è nel modo più assoluto innegabile, nonostante i germi della sua evoluzione fossero già presenti nei suoi progetti precedenti, la quale direzione era molto chiara.
Per queste ragioni io stesso non nego di essermi annoverato come parte di quella pletora di ascoltatori che riserbava delle aspettative senza dubbio alte nei confronti di questo nuovo disco; la differenza è che -a mio modesto avviso- “Raptus Vol.3” è ad oggi pienamente in corsa per essere nominato disco rap italiano dell’anno.
Proverò a spiegarne le ragioni passando per l’analisi di tre differenti aspetti ugualmente cruciali, quali le sonorità, la tecnica e le tematiche.
Prima di “dissezionare” il mixtape è però necessario sottolineare come tutti e tre gli elementi siano accomunati da due caratteristiche: la sperimentazione (riuscita) e completezza.
Sonorità: l’album è stato prodotto interamente da 3D, e la sua impronta è immediatamente riconoscibile in ogni pezzo.
Le sonorità di riferimento sono indubbiamente riconducibili a una gamma che spazia molto, attraversando in periodo che parte dalla fine degli anni ’80 e va fino all’inizio degli anni 2000: seppur utilizzando campioni e suoni più attuali, i modelli di riferimento passano da una certa branca della vaporwave, alla ripresa del jazz nelle basi rap che non può non ricordare i vari volumi dei Jazzmatazz di Guru, fino ad arrivare ad alcuni riferimenti più marcatamente rock hardcore, quasi nu-metal, il tutto molto ben confezionato in una produzione tutto sommato omogenea -per quanto variegata- e pulita.
Tecnica: Nayt, assieme a pochi altri, è fra i migliori rapper che la scena italiana può offrire in quanto a metriche, incastri e velocità (che miracolosamente non intacca la nitidezza dei testi), e chiunque dica il contrario è in malafede.
Da qualche anno a questa parte sta imprimendo una direzione molto precisa alle sue metriche e ai suoi flow, che nonostante siano impiegati continuamente riescono a non risultare ripetitivi, trovando sempre una chiave che possa fornire un apporto costante di novità.
E se sul rappato di Nayt non può esserci discussione, almeno altrettanta attenzione merita anche il suo aspetto più melodico: sia nei ritornelli dei brani più marcatamente rap, sia durante tutto il corso dei brani più tendenti al pop, la qualità del cantato e della linea melodica di Nayt risulta assolutamente soprendente, imponendosi come massiccio “quid” in più che veramente riesce a distinguerlo da una massa che in larga parte ricade nei soliti cliché melodici della Trap da una parte e del rap “vecchia scuola” dall’altra, risultando talvolta anacronistica.
Contenuti: così come altri artisti del calibro di Ernia, Tedua o Rkomi, Nayt fa parte di quella “generazione di mezzo” fra una nuovissima scuola di rapper (o più spesso trapper) che hanno cominciato ad approcciarsi alla musica solo molto recentemente, e la generazione precedente, ormai presente e affermata sulla scena da anni. Nonostante la giovane età e nonostante il relativamente recente successo, Nayt ha intrapreso una gavetta duratura, che indubitabilmente l’ha portato oggi ad avere una profondità liricistica superiore alla media.
Nonostante alcuni aspetti risultino ancora un po’ gratuiti e limabili (si pensi alla frase “meglio ne*ro che ipocrita” presente in “Effetto domino”, uno dei pezzi più d’impatto del disco: la bontà del concetto è intuibile, ma le modalità espressive sono ampiamente fraintendibili), generalmente l’impegno nella trattazione di tematiche anche politiche – e talvolta scomode, e l’utilizzo di un linguaggio molto evocativo, ricco di immagini e vocaboli nuovi, sono sicuramente aspetti encomiabili.
Inoltre, è da notare l’aspetto assolutamente non scontato della pretesa di una continuità -seppur portata avanti su binari alternativi e moderni, scansando in toto la copia- di un certo gusto linguistico e tematico di quella che è stata parte fondante del rap romano, ovverosia la tradizione legata a Cor veleno.
Uno dei pochi nei: la durata delle tracce; si ha l’impressione che Nayt possa (e forse voglia?) dire di più, articolare ulteriormente e che sia tuttavia in qualche modo costretto a comprimere la concettualità dei suoi testi in meno del tempo che si meriterebbero (e questo forse a causa di esigenze commerciali).
In generale, per riprendere le due caratteristiche di cui sopra, “Raptus Vol.3” è davvero un album molto variegato, dove ogni canzone cela un mondo (sonoro, tecnico, concettuale) a sé, compiendo un lavoro di apertura, innovazione e tendenza verso la completezza secondo forse solo all’operato di un assoluto peso massimo come Salmo.
Con la piccola differenza che Nayt è ancora all’inizio, e la strada delle sorprese che potrebbe rivelarci è ancora lunga.