Home RubricheNostalgia Canaglia “Creuza de mä” – 40 anni dopo

“Creuza de mä” – 40 anni dopo

by InsideMusic
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Nel Marzo del 1984 veniva pubblicato un disco destinato a cambiare per sempre la nostra musica: “Creuza de ma” è un album che va controcorrente, rispecchiando in pieno la filosofia del suo autore, da sempre in “direzione ostinata e contraria”. Ma perché questo disco di Fabrizio De André è stato così rivoluzionario? Scopriamolo insieme.

LA SCELTA DELLA LINGUA e il sound mediterraneo

“Tra le lingue neolatine figura l’italiano. Ma i dialetti, i cosiddetti “idiomi locali”, hanno assunto nel corso della storia una grande importanza, fornendo sempre nuova linfa al linguaggio comune, non quello parlato nei palazzi del Potere ma quello tipico dei quartieri più umili. Il dialetto genovese, ad esempio, tra quelli neolatini, è il più neoarabo di tutti. Proprio per la natura portuale di Genova, i suoi cittadini hanno assimilato e introdotto nel loro linguaggio suoni ed inflessioni provenienti da ogni paese dell’area mediterranea. La mia speranza, in questo senso, è che i dialetti possano continuare a resistere e ad esistere, se non altro per continuare a rinnovare ed impreziosire la lingua italiana”. Basterebbero queste parole di Fabrizio De André per spiegare l’audace scelta di realizzare un intero disco in “genovese antico”, una lingua che porta con sé secoli di contaminazioni. Per Fabrizio la sfida era enorme: fino a quel momento aveva basato tutto sulla chiarezza delle parole. Ora, invece, correva il rischio di non essere compreso nemmeno dai suoi stessi concittadini.

Mauro Pagani, polistrumentista e compositore che ha collaborato con De André, ha spiegato che dal punto di vista musicale l’idea era quella di sperimentare un “sound” che mescolasse la tradizione italiana con quella degli altri Paesi dell’area mediterranea: un viaggio musicale immaginario all’interno delle commistioni culturali che nel corso dei secoli si sono susseguite all’interno di questo mare.

Il primo passo è stato lo studio maniacale della musica di matrice araba e nord-africana, con la conseguente acquisizione di alcuni degli strumenti tipici di queste culture. Per la prima volta all’interno di un disco italiano verranno utilizzati, ad esempio, la darabouka (tipico strumento a percussione del Nord-Africa, Medio Oriente e Asia Centrale) e il bouzoki (chitarra a 3 corde di origine greca), anticipando il concetto di “world music” che spopolerà a cavallo degli anni ’90.

“Creuza de ma”: significato del brano

“Umbre de muri, muri de mainæ

dunde ne vegnî, duve l’é ch’anæ?

Da ‘n scitu duve a l’ûn-a a se mustra nûa
e a neutte a n’à puntou u cutellu ä gua”

“Ombre di facce, facce di marinai
da dove venite, dov’è che andate?

Da un posto dove la luna si mostra nuda
e la notte ci ha puntato il coltello alla gola”

Il brano che apre il disco è un manifesto del pensiero di Fabrizio De André. La creuza de mä è letteralmente un “viottolo di mare”, una delle tipiche strade che ancora oggi collegano l’entroterra ligure alla costa. I protagonisti del brano sono i marinai che vengono presentati come “stranieri della terra ferma”, vivendo spesso lontano dalle loro case per lavorare sulle imbarcazioni commerciali come pescatori.

Ma quando tornano percorrono proprio quelle mulattiere, quei viottoli per tornare in paese la sera. Si radunano alla taverna di “Andrea”, dove possono incrociare gli abitanti della terraferma per bere vino fino a tarda notte, mangiare ogni tipo di pietanza, fare l’amore con le prostitute.

Poi il giorno dopo, inevitabilmente, quei marinai risponderanno ai rispettivi padroni e saranno di nuovo a bordo di qualche imbarcazione, perché comunque il richiamo del mare è troppo forte e indispensabile alla loro sopravvivenza.

Come di consueto, Fabrizio De André ci restituisce uno spaccato straordinario della vita delle persone comuni, dei cosiddetti “ultimi”. Con poche semplici parole ci fa capire che il destino di ogni essere umano sia in fondo molto simile in ogni angolo del pianeta, donandoci un messaggio universale che sarà eternamente attuale.

di Luca Nebbiai

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