E’ uscito il 3 gennaio 2019 il film più intenso e personale del regista Julian Schnabel,”Van Gogh, sulla soglia dell’eternità”, in cui esplora il periodo finale della vita di Vincent Van Gogh attraverso uno sguardo originale ed inedito
Ho socchiuso tante volte quella porta. Nei miei sogni, nei miei pensieri, nei miei ascolti, nelle mie letture. Se chiudo gli occhi anche adesso sono lì, ad osservare in quella stanza mio nonno dipingere una copia della chiesa di Auvers o dei quindici girasoli in un vaso. Così ho scoperto Van Gogh, con l’odore della vernice, con la poesia dei colori, con lo sguardo a perdersi in una natura ammaliante, fatta di luce cangiante che amava soffermarsi nei grumi del pennello dopo essere stata posata sulla tela. Negli anni ne ho sempre indagato l’arte, ho tentato di tornare su quella soglia, riempiendo le pareti della mia casa con i suoi paesaggi bucolici, con i suoi ritratti malinconici, con i suoi cieli stellati. Il cinema in questo è forse stato il compagno più fidato, con diverse pellicole che mi hanno accompagnato in un percorso fatto di continue scoperte, tentando di raccontare la vita di quest’uomo tormentato, da Brama di Vivere con Kirk Douglas del 1956, al recente e bellissimo film d’animazione del 2017 “Loving Vincent“, dove 125 artisti hanno dato corpo ad una pellicola che, pur svolgendosi postuma alla vita di Vincent, attraverso mille dipinti ed oltre 65.000 fotogrammi ne ripercorreva splendidamente i frammenti più intensi, fino ad arrivare quest’anno a ” Sulla soglia dell’eternità” uscito lo scorso 3 gennaio.
Sesto film del regista (e pittore contemporaneo) Julian Schnabel., il lungometraggio si concentra sull’ultima parte di vita dell’artista olandese, insinuandosi sotto la sua pelle, scavando nel vorticare degli eventi drammatici verificatisi in quei pochi anni, e lo fa capovolgendo i punti di vista e lasciando che sia lo spettatore ad essere lui stesso lo sguardo, i pensieri, e l’anima di Vincent. Sposando la camera a mano il regista ed il pubblico divengono lo strumento con cui guardare e con cui dialogare ai molteplici comprimari della vita di Van Gogh in un modo sconvolgente e coinvolgente, che sia Gauguin o il dottor Gachet, Schnabel riempie lo schermo con i loro volti, indugiando in ogni piccola imperfezione, lasciando il tempo ad ogni parola di sedimentare all’interno delle nostre coscienze. La visione è spesso sfocata nella parte bassa, la camera si avvicina e sfiora il respiro dei personaggi, distorce la percezione delle distanze ed amplifica i particolari accarezzati dalla luce. Ci si ritrova così a camminare tra le spighe di grano con le braccia distese ed il viso rivolto verso il sole, osservando i nostri piedi scavare un sentiero con la scena che sussulta ad ogni passo, per poi ascoltare il fruscio del vento levarsi tra gli arbusti nelle pianure di Arles, mentre le mani si contraggono e fremono nell’atto di apporre vita sulla tela. Il riflesso di tutto ciò è un avanzare lento, che fa del silenzio e della meravigliosa colonna sonora di Tatiana Lisovskaya, con i suoi crescendo di piano e violino, l’accompagnamento lirico di un dramma esistenziale. Attimi di libertà e di riflessione, soventi interrotti da un discorso, dal brusio di sottofondo di altre persone che dialogano, da uno schermo nero che abbaglia, dal fruscio di mille foglie. Quello che Van Gogh aveva con l’arte era un legame pari forse solo all’affetto che nutriva per suo fratello Theo, un’empatia verso l’immensità degli spazi e l’umiltà dei più poveri, che guardava oltre l’orizzonte del suo tempo, oltre la meschinità del mondo. Ed il film cerca di indagare, attraverso l’approccio inedito di Schnabel, ciò che della vita di Vincent non era mai stato detto, le disquisizioni su Shakespeare all’ombra di un bicchiere d’assenzio, l’abbraccio ed il sofferto pianto con Theo in un letto d’ospedale, i silenzi ed i sorrisi con Gauguin taciuti alle biografie degli anni venturi. La sublime interpretazione di Willem Defoe in questo senso si rivela essenziale nel magnificare ogni sfumatura, perchè nel suo viso scavato, nel suo sorriso imperfetto, nel modo in cui riesce a penetrare lo schermo con lo sguardo, si percepisce l’intensità quasi soffocante di quei cieli stellati, di quei girasoli, di quell’umanità ai margini. E’ una pellicola intesa per essere assaporata lentamente, da sfogliare come le pagine di un libro, che vuole per la prima volta tratteggiare il pittore olandese non come un mito, ma come un uomo che ha instancabilmente cercato di porre l’arte e l’atto stesso della creazione come fondamento dell’esistenza, riportandomi, alla fine, dove tutto era cominciato. Ad accostare ancora una volta quella porta di legno, ad ascoltarne il cigolio andare a spegnersi lentamente, lì, sulla soglia dell’eternità.
Uno scrittore ed un sognatore che ama la natura, la musica, l’arte, la letteratura, la fotografia, il cinema. Sempre in cerca della tana del bianconiglio dove rintanarsi per poi crogiolarsi in un imperituro amore verso l’emozione di qualsiasi arte.