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Per la Rubrica Ritmo Sbilenco: Emerson, Lake & Palmer

by Luca.Ferri
Emerson Lake and Palmer copertina

Breve ma intenso. Tra i personaggi che ci hanno introdotto alla corte del re Cremisi, uno si ripresenta a noi oggi sotto una nuova veste: si tratta di Greg Lake, con la sua voce magnifica – versatile ed evocativa –  ed il suo basso così presente.

La sua esperienza con i King Crimson è tanto importante per tutta la musica successiva, quanto fugace: già tra la fine del 1969 e l’inizio del 1970, decide di separarsi dal gruppo di cui era stato voce, basso, compositore e – in parte – produttore, lasciando a metà la lavorazione del secondo LP. L’occasione giusta è l’incontro con un talentuoso tastierista, transfugo da un’altra band: si trattava di Keith Emerson.

Intenzionato a chiudere l’esperienza dei Nice, un gruppo con tendenze più morbide rispetto agli appetiti musicali di Emerson, il musicista non si fa sfuggire l’occasione di un incontro con Lake durante una rassegna live: l’idea di un supergruppo (cioè un gruppo formato da musicisti già affermati, grazie alla militanza in altre formazioni) attecchisce nella mente dei due, che si mettono alla ricerca di altri componenti.

Leggenda vuole (mancano conferme, ma la sola idea ci manda in visibilio) che, alla ricerca di un batterista, i due si fossero rivolti nientemeno che a Mitch Mitchell – batterista della Jimi Hendrix Experience – con l’obiettivo di arrivare fino allo stesso Hendrix. La stessa leggenda narra che i primi incontri esplorativi fossero andati bene, ma che i caratteracci di Emerson e Hendrix – e la sua improvvisa morte – ci abbiano impedito, ad un metro dal traguardo, di godere di qualcosa pericolosamente vicino alla sfera del divino, almeno in ambito musicale (sob!).

Sia come sia, la scelta ricadde infine su un giovane dal talento emozionante, in linea con gli altri due: Carl Palmer, proveniente dal gruppo degli Atomic Rooster, di estrazione hard rock. Seguendo la moda del momento e l’idea iniziale di Emerson, i tre decidono di cristallizzare la formazione a tre, tastiere-basso-batteria: sono nati gli Emerson, Lake & Palmer, di cui oggi vi presentiamo il primo album.

Il buongiorno si vede dal mattino. Se un supergruppo debutta dinanzi al grande pubblico al Festival dell’Isola di Wight, ed esordisce discograficamente con un album allucinante come Emerson, Lake & Palmer, la strada è spianata verso un successo folgorante ed imperituro: amen.

In questo primo lavoro c’è già tutto: frequenti richiami alla musica classica portati da Emerson e Lake, che ne avevano fatto ampio uso nelle precedenti esperienze; la possanza e l’intenzione di un batterista di chiare origini rock; e la voglia di sperimentare, che aveva spinto i tre ad unirsi in questo connubio perfetto.
L’album d’esordio, omonimo della band, rivela questa impronta già nella struttura: tre brani più corali e tre che poggiano più espressamente su uno dei membri. La sua complessità ci ha messo a dura prova: anche in questo aspetto, che testimonia della grande cultura musicale degli artisti e del loro eclettismo, risiede la ragione del profondo segno lasciato dai tre sulla musica contemporanea.

Album:

The Barbarian

E’ la prima traccia dell’LP e ci accoglie con il basso di Lake distorto quasi fino al fastidio: che sia una rimembranza dell’atmosfera che si respirava nei King Crimson di 21st Schizoid Man? A sollevarci subentra Emerson, con un tappeto di note liberamente ispirate a Bartòk (Allegro Barbaro, richiamata anche nel nome), ma solo finchè Palmer non decide di farci venire la tachicardia, a furia di percuotere tamburi. E questo è l’andamento del brano, che fa sudare anche da fermi e genera un pizzico di ansia, lasciando un inspiegabile desiderio di proseguire nell’ascolto.

Take a Pebble

Un cantato di Lake ed un’atmosfera più sospesa aprono questo secondo brano, che rivela una sezione tendente al folk e molto delicata, cui fa seguito una lunga coda tutta giocata sulla dinamica reintroduzione dei tre strumenti e del cantato, a chiudere il cerchio. Esprit de finesse.

Knife Edge

In questo pezzo, che chiude il lato A, si moltiplicano i richiami alla musica colta – in cui “quelli bravi” vedono soprattutto Bach – conditi distopicamente da un testo ansiogeno richiamato dal martellante basso di Lake e dalle stridenti sintetizzazioni di Emerson. Il testo è tipicamente prog, colmo di metafore ed allegorie: inutile dire che nessuna ha significati positivi. Non si passa indenni attraverso i King Crimson, a quanto pare…

The Three Fates

I tre destini, ovvero le tre Moire della mitologia greca: ad ognuna è dedicata una sezione di questo brano, in cui le tastiere spadroneggiano. Emerson si muove in lungo e in largo, su un ritmo a tratti sincopato, come sonorità, strumentazione ed intenzione. Ne deriva un lungo momento di coinvolgimento, dall’inizio alla fine della suite. Dal punto di vista tecnico, siamo a livelli altissimi. Forse troppo: non è difficile trovare accuse di autocompiacimento rivolte agli ELP; accuse che ai più ortodossi potrebbero suonare non così balzane, se riferite a brani tipo questo.

Tank

Se si dispone di un batterista che pare avere più arti del normale, perchè non dargli il giusto spazio? Soprattutto in un momento storico in cui i virtuosismi alla batteria erano ormai sdoganati e, anzi, godevano di una dignità propria (Bonham, sto parlando con te) e di un proprio spazio sul tracciato in vinile. Lo svolazzo dell’organo sintetizzato condisce con un po’ di armonia (nemmeno troppo facile e piana, a dire il vero) la prevalenza della sezione ritmica nel brano. Tra tutte, forse questa è la traccia che più indica il percorso che il gruppo seguirà nei lavori successivi.

Lucky Man

Uno dei brani più famosi della band, degna conclusione di un album davvero bello (forse non il migliore degli ELP), per quanto non facile. E momento di alleggerimento, almeno apparentemente: un tappeto sonoro più friendly, più abituale. Un testo che si apre dipingendo lo spaccato di una bella vita, narratoci dalla voce sublime di Lake: un uomo fortunato, facoltoso, che vive una vita abbondante.

“Uh what a lucky man he was” ripetuto, ancora e ancora: diventerà la sua nemesi; la morte in guerra farà da contrappasso a tanta fortuna. Un destino così nefasto non può non riportarci alla cupezza delle Moire di The three Fates e al pessimismo che sembra intridere la porzione di carriera di Lake che abbiamo, sin qui, ascoltato.

Luca Angelini e Marco Coco

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