Il supergruppo capitanato da Lorenzo Esposito Fornasari è tornato con la sua nuova fatica in studio dal titolo quanto mai criptico di Ramagehead (la cover è di Adam Jones dei Tool), uscito lo scorso 22 febbraio 2019 per Kscope
Un album complesso e sfaccettato, che riesce a racchiudere dentro le sue nove tracce sfumature di diversi generi, in un vero e proprio tratteggio in musica delle oscurità umane.
Ad accompagnare Fornasari (voce) in questa disamina troviamo musicisti che per gli appassionati non hanno certo bisogno di presentazioni, ovvero Pat Mastelotto (batteria), Colin Edwin (basso) e Carmelo Pipitone (chitarre). Ciascun componente è stato (ed in alcuni casi ancora è) attivo promotore del successo e della ricchezza compositiva di altri gruppi fondamentali del genere progressive, come Porcupine Tree (Edwin) , King Crimson (Mastellotto), Marta sui Tubi (Pipitone).
Di recente ho avuto modo di poter ammirare dal vivo la compattezza e l’intensità degli O.R.k in apertura ad alcune date di un altra magnifica band, i Pineapple Thief, ed il suono che mi porto ancora dentro da quell’esperienza è lo stesso riscontrabile in questo nuovo album.
Il singolo di apertura Kneel to Nothing apre in modo esplosivo il disco, una traccia che da sola sembra unire in un tutt’uno la deflagrazione grunge dei Soundgarden (in più occasioni la voce di Fornasari ricorda davvero molto da vicino quella del compianto Chris Cornell), all’ipnotica costruzione sonora dei primi King Crimson.
La sezione ritmica con il basso pulsante di Edwin e l’incredibile batteria di Mastellotto sono quello che elevano questa traccia, ma in generale l’intero album, al di sopra di ogni gusto soggettivo.
Non si può poi rimanere impassibili di fronte a certe fraseggi di chitarra di Pipitone, per un ascolto che deve necessariamente godere di calma nonostante la durata complessiva del disco non superi i 38 minuti.
Altro brano (e secondo singolo) incredibile è poi sicuramente Black Blooms, che vede la collaborazione di una delle voci più riconoscibili e particolari del panorama rock, ossi quella di Serj Tankian dei System Of a Down.
Un pezzo che parte lento e gradualmente sale d’intensità proprio nei momenti che vedono Tankian ergersi e gridare la propria disperazione al di sopra di tutto, con Fornasari a completarne la portata attraverso la propria di voce, che è, come già detto, altrettanto incisiva.
Le tematiche, riguardanti il tempo odierno colmo dei suoi condizionamenti e della sua malata voglia di uniformità, si sposa bene con il generale sentore di compatta oscurità e malinconia che permea anche i brani più morbidi come Down the Road.
Da citare anche la mini suite divisa in due tracce, Some Other Rainbow, che vede nella prima e breve parte di 1.33 minuti un’introduzione al motivo principale che poi, nella seconda e più lunga traccia di 5.34, viene espanso sino a divenire una bellissima ascesa di tutti gli strumenti, guidati dall’intercalare costante del violino.
Una conclusione degna per un album che riesce a portare avanti la sperimentazione sonora degli O.R.k. creando una sorta di ibrido musicale tra grunge e progressive, e lasciando ben pochi dubbi sulla qualità delle future uscite discografiche.
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