Tra le molte band che gravitano nel panorama progressive contemporaneo senza dubbio i Leprous sono una delle proposte più interessanti degli ultimi anni. Dal 2009, data di uscita del loro primo album, ad oggi sono sempre stati in grado di offrire musica profondamente originale, unica nel suo genere e ricca di personalità. Sonorità oscure e gotiche, cantati slanciati e quasi lirici, riffing di chitarra prevalentemente ritmico e a tratti minimale, batterie isteriche e disparità metriche. Sono, tutti questi, elementi in grado di costituire un chiaro manifesto musicale capace di renderli indistinguibili già ai primi ascolti.Non fa eccezione Malina, quinta fatica della band norvegese rilasciata il 25 settembre 2017, che anzi non fa altro che alzare ulteriormente l’asticella andando a produrre un’opera dal grandissimo valore musicale, coronamento indubbio di un processo evolutivo chiaro e tangibile che li ha visti protagonisti dal 2009 in poi.
Un diamante a metà tra progressive metal e progressive rock.
C’è chi ama la musica orecchiabile e di facile ascolto, chi ama melodie intricate,ricercate e raffinate, chi si gode l’atmosfera e la tranquillità del jazz o della musica new age, chi ama muoversi a ritmo metal. Bene, con Malina i Leprous sono riusciti a soddisfare ogni palato possibile. Un album equilibrato, il più orecchiabile e allo stesso tempo forse il più raffinato della loro produzione. Un lavoro in grado di coniugare sentimento ed emotività con un tasso tecnico sempre elevato come ci si aspetta da una band di tale livello. Vi è anche un forte dualismo tra passato e presente (e forse futuro). Ascoltandolo è impossibile non riconoscere lo stile caratteristico della band norvegese rimanendo però allo stesso tempo stupiti dalla sua originalità e diversità rispetto ai restanti lavori. Abbiamo i vecchi Leprous, abbiamo però anche qualcosa di nuovo. Difficile da definire, ancor più da descrivere.
Le danze vengono aperte da Bonneville. Un 4/4 quasi dialogato che vede tastiere, chitarre e basso scambiarsi battute a suon di note ed armonici alternandosi tra loro sorrette da una batteria costante e in grado non solo di scandire ottimamente la cadenza del pezzo ma anche di riempire una traccia li dove potrebbe rischiare di apparire più vuota e scarna. Un crescendo lento e costante porta poi alla conclusione di un pezzo che in cinque minuti e mezzo già rende evidente quanto di nuovo potremo trovare nel resto dell’album.
Seguono Stuck e From the flame. Questi due pezzi, di fatto scelti come singoli di lancio dell’album, sono probabilmente i più orecchiabili dell’intero lavoro. Slanciati, melodici, dotati di ritornelli estremamente orecchiabili ma al contempo carichi di emotività e dramma. Senza dubbio le prime a rimanere in testa già ai primi ascolti ma non per questo le più banali (vedasi la strofa in 13/8 di From the flame).
Con Captive e Illuminate ritroviamo i Leprous dei precedenti Coal e The Congregation. La prima si apre con un frenetico riffing staccato (utilizzato anche come ritornello) per poi proseguire con una strofa dal gusto estremamente roccheggiante e groovy sorretta da basso distorto, chitarra e tastiere. Illuminate è invece il pezzo che meglio rappresenta la vena minimale della band che tanto era emersa negli ultimi lavori. Un unico riff sincopato di basso e tastiere sorreggerà l’intero pezzo per tutta la sua durata. Un lieve cambiamento ritmico, un feel di batteria e l’ingresso della chitarra ci gettano in un ritornello che vede Solberg interpretare un cantato potente, tirato ed epico. Un pezzo scarno, minimale, a tratti frenetico e tirato che ottimamente rappresenta il lato dei Leprous che meglio abbiamo conosciuto negli ultimi anni.
Leashes si apre mostrando le sembianze di una vera e propria ballata. Una chitarra delicatamente arpeggiata sorregge un cantato pacato e malinconico. Giunti al minuto tutto si interrompere, chitarra e voce in solitaria anticipano quello che sarà un ritornello esplosivo, violento, drammatico, cantato su note vertiginose e sorretto da muri di chitarre e basso. Un pezzo estremamente emotivo, teatrale, quasi bipolare nel suo essere tanto delicato quanto violento nelle sue varie fasi.
Segue Mirage. Momento di punta dell’album, uno dei pezzi probabilmente più complessi e duri di tutto il lavoro. Un preludio di soli sintetizzatori apre a uno dei riff più pesanti mai suonati dalla band norvegese, accostabile addirittura a sonorità che riportano schiettamente al Djent dei Meshuggah. Sulla strofa i sintetizzatori riprendono il giro iniziale facendo da tappeto mentre basso e batteria si incrociano in un valzer fatto di accenti spostati e ritmiche sincopate. All’ingresso della chitarra iniziano ad alzarsi i toni, la tensione è evidente, la costruzione del crescendo impeccabile. La prestazione di Einar Solberg è favolosa, tra le migliori esecuzioni e linee vocali mai scritte dal cantante Norvegese. Questo crescendo di frenesia e tensione si risolve poi, dopo tre minuti e mezzo, in un esplosione totale dove la voce sfiora altitudini spettacolari. La traccia si conclude poi tra cantati vertiginosi e pesantissime chitarre.
Malina, la title track, è un pezzo dai toni malinconici e solenni, sorretto quasi interamente da sola voce, sintetizzatori e archi con chitarre e batteria quasi solamente accennate.Dopo Coma, traccia frenetica scandita da un quasi onnipresente riff di chitarra e batteria con doppio pedale (momento più basso dell’album, piuttosto monotono e piatto), e The Weight of Disaster, pezzo ottimamente riuscito articolato in un alternarsi di momenti estremamente pacati, riffing isterici e refrain drammatici e slanciati, troviamo The Last Milestone. Mastodontico e teatrale pezzo di chiusura che vede un Solberg (che ci ha deliziato per l’intero album con prestazioni vocali qualitativamente elevatissime) alle prese con una linea vocale da opera lirica sorretta da archi e organi. Una conclusione inusuale ed estremamente sperimentale a conferma di quanto questi nuovi Leprous abbiano scelto di esplorare le loro possibilità musicali a 360 gradi senza però mai tradire la loro personalità.
Malina è un rollercoaster emotivo, un serpente che striscia e si muove tra picchi di angoscia, malinconia, disperazione e dramma. Il miscelaneo di tracce, omogenee e differenti tra loro al tempo stesso, è studiato con estrema perizia. Tutto è esattamente li dove dovrebbe stare.Un album maturo, completo, che abbraccia nuovo e vecchio, classici Leprous ed elementi aggiuntivi, freschi e sperimentali. Con questo album i norvegesi mettono in mostra una maturità musicale ormai raggiunta e in grado di dare risultati strabilianti e di estremo valore.

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