Torna puntuale l’appuntamento settimanale con Gioved-INDIE, la nostra rubrica del giovedì più indipendente del web: ospite del giorno Francesco Forni. Chitarrista e compositore di grande talento sulla scena da oltre dieci anni, autore di colonne sonore teatrali, Francesco ha pubblicato lo scorso 17 marzo, per l’etichetta indipendente Lamastrock/Goodfellas, il suo terzo album in collaborazione con Ilaria Graziano, intitolato “Twinkle Twinkle“.
Ciao Francesco, benvenuto nella nostra rubrica del giovedì più indipendente del web, Gioved-INDIE, domanda introduttiva generale: cos’è per te l’INDIE e cosa si mantiene, non per forza in ambito musicale, ancora INDIPENDENTE?
Oggigiorno “indie” è una parola che indica un genere che va di moda, mentre indipendente è una condizione concreta di sostegno rispetto alla propria musica e alla propria carriera. Essere indipendente, secondo me, significa costruirsi una strada da soli, non per forza senza l’ausilio di un’etichetta o partner, al di là di ciò che richiede il mercato. Indipendenza artistica vuol dire seguire le proprie esigenze e necessità e cercare di proporla a quanta più gente possibile. Indipendente è colui il quale ha la massima libertà di scegliere di inventarsi il proprio lavoro, non solo in musica ma anche in altri ambiti, ad esempio in politica il Movimento Cinque Stelle costituisce un’alternativa, si è costruito una propria strada senza ripercorrere quelle degli altri partiti.
I vostri primi due album hanno riscosso molto più successo all’estero che in Italia, vedi Canada e Francia. Come ve lo spiegate? Si tratta unicamente di un problema di lingua?
Non è sicuramente un problema di lingua, anche perché il secondo disco è quasi totalmente in italiano, nei paesi francofoni, in realtà, la lingua italiana è molto apprezzata, anche più dell’inglese. In generale, tutti e tre i nostri album, sono stati immaginati per il mercato italiano, anche perché i primi due sono stati suonati esclusivamente in Italia, dopodiché prima di scrivere il terzo ci siamo affacciati all’estero e siamo stati accolti benissimo. Sicuramente un artista che proviene dall’estero desta maggiore curiosità e gli viene dato più ascolto, inoltre in Italia è difficile suonare musica dal vivo e portare un progetto su scala nazionale. All’estero c’è una rete nazionale completamente diversa dalla nostra, la quale ultimamente si è piuttosto sgretolata: al di fuori di indie, mainstream e talent show non c’è posto per nessuno. Il nostro duo, così come altri gruppi, ha bisogno di vendere il disco, cosa che riusciamo a fare quasi esclusivamente ai concerti.
In quale paese vi piacerebbe ancora arrivare con la vostra musica?
Certamente negli Stati uniti. Quest’anno abbiamo un mese di tour in Canada e non siamo riusciti ad incastrare delle date negli States. Avevamo avuto una serie di richieste, anche se un po’ distanziate tra loro dal punto di vista logistico: si tratta di tour molto dispendiosi per cui per essere giustificati necessitano di un certo numero di date, i day-off ed il trasporto di strumenti costano un sacco di soldi. Sarò a due passi da Seattle, ma purtroppo non potrò suonare in questa città che nel mio immaginario rappresenta un punto di riferimento musicale.
È durante questi viaggi in tour che nascono le vostre nuove canzoni?
Sicuramente abbiamo scritto gran parte dei testi e ci siamo appuntati molto materiale, anche più di quanto poi è finito nell’album, mentre risulta più difficile lavorare alla parte musicale durante i viaggi, magari anche perché non c’è abbastanza concentrazione, anche se qualcosina ci capita di registrare tramite il cellulare. I viaggi, dunque, costituiscono una fonte d’ispirazione per la nostra musica, specialmente quelli “on the road”, in cui ti trovi ad attraversare paesaggi inediti.
Al di là della questione linguistica, in che cosa si differenzia questo vostro ultimo disco rispetto ai due precedenti dal punto di vista prettamente sonoro?
I primi due dischi sono stati la realizzazione di canzoni che suonavamo già in precedenza, questo terzo album, invece, è stato tutto scritto e registrato prima, soltanto adesso lo stiamo portando dal vivo a trovare la sua versione live, a rendere i pezzi elastici e adatti per la performance. In “Twinkle Twinkle” le sonorità e gli arrangiamenti risultano un po’ più allargati, perché in studio nel momento della registrazione ho suonato anche dei pianoforti, così come una chitarra Clyde, e ne è fuoriuscito un suono nuovo che nei primi album non era presente: le tracce dei due predecessori, infatti, rispecchiavamo molto la versione che già eseguivamo dal vivo. Per quanto riguarda la scrittura, ogni disco ha un percorso diverso, però non si tratta di un percorso che conosciamo a priori, ma di cui ci accorgiamo soltanto in seguito. Se il secondo disco racconta storie per lo più inventate, i testi del nuovo lavoro parlano di noi, dell’essere umano e sono più diretti.
Vi siete esibiti tantissimo all’estero, tastando numerose scene europee e mondiali. Quali sono le differenze tra i panorami musicali internazionali e quello italiano?
All’estero c’è un panorama musicale molto più vario, non che in Italia non ci sia, però lì c’è un po’ di spazio per tutti. Abbiamo scoperto davvero tanta musica che in Italia non arriva proprio, abbiamo conosciuto numerosi artisti formidabili. Sembra assurdo nell’era di Spotify in cui puoi trovare di tutto, in realtà si va a ricercare ciò che già si conosce e ne deriva che tutto il resto sia difficile da reperire. Negli anni ’90 era diverso, venivano a suonare a Napoli musicisti e band che non per forza conoscessi già e così in quel periodo della mia vita mi sono arricchito molto, ma anche grazie ai rapporti con i venditori di dischi, i quali mi consigliavano determinati artisti ambiti in una precisa regione del mondo. Ora che è tutto è a disposizione è molto più facile uniformarsi e seguire il flusso. Inoltre, all’estero c’è un panorama live molto più ricco e vario: diversi musicisti, infatti, vorrebbero venire a suonare in Italia ma non ci riescono, perché qui nessuno rischia nel pagare artisti provenienti da fuori se non si ha la certezza di vendere tanti biglietti.
Tra dieci anni ti vedi ancora in duo o rivedi una svolta in solitaria?
Ognuno di noi due ha sempre fatto altre cose, diciamo che ultimamente ci dedichiamo maggiormente al duo perché ci porta via tanto tempo, energie, ma anche numerose soddisfazioni. Nel prossimo anno solare abbiamo già pianificato tutto e al termine non sono previste altre cose. Chissà magari in questo periodo potrà capitare di scrivere individualmente qualcosa da portare in altri contesti. L’importante è rimanere coerenti con le proprie esigenze creative.
Ti saluto con un gioco: scegli un tuo collega indipendente a cui inviare un messaggio, una nota di stima, un vaffanculo, chiedere un featuring, io proverò a sentirlo ed aprirò la sua intervista con il tuo appello. Chi scegli e cosa senti di dirgli?
Voglio lanciare questo messaggio a degli stimatissimi colleghi, nonché amici con i quali in parte ho già collaborato: si tratta dei Calibro 35! È una band che adoro e mi piacerebbe ancora collaborare con loro, quindi il mio appello è rivolto a loro.o il resto sia difficile da reperire.
A cura di Lorenzo Scuotto
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