È appena uscito “Canzoni d’amore”, il nuovo singolo di Benedetta Raina. Il brano si avvale di sonorità oniriche e di una componente testuale dolce ma mai banale. Cosa ci rende più vulnerabili dell’amore, specialmente se si è alle prime esperienze?
Per onestà Benedetta dichiara di non saper scrivere canzoni d’amore ma in realtà quello che il testo trasmette è la sensazione che si prova durante un salto nel vuoto, ebrezza e paura si fondono in quel mix che chiamiamo amore.
Ciao Benedetta, come stai vivendo questo periodo di novità per la tua musica, ma anche di cristallizzazione della vita quotidiana. Per una diciannovenne penso sia difficile…
È dura, mentirei a dire il contrario, ma d’altro canto sto scrivendo tanto. Per chi scrive o compone sfruttare periodi di difficoltà, a livello creativo, è una costante, perché hai qualcosa di cui lamentarti. Le cose a cui stiamo lavorando in studio sono molte. Non vedo l’ora di far sentire il brano che è appena uscito “Canzoni d’amore”. L’ho iniziato a scrivere due anni fa, cantando sotto la doccia e per me è una rarità scrivere così di getto. C’è anche da dire che per finirlo ci ho messo un anno e mezzo, quasi due. Sono partita dalla considerazione che non so scrivere canzoni d’amore; è così difficile trovare le parole giuste, meno scontate, per descrivere il sentimento. di cui più si è parlato. in musica, perché l’amore è l’argomento per eccellenza. Volevo scrivere qualcosa che non fosse l’ennesima canzone d’amore. L’unico modo che ho trovato è constatare che non so scrivere canzoni di questo tipo. In parallelo il testo parla di come, soprattutto quando lo provi per la prima volta, diventi difficile da gestire e da interpretare.
Nel tuo nuovo singolo dici che “ai nostri giorni l’amore è un concetto scontato”….ma se così fosse non gli avresti dedicato una canzone, non trovi?
Nella nostra generazione in particolare è difficile identificare l’amore nel senso più tradizionale del termine, come lo si intendeva una volta. Guardando a tempi non lontanissimi, anche solo confrontando le generazioni d’oggi con la generazione dei miei genitori, si vede come tutti avessero la cultura dello sposarsi, del mettersi insieme a livello ufficiale, cosa che adesso è quasi del tutto assente. L’amore è un concetto, forse un po’ più scontato ai giorni d’oggi, però quello che volevo dire è che invece non lo è proprio, è un sentimento veramente puro che si manifesta in talmente tanti modi che non si può racchiudere in 3 minuti di canzone, quindi lo dico fin da subito: non mi prendo la briga di poterlo fare io!
Sei di Alessandria anche tu come Tavo, vi conoscete? C’è un buon fermento nella vostra città?
Siamo nella stessa etichetta discrografica; Noize Hills, infatti l’ultimo live che ho fatto ad ottobre, lo abbiamo fatto insieme. È un’etichetta giovane, nella quale ci conosciamo tutti e siamo molto uniti. È più un’amicizia che un rapporto lavoro. Credo che un fermento culturale ci sia ovunque: ad Alessandria abbiamo la fortuna di avere questa piccola realtà, che è veramente unica, che ha saputo trovare dei talenti e dare fiducia a persone con un potenziale. Quando ho iniziato a fare musica avevo circa 14 anni ma, ovviamente, a quell’età non facevo quello che faccio adesso, diciamo che hanno intravisto in me del potenziale.
Che rapporto hai con i social?
Ne parlo in “Stata mai” ma purtroppo no, non sono una persona da social. Se dovessi scegliere per la mia vita personale, da non artista, li cancellerei tutti. Non lo dico ironicamente, l’ho anche già fatto, quando avevo 16 anni, che è l’età tipo in cui magari ci si perde più tempo. Li ho riscaricati per esigenze lavorative, perché i social sono tutto, figuriamoci ora che non si può neanche più andare in giro a portare la propria musica; ormai sono veramente l’unico modo per farsi conoscere, lo erano già prima, ma adesso sono fondamentali. Non voglio fare la solita strana, non penso che i social siano il male, anzi, secondo me sono una cosa bellissima, ma non sono per me, sono una persona riservatissima. Quello che metto sui social corrisponde alla mia vita ma ne condivido poca rispetto a quello che dovrei fare da musicista.
Come ti collocheresti nel panorama musicale?
In questo periodo particolare, sono molto confusa anche sulle direzioni da prendersi per i miei progetti futuri; in studio ci sono veramente tante idee diverse. Per quello che è uscito fino ad ora, mi considererei indie-pop che, a tratti, in certe canzoni, magari in certi concetti, osa un po’ di più in una direzione un po’ più elettronica; però non mi sentirei di usare un termine che si discosta molto dai indie- pop elettronico.
Cosa vorresti nel tuo futuro?
Il mio sogno è creare un concept album, che sia retto da un concetto talmente forte che ogni canzone può essere unita all’altra. È un progetto ambizioso che, credo, valga la pena di far uscire solo quando hai un seguito tale da poter vendere molte copie fisiche, che la gente è disposta a consumare, ad apprezzare come si deve. Per ora credo farò come ho fatto l’anno scorso: usciranno dei singoli e poi quando ci sarà abbastanza materiale si potranno riunire in un EP, che è un progetto più completo, con più canzoni unite, ma meno ambizioso.
Dato che ci stiamo avvicinando a Sanremo e quest’anno ci sono in gara delle tue colleghe molto giovani, ti chiedo, che ne pensi?
Sai, ho un tarlo, vorrei conoscere molte artiste femminili. Prendendo ad esempio realtà che conosco meglio, sono l’unica ragazza in Noize Hills. Quest’anno mi fa molto piacere vedere Ariete e Madame, in gara tra i giovanissimi e che stanno salendo nelle classifiche. Mi piacciono tantissimo anche Levante e Francesca Michielin, le adoro, sono proprio i miei riferimenti principali. Mi piacerebbe sentireancora più donne, mi piacerebbe che fosse data più fiducia nell’industria musicale al potenziale femminile, perché ancora troppo spesso vedo, purtroppo, una dominanza di artisti uomini.
Sanremo è assolutamente il palco più importante d’Italia; è il momento dell’anno in cui la musica è la protagonista assoluta, è una cosa quasi magica. Di solito mi discosto da questo tipo di tradizionalismo, ma mi piacerebbe eccome partecipare!
So che hai avuto una folgorazione per la musica anni 90 e che, inizialmente, scrivevi in inglese, poi ti sei convertita grazie a Calcutta…
Ho passato i 16-17 anni ad ascoltare solo Nirvana, Radiohead… Sono stati la mia formazione musicale e non credo farei la musica che faccio adesso se non li avessi ascoltati per anni. Paradossalmente ora, crescendo, sono più al passo con i tempi! I Nirvana sono stati importantissimi: per Kurt Cobain ho sempre avuto una grande ammirazione. Effettivamente ho iniziato a scrivere in inglese, l’italiano è arrivato dopo, perché mi ero chiusa mentalmente, come fanno tanti ragazzi della mia età. Tendo sempre a difendere la mia generazione Z, ma su questa cosa siamo molto indietro. Con Calcutta ho scoperto la bellezza della musica italiana e quanto può essere versatile.


Per ogni cosa c’è un posto
ma quello della meraviglia
è solo un po’ più nascosto
(Niccolò Fabi)