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Warrel Dane, la recensione di Shadow Work

by Riccardo Rossi
shadow work

“Fate is cruel when dreams, like candles, fade

No one sees what tomorrow knows”

Due versi, due corridoi di lettere che sfumano ed acquisiscono vigore nel vorticare della vita, così profetici letti ora, così splendidi nella loro prima apparizione in What Tomorrow Knows, brano dall’album omonimo dei Nevermore datato 1995. Ad anni di distanza, volgendo lo sguardo indietro quello che si scorge è un sentiero disseminato di tante piccole fiamme, dischi infusi di quella malinconia straniante che la voce di Warrel sapeva come trasfigurare in pura eleganza, con le parole insignite di messaggi che univano una decadente poesia a denunce al vetriolo nei confronti di una società sempre più sull’orlo di un abisso oscuro ed insondabile. Oscurità che ha infine inghiottito lo stesso Dane il 13 dicembre del 2017, quando nel bel mezzo delle registrazioni per il suo secondo album solista “Shadow Work” è stato vittima di un attacco cardiaco a San Paolo in Brasile, lasciando l’intera comunità metal attonita. Una delle voci più particolari ed intense della scena lasciava questa esistenza dopo 3 dischi con i Sanctuary, 8 con i Nevermore ed uno da solista, Praises To The War Machine, ed in molti si sono domandati se il più volte annunciato secondo lavoro a suo nome avrebbe mai visto la luce. Sebbene inizialmente congelato nel tempo come un cristallo in attesa di risplendere, Shadow Work ha poi trovato il 26 ottobre prossimo il giusto momento di presentarsi al pubblico, unendo il materiale già pronto con ciò che da pre-produzioni e varie sessioni vocali era stato possibile ricomporre in brani compiuti, anche se degli iniziali 80 minuti previsti si è stati costretti a scendere a quasi 42.

shadow work

Dal cupo e tormentato artwork di Travis Smith, come sempre capace di raffigurare l’anima di un disco in un’immagine, si arriva così all’ascolto di questo album dal duplice simbolismo con un velo di tristezza, da un lato postuma ed ultima opera di Dane, dall’altro uno dei dischi che più unisce ciò che ha maturato in ambito Nevermore con quello che aveva provato a fare da solo attingendo ad una linea melodica più marcata. Ethereal Blessing, breve brano posto in apertura, ne è un fulgido esempio, dirigendosi verso lidi acustici in cui la capacità di Warrel di creare orizzonti sonori rimarca in modo profetico un ineluttabile destino nel suo essere accostabile sia ad un’elegia funebre sia ad una benedizione prima di un periglioso viaggio nell’ignoto. Il primo pezzo vero e proprio degli 8 totali, Madame Satan, si insinua subito in angusti e serratissimi passaggi degni di quel capolavoro di This Godless Endeavor che Dane incise con i Nevermore, e che più volte ritorna alla mente all’interno di tutto il disco, aggiungendovi anche un pizzico di growl come contorno. Anche i due singoli che erano stati rilasciati finora al pubblico e che qui ritroviamo come perni centrali, rispettivamente Disconnection System e As Fast As The Others, sono a tutti gli effetti i perfetti comuni denominatori di un racconto di sofferenza, dove il Warrel più intimo incontra le selvagge sferzate di Johnny Moraes e Thiago Oliveira alle chitarre con il lacerante ritmo di Marcus Dotta dietro la batteria, in un connubio che non mancherà di emozionare i fan nostalgici.

La seconda metà dell’album vede in prima linea la title track, uno dei momenti più cupi e d’impatto fin dal suo iniziale incedere marziale, maschera volubile dietro cui il nostro Dane trascina l’ascoltatore in un altalena dentro la notte, lasciando il resto del mondo lì fuori ad attendere mentre un liberatorio quanto sofferto “Take me away” fuoriesce dall’oscurità. La produzione e l’impatto esaltano ed amplificano ogni singola sezione, ed anche le ultime 3 tracce ne beneficiano,The Hanging Garden ha una resa ritmica pazzesca, ma in particolare Rain, palco d’emozioni per la voce di Warrell dove ne viene risaltato il lato teatrale grazie anche al sottofondo della pioggia che fa capolino lungo lo scorrere del brano. In chiusura troviamo poi Mother Is The Word For God, davvero sublime nel suo preludio per poi ergersi in un lungo e sofferente racconto di 9 minuti e 31, qui c’è tutto Warrel, c’è la sua storia, la sua vita, i suoi trascorsi, la sua voce. Concluso l’ascolto quello che rimane è un lavoro impeccabile seppure ridimensionato rispetto alla sua concezione iniziale, che nel suo essere inevitabilmente attraversato trasversalmente da malinconia e tristezza per una perdita così improvvisa riesce in ogni caso ad esserne un ricordo prezioso ed autentico, lasciando ai posteri il dovere di tramandarne la musica e le parole.

La tracklist:

01. Ethereal Blessing
02. Madame Satan
03. Disconnection System
04. As Fast as the Others
05. Shadow Work
06. The Hanging Garden (THE CURE cover)
07. Rain
08. Mother Is the Word for God

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