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Transiberiana, l’agognato ritorno del Banco del Mutuo Soccorso: recensione

by InsideMusic
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Transiberiana è il nuovo album della storica band del Banco del Mutuo Soccorso, in uscita il 10 maggio per Inside Out e preceduto dal singolo L’Imprevisto.

Come ci si approccia ad un mito?

Si può dare per scontato esso si basi su fondamenta concrete, e, dunque, come avvenuto per il Timeo e Crizia di Platone, si va a ricercare in lungo e in largo la realtà dietro di esso; oppure lo si può trattare per ciò che è, salvo poi incappare, come fu per Heinrich Schliemann, nella realtà dietro il mito, scoprendo la patria di Ettore e Priamo, Troia.

Quando invece si tratta di miti musicali – specie nel prog, genere che ha come scopo ben preciso l’avanzamento della musica e la libertà compositiva- la questione è differente. Se parliamo di King Crimson, viene in mente la stramberia della vita di Robert Fripp, geniale chitarrista quanto incostante; coi Pink Floyd possiamo piangere sulla morte di Richard Wright, un uomo che fu un mito vivente; se tiriamo in mezzo la scena di Canterbury, si possono ricordare con amore le sperimentazioni dei Soft Machine – salvo gli stand de Le Bizzarre Avventure di JoJo; gli occhioni dei Gentle Giant campeggeranno sempre nella nostra memoria; se, invece, vogliamo rimanere in Italia, sovvengono alla mente due band, la Premiata Forneria Marconi e il Banco del Mutuo Soccorso. Band attualmente composta da Vittorio Nocenzi (piano, tastiera e voce), Filippo Marcheggiani (chitarra), Nicola Di Già (chitarra ritmica), Marco Capozi (basso), Fabio Moresco (batteria), Tony D’Alessio (voce).

La PFM ha rilasciato l’anno scorso Emotional Tattoos (qui la recensione), che rilancia un sound più aperto all’Europa e più moderno grazie alla influenze dell’attuale casa discografica, la Inside Out, che ha nel roaster gente del calibro di Devin Townsend. Stessa casa discografica che ha abbracciato e fatto sua, dalla Germania, il mito del Banco del Mutuo Soccorso.

Un mito fatto di sperimentazioni e di stalle leggendarie, traboccanti amplificatori, di campionamenti tecnologici e di concept d’avanguardia, fatto del talento del prematuramente scomparso Francesco di Giacomo. Un mito che ha prevalso nel fittissimo ambiente prog dei gloriosi seventies in Italia, fra New Trolls, Alunni del Sole, Alphataurus, Il Buon Vecchio Charlie e tanti altri.

E ora, quel mito, quel Banco, è tornato fra noi: Transiberiana, il primo album di inediti da venticinque lunghi anni, dopo “Il 13”, album che lanciò il Banco del Mutuo Soccorso per un ultimo trionfale tour mondiale. Eppure, in realtà, decisamente non è finita.

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  • Stelle sulla terra
  • L’imprevisto
  • La discesa dal treno
  • L’assalto dei lupi
  • Campi di Fragole
  • Lo sciamano
  • Eterna Transiberiana
  • I ruderi del gulag
  • Lasciando alle spalle
  • Il grande bianco
  • Oceano: Strade di sale

Per il loro trionfale ritorno Il Banco si affida ad un tema che non è mai banale, mai noioso: il viaggio. E con la potenza descrittiva della loro musica, che rifugge lo schema – sì, banale – del intro-refrain-midsec-refrain-ending, trasportano l’ascoltatore nelle gelide profondità della Siberia, dilaghi ghiacciati formati da asteroidi dimenticati,  e di un treno che deraglia, uno Snowpiercer sulla Terra.

La ferrovia Transiberiana unisce Mosca con la costa Pacifica della Russia, terminando a Vladivostok. Oggetto di numerosissime ambientazioni letterarie e non, ha da sempre rappresentato metafora di infinite vastità e terre selvagge; l’ultima frontiera da strappare alla Natura. E, come un vento che soffia impetuoso senza avvisaglie, Transiberiana parte con Stelle Sulla Terra.

Gli elementi del Banco ci sono tutti: sonorità complesse, estrema attenzione al background ritmico – qui rappresentato da una distantissima drum machine, un battito di cuore agitato, in un creativo crescendo di effetti tastieristici che si sommano ad una chitarra che molto è debitrice dell’heavy metal ed al cantato tenorile di Vittorio Nocenzi. E appare, ascolto dopo ascolto, una netta immagine: una notte gelida, su una pianura sconfinata, un treno che corre come un fiume metallico, qualche albero ridotto ad una macchia che fugge rapida, e, su tutto, gigantesca, la Via Lattea. Cavalli, anche loro atterriti dal gelo, che corrono liberi.

L’allegria de L’Imprevisto ci sorprende poi: la Natura selvaggia reclama il treno congelando i binari, ed il canto da tragicommedia della slide guitar suona di un ottimismo che sfocia nell’audacia più sfrenata. E se fosse, invece, l’occasione di una nuova vita, un punto 0 feuerbachiano, come per i protagonisti del film The Way Back?

Come ho già detto, mai come in Transiberiana il Banco ha abbracciato il metal: testimone ne è La Discesa dal Treno. Impossibile proseguire sui binari gelati, si deve scendere e accamparsi. Il ghiaccio stringe i suoi artigli sull’esile civiltà dell’uomo; la chitarra grida di disperazione, i sogni di evasione accarezzati muoiono nel freddo di una notte senza stelle nella tundra. Alla linea vocale – melodrammatica ed espressiva – si aggiunge un piano di contrappunto, quasi fosse un coro di viaggiatori che scavano nelle loro valigie alla ricerca degli abiti più pesanti che possiedono. Ed, eccola là, la stoccata: la mid section che è affidata ad un’improvvisazione jazz di piano, mista ad una chitarra heavy metal, synth ritmico e marziale debitore a sua volta delle sperimentazioni post-grunge dei Tool.

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Vittorio Nocenzi in studio di registrazione.
PH: Pierluigi di Pietro

Il Grande Bianco della tundra, erba secca, gialla, stenta, permafrost sterile e virus ameboidi criogenati da ere, reclama ciò che è proprio durante L’Assalto dei Lupi: e si sogna di ritrovarsi durante Darwin!, in quanto il Banco cita se stesso in questo brano di tempi dispari, di synth evocativi di ululati e di basso preponderante nella costruzione finale della frase musicale. Una balalaika, perfetta per l’ambientazione, si inserisce prepotente poco prima del cantato di D’Alessio, un inno alla potenza del sistema nervoso autonomo; ed ecco che gli strumenti de L’Assalto dei Lupi null’altro sono se non le pulsazioni elettriche di un umano terrorizzato.

La breve Campi di Fragole permane nel sentore retrò che aveva permeato il brano precedente: struttura del brano che si rifa a grandi modelli degli anni ’60, hit provenienti dai Beatles di Sgt. Pepper e dei momenti più riflessivi dei Beach Boys.

Dopo un breve riposo, giusto il tempo dell’agitato sonno di chi sogna la speranza della vita in un mare di ghiaccio, si torna alla dura realtà del naufragio dal Treno: Lo Sciamano. La Siberia, terra appartenente – politicamente – alla sterminata Russia, ma, in realtà, suddivisa in mille etnie diverse, religioni, lingue, minuscoli villaggi abbandonati in paludi sterminate e gelate, foreste misteriose, miniere allagate e segreti militari. La terra dove c’è la città più fredda del mondo: Ojmjakon. Tutto questo e di più è descritto ne Lo Sciamano, puro sogno jazz fusion sperimentale che non evita nulla – né profusione di synth, né chitarra acida, né progressione aritmetica in tempo dispari. Tutta la ferocia di una terra che rifiuta l’Umanità si riversa nel brano, straripa dalla linea vocale fortemente distorta e dissonante, occhi gialli d’ittero per il troppo bere che guardano con sospetto agli uccelli migratori.

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Ojmjakon, città della Jacutia, ove si toccano i -65*. Courtesy to Siberiantimes Picture: Gavril Sobakin

Il treno sembra ripartire, c’è forse un disgelo. Lo capiamo dal ritorno del tema iniziale di Transiberiana; salvo poi l’intrusione di sonorità da musical, ma travestite con la maschera d’inquietudine delle migliori colonne sonore di Angelo Badalamenti. Un triste notturno, in spinetta e chitarra, un uomo che, costretto in una landa lontanissima dal mare, ne anela semplicemente il moto.

Ricordo di aver letto, tempo fa, all’interno della serie di Avengers Ultimates, una storia di Warren Ellis riguardo i maldestri tentativi da parte dei sovietici di replicare il Siero del Super Soldato, la soluzione che diede vita a Capitan America, Steve Rogers: mostri sofferenti, relegati all’oscurità di un gulag sotterraneo, costretti ad odiare ciò che non possono essere. Ed è esattamente ciò che I Ruderi del Gulag evoca: i pochi sopravvissuti all’attacco dei lupi si ritrovano in un campo di prigionia e di “ricerca” tipico dei tempi dell’URSS, tanto amati da Giuseppe Stalin. Privilegiati, scampati alla morte, che, in accordi diminuiti di pianoforte descrittivo, si ritrovano davanti ad un luogo di morte per chi aveva avuto il coraggio di manifestare il suo Io.

Non è grave, non è urgente.

Non temere, non è niente.

Ma le scelte sono inutili

senza qualcuno da odiare.

La componente black jazz, di sassofoni e fiati, riporta poi alla mente le persecuzioni razziali, dando così un significato ambivalente al viaggio dei sopravvissuti della Transberiana.

La strumentale Lasciando alle Spalle, una ri-organizzazione oscura di piano e celesta del tema introdotto in Discesa dal Treno, ci porta poi a Il Grande bianco, che ai fan più accaniti del Banco non risulterà estreanea. Eh già, perché la stessa frase musicale era già stata utilizzata in 750.000 anni fa..l’amore? da Darwin!. Una storia d’amore di note, appunto, che dura una vita: ed ecco che il brano migliore, per fruibilità ed inventiva, si dispiega in virtuosismi classicheggianti ed operistici, gigantismi musicali e paesaggistici – gigantesche distese innevate, fiocchi di neve che cadono al ritmo del pianoforte sincopato. L’Hammond, vento che soffia veloce, assieme ai synth squisitamente eighties e a là Asia, piange nel silenzio della tundra. Il Grande Bianco, una mini-opera rock, come Ayreon ha insegnato in quel di Inside Out.

Siamo alla fine. Il viaggio è ripreso, proseguito in pace – come all’inizio, in Stelle Sulla Terra – ed il treno della Transiberiana è giunto a Vladivostok. L’immensità marina tanto agognata è ora di fronte ai sopravvissuti, libera e gioiosa: Oceano:strade di sale, hammond, chitarra e batteria per ciò che probabilmente sarà uno dei prossimi singoli da Transiberiana.

Veduta della Transiberiana nei pressi del Lago Baikal. Courtesy of inews.co.uk

Il nuovo viaggio del Banco del Mutuo Soccorso è terminato, e, come quando si torna a casa, è tempo di bilanci. Transiberiana è un album potente ed evocativo, ma pecca in fruibilità, essendo diretto ad un pubblico estremamente musicalmente colto, capace di cogliere sottigliezze, paziente e ingordo di virtuosismi. Se, però, lo si inscrive nella discografia del Banco ma, soprattutto, nel panorama contemporaneo del prog rock e metal, risulta essere un capolavoro di strabiliante sincerità. Perché il Banco, in un tempo in cui si lancia in complessi concept album, in politica e satira, ha avuto il coraggio di proporre un prezioso storytelling e di fregarsene degli stilemi preponderanti attualmente, creando un’antologia della propria storia musicale ma anche una piccola lezione di composizione a chi vorrà ascoltarla e coglierla.

Transiberiana non è un album per tutti, né tantomeno per tutti i palati. Sa di radici, di vodka, di neve fradicia. Così come un viaggio in Siberia è per pochi, solitari, coraggiosi.

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