Con la musica si possono fare tante cose, compreso abbattere il muro dell’indifferenza che si manifesta in tanti modi diversi. Militant A questo ruolo lo ha fatto suo e ha saputo descrivere la lotta della propria generazione diventando un modello per chiunque si sia approcciato al rap in Italia negli ultimi decenni.
L’ultimo album di Assalti Frontali, di cui Militant A è il fondatore, si intitola “Courage” e spazia dall’educazione all’ impegno per l’ambiente, attraversando tematiche come la gestione della pandemia, le comunità frantumate, la guerra, l’emergenza climatica.
Un disco, pensato come un concept album che ci parla del mondo che stiamo vivendo e ci dà una risposta che è insita nel titolo stesso: non dobbiamo aver paura, né come singoli né come comunità.
Questo è il decimo album con Assalti Frontali: è anche per celebrare questo traguardo che hai sentito l’esigenza di scrivere un concept album o perché il momento storico in cui ci troviamo lo richiedeva?
L’ho fatto perché sentivo proprio la necessità di far uscire un disco; quando i tempi sono maturi lo senti.
Erano diversi anni che stavamo facendo uscire dei singoli come Simonetta e Piazza Indipendenza.
Dopo l’album che celebrava i 30 anni di attività, c’era bisogno di un nuovo album, un disco più completo, che desse dignità al lavoro del gruppo.
Effettivamente in questo momento vanno più i singoli perché la gente non ha più voglia di stare quaranta minuti ad ascoltare un album intero.
L’album è sempre una tacca nella carriera ed io stesso, quando mi guardo indietro, vedo il tempo scandito dagli album che sono usciti e che raccontavano un periodo.
Con questo disco volevo raccontare tutto questo periodo, molto particolare, di solitudine dovuta al Covid e il fatto che ci siamo chiusi anche nei rapporti.
Da qui il titolo Courage (coraggio), che inneggia alla speranza: risolleviamoci e riprendiamoci.
Il disco inneggia al coraggio di credere al futuro in un mondo che non ne ha più; tra l’altro hai sempre affrontato con le tue canzoni temi sociali, talvolta scomodi. Come ti senti ora, guardando agli inizi della tua carriera?
Mi piace ripensare all’irruenza con cui abbiamo fatto le cose, al periodo di confusione in cui abbiamo cercato di fissare quello che vivevamo nelle canzoni.
È stato un periodo di passaggio, gli anni ‘70/80, in cui il Movimento Italiano era molto forte a livello ideologico e rivoluzionario…
Stavano cambiando i linguaggi e noi abbiamo capito certe cose e, con la musica, abbiamo cercato di raccontarle con un linguaggio nuovo, che poi ci ha messo in connessione con il futuro.
È stata un’intuizione il fatto di fare rap e di farlo in quel modo….
Sono contento e mi ricordo tanta, tantissima energia, tanto crederci; sentivo che avremmo fatto delle cose importanti.
Non pensavo che quell’esperienza sarebbe durata addirittura più di trent’anni, ma sentivo che stavamo facendo delle cose importanti perché ci credevamo tantissimo.
“Difendi l’albero”, “Strade perse” e “Arteducatore” sono canzoni nate durante dei laboratori che tieni con i ragazzi delle scuole, anche fuori dall’Italia. Girando per le scuole che realtà hai incontrato?
Quello che portiamo nelle scuole è, non solo un’idea di Arteducazione, di linguaggio della musica, ma anche la mia storia che, chiaramente, i ragazzi non conoscono minimamente.
Quella storia di inclusione, di socialità, di coesione, di relazioni, che li aiuta a sciogliere l’atmosfera, a farli sentire liberi di aprire il cuore.
Sentirsi liberi è forse la cosa di cui avrebbero più bisogno e, invece, a scuola si sentono in gabbia.
Farli parlare, ascoltarli, capire le loro storie è frutto anche del lavoro che ho fatto in questi trent’anni.
“Ufo nella scena” parla di quando hai iniziato a fare rap. Cosa è cambiato in questi 35 anni?
Certo, è cambiato tutto, è diventata una cosa molto diffusa, che è concentrata più sulla forma che sul contenuto, anzi il contenuto è una rappresentazione del consumismo, della merce; noi invece combattevamo!
Poi con i ragazzi si trovano un sacco di punti di connessione, dei temi importanti di cui parlare come l’omofobia, la tutela della natura, la lotta contro il bullismo.
Capita che magari non si aspettino di trovare una sponda che li capisca, con cui poter parlare.
Il tema dell’inclusione sociale è presente in tutto il disco, tanto che hai scelto di girare il video di “Courage” nello storico centro culturale kurdo Ararat.
Sembra che il rap sia ancora l’unico mezzo per denunciare ciò che non va, laddove la politica non fa abbastanza?
Di solito gli artisti hanno sempre parlato della guerra, sono intervenuti nei dibattiti pubblici… Noi ne abbiamo parlato anche nel brano “La morale” dell’ultimo album, mentre ora sembra tutto molto silenziato.
Sento che c’è meno la realtà, la vita vera, nelle canzoni…. Poi magari posso sbagliarmi, ma è questa la mia sensazione.
All’estero ho lavorato anche in Libano, nella situazione difficile di un paese in guerra e quindi c’era anche tanta paura della violenza e di tutto quello che la guerra scatena…
Avete scritto una canzone che racconta la bellissima storia del lago della ex SNIA. Una storia che va raccontata a tutti e invece si conosce così poco fuori Roma, perché?
“Il lago che combatte” è stata scritta circa 8 anni fa, durante l’estate del 2014, in un momento abbastanza cruciale per il lago, perché scadevano i 10 anni a disposizione del Comune di Roma per l’esproprio dell’area, dopo tutta una serie di contenziosi che l’avevano interessato.
La canzone è stata scritta a quattro mani, insieme al Muro del Canto, un gruppo romano impegnato anch’esso nelle battaglie sociali; loro hanno iniziato a comporre la musica, mentre io ho cominciato a lavorare su delle parole chiave, che secondo me erano importanti, come la figura del palazzinaro.
A me viene da piangere per tutte le vicissitudini legate a questo lago, che non ha intorno le montagne; eppure, esiste e ha combattuto per esserci…
La storia stessa dei quartieri che gli stanno intorno si è intrecciata con questo prodigio della natura.
Nella canzone raccontiamo una storia complicata e lunga, che ti fa venire voglia di conoscerla meglio; il tutto è sottolineato dal bellissimo ritornello scritto da Daniele Coccia del Muro.
Il video è stato girato quando ancora non si poteva arrivare fino alla riva del lago, quindi, anche quella è stata un’avventura: ci siamo calati dentro alle 6 del mattino, con il timore che ci scoprissero…
L’intento dei compagni che ci hanno chiesto di scrivere la canzone era quello di dare visibilità, appunto, a quanto stava accadendo.
Grazie alla canzone e a quel video in tanti hanno conosciuto la storia del Lago della ex SNIA e, improvvisamente, questa vicenda è diventata nota!
È stata la forza dell’Arte e della musica a creare quel momento bellissimo, che ha contribuito a far diventare il lago quello che è oggi; infatti, se ci arrivano le scolaresche ed è aperto e fruibile da tutti, è grazie all’impegno di chi ha lottato per difendere un luogo magico, in cui ci si dimentica del traffico della città che sta intorno e che la comunità sente come suo.
Di recente avete al parco della ex Snia per dare sostegno agli abitanti dei quartieri vicini che stanno cercando di preservare quello spazio verde nato a dispetto di tutto…
Sì, qualche domenica fa c’è stata una grandissima manifestazione perché, spesso, le istituzioni sono un po’ ambigue e, nonostante la parte lacustre sia stata dichiarata monumento ambientale, l’alta parte, quella della fabbrica, no; anzi, è stata data la concessione a costruire, non si sa bene cosa…
Sembra assurdo ma potrebbero costruire, per esempio, un polo logistico, dove magari passeranno i tir accanto al lago: sarebbe davvero una vergogna!
È stato organizzato, quindi, un grande evento, al quale hanno partecipato migliaia di persone, diversi gruppi, tra cui noi di Assalti Frontali e il Muro del Canto.
Io stesso, lavorando parecchio nelle scuole, mi sono reso conto che i ragazzi non sanno nulla di questa storia e invece è un posto che va assolutamente visto, perché lo merita, al pari del Colosseo o di San Pietro.
Conservare la memoria delle vicende che lo hanno riguardato è fondamentale, perché appena si distrae l’attenzione subentrano subito degli altri interessi….
È come se l’acqua si fosse ripresa il suo spazio per vendicare questo sopruso fatto contro il quartiere e la comunità, volendo distruggere tutto con una colata di cemento là dove, invece, ci doveva essere il parco.
La natura ha combattuto contro questa ingiustizia e noi l’abbiamo solo aiutata a vincere!
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Per ogni cosa c’è un posto
ma quello della meraviglia
è solo un po’ più nascosto
(Niccolò Fabi)