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Loyle Carner – “Not waving, but drowning”

by Antonio Sartori
loyle carner
Benjamin Coyle-Larner, in arte Loyle Carner: artista, attore e rapper dello storico distretto di Lambeth (una delle aree di Londra situate a Sud del Tamigi), classe ’94.
Dopo il grande successo del suo primo EP “Yesterday’s gone”, il 19 Aprile 2019 è uscito “Not waving, but drowning”, per AMF records, album che conta le collaborazioni di Sampha, Jorja Smith, Jordan Rakei e Tom Misch.

Il miglior modo di analizzare propriamente l’ultimo lavoro di Carner consiste nel partire dall’inizio, dalle prime quattro parole, ovvero dal titolo: infatti, l’album prende il nome da una poesia di Stevie Smith, nella quale il poeta narra di un uomo che affoga di fronte all’incapacità degli astanti di capire se il dimenarsi dell’uomo sia una forma di saluto o una richiesta d’aiuto.
Il carattere gioviale e all’apparenza buffo della situazione maschera in maniera non troppo velata -e anzi in parte amplifica- un lato più tragico e legato alla turbolenza interiore, ed è per questo che il titolo stesso è in grado di offrire una metafora ideale per la descrizione dell’andamento musicale e liricistico dell’artista londinese.

Carner persiste nel suo tentativo di innovazione, utilizzando un metodo basato sul ritorno: rifiuta gli stereotipi legati agli insulti, alle minacce e agli eccessi dell’hip-hop per dar voce a dei veri e propri sfoghi diaristici di elevata intimità, cullati dalle confortanti sonorità dall’anima vintage, risultando così paradossalmente rinfrescante, perlomeno per contrasto.

La voce morbida e rilassata di Carner ci accompagna attraverso i suoi testi, sensibili ma certamente maturi, privi della paura di perdersi nei sentimenti, permettendosi così il lusso di un’elevata introspezione finalizzata ad esplorare le proprie fragilità.
Testi che, nonostante le ambizioni di una ricerca intima che possa valere universalmente, si ritrovano a parlare inesorabilmente del quotidiano e delle sue possibilità epiche o drammatiche: quando non si slancia in liriche su sua madre o sulla bellezza della sua ragazza, Carner decide di piangere un’amicizia di lunga data, oppure la morte di un celebre chef celebre da poco defunto.

Mentre “Yesterday’s Gone” si profilava come un album incentrato sui vari ostacoli che Carner si era trovato ad affrontare lungo il corso della sua crescita, i brani di “Not waving, but drowning”, legati assieme da brevi clip audio tratti da momenti di vita personale, hanno molteplici finalità: da rappresentare un ringraziamento alla madre, fino ad una lettera d’amore per l’amata, passando dalla messa in luce delle prove e delle tribolazioni del successo; il tutto affrontato con il solito andamento malinconico che caratterizza l’autore, arricchito però da una nuova maturità, mutuata dalla crescita artistica e personale, ed espressa nella capacità di ispirare positività, di far intravedere un lume di speranza nell’affrontare tematiche talvolta pesanti, legate al dolore e alla frustrazione.

Le tonalità vagamente cupe delle 15 tracce che compongono l’album potrebbero trarre in inganno gli ascoltatore in cerca di sonorità leggermente più veloci o energiche (presenti, seppur in minima parte, nel primo EP), ma la pazienza di un ascolto completo e approfondito verrà pienamente ripagata dalla delicata collezione di storie narrate per mezzo dei pensosi soliloqui.
Forse Loyle Carter non sarà un artista di impatto, ma la sua anima da narratore di storie e le sue qualità di poeta innamorato dell’hip-hop non possono lasciare indifferente nessuno, e non risultano eccessivamente laboriose da metabolizzare grazie anche all’incredibile brillantezza e imprevedibilità del suono e alle sapienti collaborazioni, perfettamente in grado di creare grande varietà nell’ascolto.

L’unico neo dell’album è forse quello di non aver variato molto direzione rispetto a quello precedente, decidendo di fare un passo avanti nel proprio mondo invece di espandersi per fare appello a un nuovo pubblico.
Tuttavia, per il giovane artista il momento era opportuno per un disco del genere, introspettivo e brutalmente intimo: una raccolta di rap morbido, ma animato dal geniale carisma di Carner; un album che trascina l’ascoltatore e lo fa ondeggiare in un oceano di sentimentalismo e nostalgia.

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