“MACEDONIA” è l’album d’esordio di SGRÒ; un titolo emblematico dato che i brani che lo compongono descrivono vari stati d’animo del cantautore.
Quest’estate Sgrò si è esibito lungo la riviera adriatica (da Comacchio in Emilia Romagna fino a Peschici in Puglia) nel MANCHI SOLO TOUR, un tour per strada e ha partecipato a festival come il Lumen di Vicenza, il Ripartire di Lucca, il Viareggio Music Festival e il MEI di Faenza.
Lo abbiamo intervistato alla vigilia dell’uscita dell’album cercando di conoscere meglio Sgrò e le sue canzoni/macedonia, emozioni tagliate in piccoli pezzi, aspri e dolci.
Ascoltando i brani che compongono l’album li ho trovati molto diversi, come se fossero dei pezzi di te; è per questo che il tuo album di esordio si intitola “Macedonia”?
È vero quello che dici. Perlomeno una parte del titolo allude sicuramente al fatto che ogni brano è come un frutto a sé stante.
Spero però che gli ascoltatori riusciranno a vivere questi brani anche come una macedonia. Il sapore è anche dato dall’insieme di ogni pezzettino di frutta, più o meno maturo, più o meno dolce.
“In differita” è stato il tuo primo singolo e racconta il momento in cui non si va più in sincronia in una storia d’amore ma, a volte, capita di trovarsi fuori tempo anche con se stessi. Ti è capitato?
Penso ci sia sempre un momento in una relazione, sia con gli altri ma anche con noi stessi, in cui si è sfasati, appunto in differita l’uno rispetto all’altro, o rispetto a parti di sé.
Quasi sempre in questi casi si sente subito l’esigenza di colmare quello spazio, senza capire che a volte lo stare insieme è proprio dato da quello spazio lì. Uno spazio necessario, e comunque doloroso.
Il cuore del tuo progetto è ispirato a due mostri sacri della musica italiana come Battisti e Battiato e, qui e là, nei tuoi brani c’è qualche richiamo. Quanto è difficile far sentire la tua voce oggi, in un mondo che ascolta poco e forse parla troppo?
Da balbuziente quando parlo mi domando spesso se riuscirò o meno a completare la frase.
Far sentire la voce, che per me è associata alla parola, è il terreno su cui si gioca il mio stare nel mondo.
Il mondo è di chi se lo prende, dicono, e quindi di chi parla. Siamo circondati da parole, siamo noi stessi parole, nomi.
Far sentire la voce è un impegno di identità, una necessità. Per me è molto difficile perché ho un’educazione interiore fatta di indici puntati che vogliono che io stia al mio posto, e il mio posto, secondo loro, è fatto di silenzio e passività.
Hai scelto di far uscire molti brani prima di pubblicare l’album; è una modalità particolare, come se non lo volessi far “comprare a scatola chiusa”, è così?
La decisione è stata influenzata dal covid. Senza covid avrei fatto uscire soltanto due brani, invece che quattro, prima di depositare questo album.
Questa estate hai fatto un tour in solitaria, che esperienza è stata e qual è stata la risposta del pubblico? Qualcosa ti ha stupito?
Sì, ho fatto un tour, il “Manchi solo tour”, chitarra e voce, suonando unicamente i miei brani, su tutta la riviera adriatica dall’Emilia fino in Puglia. È stata un’esperienza massacrante, emotivamente e fisicamente. Quindi, è stato bellissimo.
Cercavo proprio la scomodità. Non ne potevo più di vivere dentro il mio solito vocabolario di presunte ansie e presunte verità. Avevo bisogno di realtà. E così è stato. Ho incontrato il mondo, ed è stato sempre un incontro fertile.
Quello che mi ha stupito è stato riuscire a darmi così tanto agli altri. Ero sempre esposto, rivelato. Una situazione per me inedita e anche difficile. Però ho retto l’urto del mondo, anche se a dire il vero dopo un mese ero completamente fuso.

Per ogni cosa c’è un posto
ma quello della meraviglia
è solo un po’ più nascosto
(Niccolò Fabi)