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Flo – La Mentirosa [Recensione]

by InsideMusic

Una delle frasi più famose di Rudyard Kipling è “La prima condizione per comprendere un Paese straniero, è annusarlo…” come a dire che il viaggio è un’esperienza totale, comprende tutti i sensi, per primi quelli più evocativi come l’olfatto.

La Mentirosa, uscito per SoundFly Records, è il terzo disco di Flo, arrivato a due anni di distanza dal Mese del Rosario. L’album è un grande viaggio, come già ci aveva abituato a fare nei precedenti due lavori l’artista napoletana,  alle cui musiche ha collaborato Michele Maione che da tempo accompagna la cantante partenopea ed è stato prodotto dalle sapienti mani di Daniele Sepe.

Si annusano odori diversi che evocano paesaggi, colori e sapori molto lontani tra loro, ma non per questo diversi. Ci si muove come all’interno di una Babele, non a caso Babel è il brano che apre il disco, fatta di lingue e tradizioni diverse che però a furia di essere declinate al ritmo di musica si confondono tra loro creando un grande racconto più grande dei singoli episodi: questo racconto è La Mentirosa.

Lo spagnolo fa capolino in canzoni come Chavela, brano che omaggia Chavela Vargas, una delle più grandi voci nella storia della musica conosciuta spesso più per essere stata l’amante di Frida Khalo e non per la sua vita coraggiosa e artista fondamentale. Non a caso di recente anche due artisti come Dimartino e  Fabrizio Cammarata hanno dedicato un intero viaggio nel suo mondo culminato con un album di sue cover. Il Sudamerica ritorna anche in Ponte de Areia, uno dei capolavori di Milton Nascimento, qui interpretato con Tommy De Paola alle tastiere e Daniele Sepe al sassofono.

Fosse Capace colpisce al primo ascolto, una dichiarazione d’amore come un tuffo senza rete, spinti dalla forza di un sentimento che ci rende ciechi ma che porta a scrivere canzoni belle come questa e spesso ci fa pensare “ne è valsa la pena, nonostante tutto”. La Mentirosa, canzone che dà il titolo al disco, è la trasposizione in musica e in napoletano di alcuni versi del “Contratto del poeta” di Fernando Di Leo, maestro del cinema noir italiano. Una tarantella sul mistero della morte, concetto tanto caro a molte culture simili tra loro come quella napoletana e quella messicana. Cosa ci aspetta dopo la morta nessuno lo sa davvero, intanto il ritmo incalzante di questo brano ci proietta in una sorta di girone dantesco in cui l’unico modo che conosciamo per esorcizzare la paura dell’aldilà è ballare furiosamente. In Lunar ecco arrivare gli archi degli Ondanueve a sottolineare il ritmo ondeggiante di un brano che racconta la ciclicità della nostra esistenza, quasi a continuare il discorso de la Mentirosa, un eterno ritorno perfettamente in equilibrio tra musica e parole. 

Quando verrai ci porta improvvisamente in Grecia, tranquilli non ci si sposta mai dalla parte a sud del planisfero. Come il campanile di Cesare Pavese in qualche modo in questo disco il punto di riferimento resta sempre il mare. Non a caso la canzone successiva è Cassandra, famosa per le sue predizioni inascoltate. Lo sguardo di una cassandra moderna capace di capire le persone che ha di fronte, specie se sono uomini. Qui ritorna utile Kipling che in qualche modo aveva predetto il senso di questo brano in un’altra sua famosa frase “La donna più stupida può manovrare un uomo intelligente, ma ci vuole una donna molto intelligente per manovrare uno stupido”.

Il disco si chiude con due canzoni delicate e molto personali. A braccia aperte è un racconto di come possa essere forte il legame tra fratelli, anche quando si cresce e le vite prendono strade che allontanano.  Metafora di questo legame l’arpa di Gianluca Rovinello con il suo suono dolce ma al contempo solido.

chi torna è perso e desideri soltanto chi non è tornato mai…

Il segno che non volevi riassume un po’ il disco. Parla delle ferite che ti lasciano le persone che perdi, che semmai hai amato e restano solo in una cicatrice, anche se la cicatrice la vedi soltanto tu. Così le canzoni scritte bene, suonate meglio e cantate come Flo le sa cantare restano, come cicatrici. Perché molta musica scritta oggi passa troppo velocemente, questo disco invece tra voli alti e discese vertiginose ci porta in giro tenendoci per mano e ci abbandona improvvisamente, ci lascia negli occhi molte fotografie di scorci bellissimi ed anche l’amaro di storie finite male, di morte e di polvere. Questo disco resta nelle narici come un paese straniero che si ha ancora voglia di conoscere anche dopo vari ascolti.

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