In queste settimane i teatri di gran parte d’Italia stanno diventando delle School of Rock con il musical di Pasquale Petrolo, ai più noto come Lillo del duo Lillo e Greg, e Massimo Romeo Piparo, riempiendosi di note distorte, di lezioni di matematica a suon di chitarra, di lezioni di rock.
Tratto dal celebre film del 2003 con protagonista l’istrionico Jack Black, il musical School of Rock è approdato sui palcoscenici per la prima volta nel 2015, a Broadway. Non esattamente il teatrino della parrocchia di periferia, insomma.
Da allora la versione teatrale – adattata Glenn Slater e Julian Fellowes e con arrangiamenti curati da Andrew Lloyd Webber – ha riscosso grande successo in USA, compiendo un balzo nelle terre dei canguri e riscuotendo anche in quel caso un ottimo successo. Addirittura la Cina ha potuto godere e apprezzare la trasposizione su palcoscenico delle vicende di Dewey Finn, squattrinato musicista che aspira all’olimpo del rock e che finge di essere un supplente in una scuola privata di alto retaggio.
Da Broadway all’italico stivale il passo è lungo, molto lungo. Bisogna prendere una rincorsa adeguata per atterrare non dico bene, ma facendosi meno male possibile. Soprattutto se si parla di musical. Un rischio che è in gran parte sulle spalle di Pasquale Petrolo, ai più noto come Lillo del duo Lillo e Greg, e Massimo Romeo Piparo, curatore della traduzione e dell’adattamento nella nostra lingua.
Bene, la rincorsa è stata effettuata prendendo tutte le misure del caso con minuziosa cura: scenografie per lo più azzeccate, siparietti e battute divertenti rese molto bene. Il cast è di una bravura mirabile, i ragazzi L’Accademia del Teatro Sistina (età media 12 anni) recitano, ballano, cantano e suonano dal vivo dannatamente bene.
Bisogna ammettere, tuttavia, che l’atterraggio ha suscitato qualche scricchiolio. La prima parte del musical ha un effetto straniante. La lingua italiana ha una musicalità (è proprio il caso di dirlo) completamente diversa dall’inglese. È un’ovvietà, ma in questo caso si assiste di tanto a un “Effetto Zecchino d’Oro”, con parti che inevitabilmente si ammorbidiscono un po’ per impostazione attoriale, un po’ proprio per scelte di adattamento del testo d’origine.
Ma siamo a School of Rock, il qui presente alunno, seduto in maniera scomposta in platea, è un novellino del musical: ciò che può stranire molto me, non necessariamente deve fare storcere il naso a chi è più avvezzo. Tuttavia, la sensazione in sala è che, a livelli differenti, la mia sensazione fosse condivisa dalla maggior parte dei presenti.
La seconda parte dello spettacolo è decisamente più solida, con un ritmo molto più bilanciato, meno tempi morti e una struttura più funzionale. Rimane sottotraccia un sentore straniante per alcune parti, ma l’ilarità ha preso il sopravvento in molte più occasioni. Questo è decisamente un fattore estremamente positivo: se il pubblico viene coinvolto soprattutto sotto questo aspetto, il lavoro sul palco e dietro le quinte può dirsi riuscito. Se l’atterraggio in un primo momento non è stato perfetto, la versione italiana del musical di School of Rock riesce comunque a risollevarsi con dignità.
Non sveleremo tutta la trama, non tanto per rischio spoiler, quanto piuttosto diamo per scontato che voi, cari lettori di Inside Music, conosciate a menadito il film di School of Rock dal quale il musical ricalca il 90% delle vicende. Se non lo conoscete, shame, shame, shame (cit.). Avete tuttavia un motivo in più per recarvi a teatro con i vostri fratellini, cuginetti o, perché no, con tutta la famiglia e passare due ore di divertimento e buon rock.
di Andrea Mariano
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