Come ogni giovedì riecco una nuova puntata della rubrica più indipendente del web, Gioved-INDIE. Ospite del giorno Katres, nome d’arte di Teresa Capuano, giovane cantautrice che ha già ottenuto numerosi riconoscimenti: l’artista ci ha raccontato il suo secondo album – “Araba fenice” – uscito lo scorso 23 febbraio per Giungla Dischi, il rapporto con la musica e con le scene artistiche alle quali è legata ed infine l’esperienza con Ermal Meta.
Ciao Teresa, benvenuto nella nostra rubrica del giovedì più indipendente del web, Gioved-INDIE, domanda introduttiva generale: cos’è per te l’INDIE e cosa si mantiene ancora INDIPENDENTE?
L’indie dovrebbe essere qualcosa che è indipendente, gli artisti indie sono quelli che si autoproducono e che non seguono dei filoni specifici, anche se questa cosa oggi si è un po’ persa. Chi si mantiene ancora indipendente? Forse gli artisti di strada che spaziano dalle arti figurative a quelle musicali, forse sono loro i veri autentici.
Partiamo dagli inizi. In che modo ti sei avvicinata alla musica e quando ti sei accorta che quello della cantautrice sarebbe diventato il tuo mestiere? C’è stato un episodio in particolare?
Sono sempre stata un’appassionata di musica sin da piccola, il mio gioco preferito era fare la cantante. All’età di dodici anni ho imparato a suonare la chitarra ed iniziato anche a scrivere. Ho pensato che la musica sarebbe potuta diventare parte integrante della mia vita quando ho cominciato a fare concerti, lì ho capito di possedere uno strumento potentissimo con cui poter arrivare alle persone, trasmettere loro le mie emozioni.
Nel corso della tua carriera hai ricevuto numerosi riconoscimenti e sei stata anche finalista del Premio Bianca d’Aponte e del Premio Bindi. Cosa ti hanno insegnato queste esperienze?
Da queste esperienze ho imparato che la gara in sé diventa qualcosa di relativo, quando ci si trova all’interno di queste manifestazioni si ha la possibilità di confrontarsi con altri artisti che magari accomunati dagli stessi sogni. Per me sono state esperienze molto importanti perché ho conosciuto tanti artisti coi i quali ho stretto amicizia e dai quali ho avuto la fortuna di ricevere consigli: durante il Premio Bianca d’Aponte, ad esempio, ho conosciuto Fausto Mesolella e Lilli Greco, i quali si sono rivelati fondamentali per permettermi di diventare quello che sono oggi.
Il tuo primo album di inediti – “Farfalle a valvola” – è stato completamente autoprodotto. Quanto è difficile, oggigiorno, fare musica a livello indipendente? Quali ostacoli hai dovuto superare?
E’ molto difficile fare musica indipendente perché produrre e promuovere un album comporta delle spese, se non si dispone di abbastanza fondi per poter compiere un investimento, si è costretti a svolgere un altro lavoro. Purtroppo i sogni sono costosi, io cerco di realizzarli ma al contempo mantengo sempre un piede nella realtà e credo che questa cosa sia fondamentale per la scrittura. Reggere entrambe è molto faticoso, ma mi fa capire quanto sia importante per me la musica, continuo a suonare nonostante a volte io abbia poco tempo. Questa è la mia strada e la voglio seguire a tutti i costi.
“Araba fenice” è prodotto da Daniele Sinigallia, quando vi siete conosciuti e come è stato collaborare con lui? Quanto è stato determinante il suo lavoro nel computo finale delle nove tracce?
Ho sempre amato il modo di lavorare di Daniele, ha collaborato con suo fratello Riccardo, prodotto dischi di Niccolò Fabi e Max Gazzè. L’ormai ben definito sound della scuola romana lo associo immediatamente ai Sinigallia, sono cresciuta ascoltando questi artisti e mi è sempre piaciuta l’idea di poter avere nel mio album un suono del genere. Un mio amico stava lavorando al suo progetto con Daniele ed io gli chiesi di presentarmelo, così andai nel suo studio a Roma, gli feci ascoltare i miei brani e ci siamo subito trovati in sintonia. Mi sono trovata benissimo perché, oltre ad essere un grande artista, Daniele dal punto di vista umano è una persona meravigliosa e ciò ci ha permesso di lavorare con grande complicità. È riuscito ad entrare nei miei pezzi senza, però, stravolgermi ed era ciò che volevo.
A proposito della storia classica dell’Araba fenice che risorge dalle ceneri del suo malessere, tu parli di un blocco artistico che hai vissuto in questi anni e di come, con questo nuovo progetto discografico, tu sia riuscita a risorgere. Ci spieghi un po’ gap nella tua arte qual è stato e come ne sei uscita?
Questo disco nasce proprio dalla necessità di raccontare una rinascita, ma tramite l’attraversamento del fuoco. Non è stato un gap riferito ad una mia situazione soltanto musicale, ma in generale: in questi cinque anni c’è stato uno stravolgimento totale della mia vita familiare, emotiva e anche logistica, dal momento che ho cambiato diverse case. È stato un periodo molto tumultuoso per me, ma al contempo necessario per arrivare ad quello che sono oggi. Quando ci si ritrova ad attraversare il fuoco si teme di non farcela, ma se si riesce ad uscirne si scopre che quella situazione è risultata fondamentale per migliorare e diventare una persona più forte e coraggiosa.
Sei nata a Catania, vivi a Napoli e la tua etichetta discografica, la Giungla Dischi, ha sede a Roma. Quali sono le differenze tra queste tre scene musicali, siciliana, napoletana e romana? A quale senti di appartenere?
Sono tre realtà completamente diverse seppur simili, specialmente quella napoletana e quella catanese. Sono cresciuta con un piede sull’Etna e uno sul Vesuvio e sento fortissime le influenze di queste due città anche perché amo molto la musica popolare, ha dato un’impronta grandissima alla mia crescita musicale. Roma, invece, è stata una città che mi ha accolta, vi ho vissuto circa sei anni e mi sento molto legata alla Capitale. Queste tre scene si intrecciano tra loro, tutte e tre hanno contribuito formarmi, anche se probabilmente sento di appartenere maggiormente a quella siciliana, nel disco ho ripreso anche un pezzo siciliano – Mokarta – della band Kunsertu, quindi mi sento più vicina a quella realtà.
La scorsa estate hai aperto diversi concerti del “Vietato Morire tour” di Ermal Meta. Raccontaci le emozioni che hai provato. Ermal ti ha fornito qualche consiglio in ambito artistico? Ti piacerebbe una collaborazione con l’artista?
Ermal è una persona super-generosa, non è da tutti concedere ad alcuni artisti la possibilità di affiancarli durante il momento di maggiore visibilità e successo. Viene dalla vera gavetta, sa quanto sia importante avere l’opportunità di suonare su un grande palco e mostrarsi al pubblico. Da lui ho imparato tanto anche solo osservandolo, è molto umile, si fa sempre in quattro, non l’ho visto mai risparmiarsi durante un concerto regalando sempre il cento per cento al pubblico dall’inizio alla fine. Gli dissi “se un giorno riuscirò ad avere un quarto della tua energia mi sentirò Wonder Woman”, infatti in tour reggeva ritmi allucinanti, teneva quasi un concerto al giorno. Mi piacerebbe tantissimo collaborare con lui, è un artista che stimo moltissimo, ma per ora nulla in programma anche perché super impegnato.
Cosa ne pensi di un format come quello dei talent? Come ti ci vedresti all’interno di “Amici di Maria de Filippi” o “X Factor”? Parteciperesti, invece, al Festival di Sanremo in futuro?
Per quanto mi riguarda, il Festival di Sanremo ha sicuramente molto più senso rispetto ad un talent essendo una cantautrice. Partecipare ad un talent significherebbe andare in un luogo in cui non si dà realmente importanza all’artista ma allo show televisivo, non è la musica al servizio dell’artista, ma l’artista al servizio dello spettacolo, quindi non mi ci vedrei onestamente. Credo, invece, che quella del Festival sia una grandissima opportunità, ci si ritrova davanti a dieci milioni di persone che ascoltano la tua musica, magari per la prima volta.
Ti saluto con un gioco: scegli un tuo collega indipendente a cui inviare un messaggio, una nota di stima, un vaffanculo, chiedere un featuring, io proverò a sentirlo ed aprirò la sua intervista con il tuo appello. Chi scegli e cosa senti di dirgli?
Mentre formulavi la domanda mi è appena venuto in mente un artista, quindi il mio messaggio va a Truppi. Giovanni sei un genio e mi piacerebbe tantissimo scrivere qualcosa con te!
A cura di Lorenzo Scuotto
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