Torna puntuale come ogni giovedì, la rubrica più indipendente del web – Gioved-Indie. L’ospite di questa settimana è Filippo Bubbico, giovane musicista, compositore, producer e sound engineer. Lo scorso 21 settembre è uscito per l’etichetta discografica Workin’ Label il suo disco d’esordio – “Sun Village“.
Ciao Filippo, benvenuto nella nostra rubrica del giovedì più indipendente del web, Gioved-INDIE, domanda introduttiva generale: cos’è per te l’INDIE e cosa si mantiene ancora INDIPENDENTE?Questa è una domanda particolare, non ho le idee ben chiare se non sul rapporto produttivo della musica, ovvero farsi produrre il disco da una major o scegliere di intraprendere un percorso attraverso etichette minori o addirittura senz’alcuna label al tuo fianco, sento sempre più spesso di persone che si mettono in proprio senza alcun ausilio discografico. Credo sia questa la definizione principale. Il mio disco esce con un’etichetta che, per quanto possa essere indipendente, è pur sempre un’etichetta, ma la mia musica viene auto-prodotta interamente qui nel mio studio. Per quanto mi riguarda, la mia visione del mondo della musica è un qualcosa che si mantiene ancora indipendente, il sound di questo mio primo album è slegata da qualsiasi tipo di vincolo artistico, è un prodotto che rispetta la mia volontà musicale, indipendente da qualsiasi tipo di macchinazione lavorativa e discografica.
Sei figlio e fratello d’arte, insomma la musica ti scorre nelle vene! Luigi e Carolina quanto hanno influenzato la tua formazione artistica?
Beh hanno giocato il loro ruolo. Essendo la nostra una casa di musicisti, la musica scorre in ogni angolo, quindi è difficile sfuggirne. Poi magari tante volte capita di vedere un genitore musicista che ha un figlio che non s’interessa di musica o che magari gli piace ma non è la sua passione principale. Mi sento fortunato ad avere la possibilità di avere a disposizione un’enciclopedia del sapere ed una sala piena di strumenti musicali fin da sempre.
“Sun Village” è il disco che segna il tuo esordio da solista. Ti va di raccontarci quella che è stata la genesi di questo progetto? Il titolo ha un significato particolare?
Certo! Il titolo fa riferimento al nome delle due stradine nel cuore del Salento dove si trova casa mia, che appunto si chiama “Villaggio del Sole”. Qui, in questa villa in piena campagna, ho il mio studio dove è stata pensata, concepita, realizzata e anche registrata tutta la musica presente all’interno del disco, ad eccezione della batteria in due brani, che è stata registrata in un altro studio sempre qui in Salento, mentre il basso elettrico ed i synth sono stati registrati a Los Angeles. Il “Villaggio del Sole” è un luogo davvero speciale per me, a cinque chilometri dalla città e a quattro dal mare. Per quanto concerne la genesi, questo album non nasce con un intento premeditato, senz’altro è accaduto che un giorno mi sono accorto di avere tanto materiale omogeneo, che aveva un minimo comune multiplo, ovvero un paesaggio sonoro molto simile. Così ho iniziato a lavorarci un po’ su, anche attraverso il processo di mix e di master.
Nel tuo album proponi una contaminazione di stili e generi, dal jazz all’elettronica. Con quali riferimenti artistici e musicali sei cresciuto?
La contaminazione di generi e di stili rispecchia esattamente quelli che sono i miei gusti musicali, sicuramente si sente tanto l’influenza dei Nowhere, un gruppo che ho avuto il modo di studiare e apprezzare negli ultimi cinque anni. Altri riferimenti artistici sono certamente i Verdena, Bjork e un po’ tutta la musica che ho ascoltato nel periodo liceale. La trasformazione è avvenuta subito dopo il liceo, quando ho iniziato ad approfondire tutto quello che è il mondo del jazz, che in realtà avevo da sempre ascoltato ed apprezzato, ma che solo da quel momento in poi ho deciso di iniziare a guardarlo con un occhio di riguardo e a studiarlo.
I testi delle undici tracce che compongono l’album sono quasi totalmente scritti in inglese. Per te quanto è importante la scelta della lingua?
È importantissima! Proprio nei nostri ultimi concerti Carolina ed io ci siamo resi conto che avevamo difficoltà nel comunicare essendo i nostri testi in inglese, infatti non ti nascondo che i nuovi brani ai quali sto lavorando sono in lingua italiana. Scrivere in inglese ti dà la possibilità di esprimere tanti concetti in poche parole e attraverso bei suoni, ma questo processo è possibile realizzarlo anche in italiano, solo che richiede una ricerca più complessa, specialmente nel mio genere, dove le melodie sono articolate o comunque dominate da un elemento ritmico. Una melodia articolata fa un po’ guerra ad una lingua articolata come l’italiano. Però, secondo me, se questa ricerca viene fatta come si deve, può veramente venir fuori qualcosa di originale e creativo.
Oltre ad aver scritto e composto i tuoi brani, li hai anche prodotti, mixati e masterizzati in maniera totalmente indipendente. Quale tra queste mansioni preferisci maggiormente?
La cosa che mi intriga di più e sicuramente la composizione di un brano, insieme alla sua produzione e alla scelta dei suoni, tra l’altro sono due fasi tra loro fortemente correlate. Per il mio tipo di approccio, composizione, produzione e mix avvengono quasi contemporaneamente, gran parte del mix la realizzo anche scegliendo i suoni dato che spesso e volentieri lavoro con il Midi, un sistema si suoni digitali. Le fasi di equalizzazione e compressione sono precedute dalla selezione dei suoni, ci sono un’armonia ed un equilibrio da rispettare.
Nell’ascolto di un singolo brano o di un intero album presti più attenzione al testo e al cantato oppure alla componente strumentale?
Dal mio punto di vista, quando la musica è bella ed il testo è bello si è di fronte ad un brano di alto livello. Io magari, spesso e volentieri, ho sempre dato molta attenzione più alla bellezza della melodia, poi ho capito che testo deve andare di pari passo con l’armonia di suoni. È un po’ come pensare al videoclip musicale e in che modo quest’ultimo fa da sottofondo al testo e al sound. In un certo senso, quella del testo nella musica è la forma di multimedialità più antica. Il testo, dunque, costituisce un elemento fondamentale, quasi più della musica. specialmente per il popolo italiano: basta guardare la musica attualmente in voga nel nostro paese, ad esempio nella trap il testo costituisce l’elemento principe di un pezzo, così come nella musica pop leggera italiana, dove la musica rappresenta una sorta di culla, ti coccola, ti fa sentire a casa e ti permette di concentrarti sul testo. In Italia la musica che vede protagonista una linea melodica originale o magari più articolata non riesce ancora a prendere piede.
Ormai gli artisti vengono spesso etichettati per zona di provenienza, dunque, tu apparterresti alla cosiddetta scena pugliese. Qual è il tuo pensiero in merito a questa classificazione?
Ti dico la verità, non ho mai badato troppo a questo tipo di classificazione, nel senso che allora se così fosse, la musica pugliese dovrebbe essere tutta pizzica. Credo abbia importanza esclusivamente a livello di musica popolare e folkloristica. Ormai, del resto, si tende a mescolare tutto in un unico grande calderone.
Sei un polistrumentista, oltre al piano e alle tastiere suoni anche la batteria. Qual è il prossimo strumento che desidereresti imparare a suonare?
Gli strumenti che ho sempre trascurato sono quelli ad arco e a fiato, da piccolo ho anche studiato per cinque anni il violino e per tre il clarinetto, però non ho mai avuto modo di approfondirli, essendomi fermato in età pre-adolescenziale con questi strumenti. Avendo avuto la possibilità di imparare a suonare più strumenti, non sono mai riuscito ad andare a fondo su uno in particolare, quindi mi piacerebbe approfondirne uno tra pianoforte, batteria, chitarra e basso. Proprio di recente, invece, mi sono ritrovato con il flauto in mano, la flautista del disco, Clara Calignano, mi ha dato una mano nel primo approccio con questo strumento.
Ti saluto con un gioco: scegli un tuo collega indipendente a cui inviare un messaggio, una nota di stima, un vaffanculo, chiedere un featuring, io proverò a sentirlo ed aprirò la sua intervista con il tuo appello. Chi scegli e cosa senti di dirgli?
Anche se è già presente nel mio disco, scelgo Vincenzo Destradis, il cantante dei Mangroovia, un gruppo indipendente che ha sede a Bologna. “Vincenziello a che stiamo con le registrazioni?”, questo è il messaggio che voglio inviargli. Stanno registrando il loro primo Ep che io mi occuperò di mixare e masterizzare.
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