Si è appena conclusa l’edizione 2019 del Napoli Comicon, la kermesse partenopea di fine aprile che ha raggiunto la sua maturità, confermandosi la seconda in Italia e la quarta in Europa per numero di presenze. La ricchezza dell’offerta espositiva, di novità e autori presenti, rimane tra le migliori, e sa coniugarsi con l’anima “ludica” dell’organizzazione, sempre più orientata a soddisfare le esigenze del pubblico generalista
“Non credevo che l’Uomo Ragno sarebbe diventato l’icona mondiale che oggi è. Io speravo solo che il fumetto vendesse così da potermi tenere il lavoro”. Con queste parole Stan Lee, il più grande scrittore del colosso americano Marvel, riesce ad esprimere lo stupore nei confronti del successo di uno dei supereroi mondiali e di tutto il mercato che sarebbe gravitato intorno ad essi, negli anni.
La fortuna di questo genere è data anche dall’interesse di produttori televisivi/cinematografici che hanno trovato un modo semplice per raggiungere grossi fatturati (quando qualcosa funziona, si possono produrre serie tv e film fino allo sfinimento del pubblico), non ultimo Avengers: Endgame di questi giorni. Ma al di là dei colossi americani Marvel o Disney, anche il prodotto nostrano, che i conservatori potrebbero attardarsi a chiamarlo “indie” stanno riuscendo ad uscire dal sottobosco della nicchia del mondo nerd e spopolare anche nell’immaginario delle persone non addicted a questo mondo. L’esempio più attuale è la trasposizione della graphic novel “La profezia dell’Armadillo” di Zerocalcare, sul grande schermo, o il Baffo che su web e social network è riuscito a diventare il beniamino più amato. Ma se l’interesse per i comics e le graphic novel è ormai palpabile, quello che stupisce è l’interesse dei più giovani per convention e fiere sull’argomento. I numeri, soprattutto per le manifestazioni più blasonate, sono incredibili e tendono a salire anno dopo anno.
Ieri si è conclusa la manifestazione più grande del sud Italia, il Napoli Comicon che ha segnato cifre di ingresso da capogiro. La Mostra d’Oltremare, oltre ad ospitare l’Arena Flegrea (seconda arena italiana per capienza) sede del Noisy Naples Fest, è anche un centro congressi dotato di 10 padiglioni e un totale di 50.000 mq tra spazi all’aperto (30.000 mq) e ambienti coperti (20.000 mq), per rispondere a tutte le esigenze di un settore variegato come quello fieristico. E il Comicon riesce a riempire incredibilmente tutti questi spazi, di espositori, di venditori, di editori, di artisti, di musica, di persone e di leggerezza.
Buffo leggere la storia raccontata dal direttore Claudio Curcio, che definisce la prima edizione del 1998 «un’edizione memorabile, molto apprezzata dal pubblico, dagli operatori, dai partecipanti e dalla critica. E fallimentare. Economicamente».
Mille attività da fare, come la caccia all’anteprima in uscita del sequel del fumetto del cuore, rassegne dedicate con workshop su temi di approfondimento nelle varie sale tematiche, e lo sport preferito da grandi e piccini: l’autografo dall’artista del cuore.
E questi non si limitano ai soli fumettisti, che con la presenza di Milo Manara, Zerocalcare, Gipi, Akihito Tsukushi, Serge Clerc, il disegnatore di “Deadpool” Declan Shalvey, il giapponese Betten Court e il creatore di “The Walking Dead” Charlie Adlard, potrebbero già bastare per rendere il tutto altisonante, ma vengono arricchiti dalla presenza dei beniamini delle più rappresentative serie TV mondiali del momento. Tra gli attori che hanno fatto registrare il tutto esaurito ci sono stati Tom Cullen (che il 28 aprile ha presentato in esclusiva la seconda stagione di “Knightfall”) e Jerome Flynn di “Game of Thrones“, oltre agli italianissimi attori di Gomorra, per altro ambientata proprio a Napoli.
Largo spazio anche ai cosplay, realtà ormai consolidata per presenza e per originalità, con i costumi dei beniamini del cuore, il cosplay è un movimento attorno a cui si è creato un discreto giro economico e culturale, perché diventato a sua volta attrazione dentro l’attrazione. Ai cosplayer sono dedicati gare, concorsi, serie tv, documentari. Per alcuni è diventato perfino un lavoro, vengono pagati per presenziare alle fiere, spesso assoldati dalle ditte di videogiochi per movimentare il loro stand. In casi del genere dietro c’è una passione che si è fatta alto artigianato tessile e costruttivistico. L’esempio maggiore di passaggio da attrazione fieristica a lavoro è Olivia Munn la quale faceva la cosplayer, prima di fare la cosplayer in X-Men: Apocalisse. L’esempio al femminile non è casuale, perché i nomi di cosplayer che maggiormente sono riconosciuti sono donne. Questo è in parte dovuto al predominio eterogametico nella cultura nerd/geek e al conseguente sguardo maschile che ha isolato ed evidenziato la componente femminile rispetto ai cosplayer maschi, portando nella realtà delle cose a episodi come quello di “Cosplay is not consent” in cui una donna ubriaca e accasciata al suolo è stata toccata e baciata da un passante.
Ma torniamo al fumetto propriamente detto e alla caccia all’autografo. Tra le realtà emergenti del sottobosco culturale urbano di artisti che grazie al web hanno visto accrescere il loro nome e la viralità delle proprie opere c’è sicuramente Giulio Mosca, più noto come Il Baffo. Genovese, classe 1993, lo incontriamo proprio in fiera mentre è impegnato a riprodurre il suo alterego sulla prima pagina della sua ultima graphic novel “La fine del mondo di qualcun altro” a una fila di suoi giovani fan e approfittiamo per scambiare due chiacchiere con lui sulla sua arte e sul futuro di questa professione.
Ciao Giulio, benvenuto su Inside Music and Movies. Tu nasci come grafico e disegni in vettoriale, rappresenti te stesso in blu e non banalmente in bianco o giallo Simpson, il Baffo è l’avatar (per restare in tema di blu) di te stesso?
Io non disegno più in vettoriale in realtà, il Baffo è tutto in raster, il perché del colore blu è che ho voluto cercare di aggiungere ai miei disegni una forte componente surreale per far sì che la gente riuscisse, nonostante il carattere umano dei personaggi, ad avere un elemento di distacco perché da fuori le cose si capiscono meglio. È per questo motivo che la gente riesce ad immedesimarcisi perché a prescindere che siano un maschio, una femmina, coi capelli in un modo o in un altro, il fatto che siano blu li rende universali; essendo diversi da te a prescindere dal colore della pelle riesci a rispecchiarti di più in essi andando oltre l’immagine. Dal punto dell’avatar invece, sicuramente ci sono molte cose autobiografiche, il loro aspetto deriva dalla consuetudine che ho sempre avuto di disegnare degli omini che mi somigliassero perché mi veniva molto facile. Non ho mai pensato alla storia o alle vignette del Baffo come un diario segreto o un modo per raccontare la mia vita, però sicuramente ne attingo.
Nelle tue vignette riesci ad attingere alla sintesi grafica di David Hockney e alle pennellate a spirale di Van Gogh (vedi La notte stellata). Come riesci a muoverti in questo equilibrio perenne fra modernità e classicismo artistico?
La ricerca che faccio sempre deriva dalla grafica perché lì convogliano i miei studi, quindi cerco anche in base alla storia dell’arte gli artisti che sono riusciti ad astrarre il più possibile, rendendoli i miei punti di riferimento per la sintesi più che altro, non nella misura in cui c’è da replicare il loro stile ma più a livello concettuale, raccontando tanto con poco.
E queste ispirazioni seguono dei tuoi periodi personali o diventano un caposaldo di influenze?
No non è una situazione che segue dei periodi, tutte le cose che leggo, vedo e sento vanno a comporre quel bagaglio globale che non cambia da periodo a periodo ma si accresce e si autoinfluenza.
In questo momento da chi ti stai lasciando influenzare maggiormente?
Adesso sto rileggendo un po’ di poesie in generale di diversi autori che ho sempre letto, sia italiani che non ma abbastanza vecchi, perché attualmente sto lavorando ad un libro di poesie illustrate e vorrei riuscire a capire come destreggiarmi al meglio con la scrittura, poiché in questo nuovo lavoro la componente narrativa avrà un grosso rilievo rispetto a quella illustrata.
Internet ormai è il mezzo che più classicamente viene scelto per ogni forma artistica, i video su YouTube per i musicisti, le Instastories per aspiranti influencer e vallette, Facebook ed Instagram per i vignettisti. Essendo un mercato così libero ed accessibile, diventa necessario crearsi una identità ben riconoscibile. La tua quale pensi sia, i colori così intensi o la ricchezza di parole?
Probabilmente tutto quanto. Una cosa che aiuta molto, soprattutto su Instagram, è il fatto che oltre alle vignette si possano anche condividere le storie per chi fa l’illustratore; ciò a differenza di Facebook o dei social tradizionali che non avevano la componente multimediale fanno sì che le persone quando vedono le tue creazioni sanno chi è l’autore e questo aiuta ad empatizzare molto di più e a creare un coinvolgimento molto più diretto con i lettori rispetto a prima.
Hai fatto anche il grande passo sulla carta stampata, con la pubblicazione della tua graphic novel “La notte dell’oliva” in cui compaiono anche delle strisce in cui non manca l’erotismo. Come hai vissuto questo stacco dalla confort zone del web, il cui afflusso è legato anche al fatto che sia gratis, rispetto alla carta stampata e agli insight di vendita?
È stato sicuramente molto impegnativo ma grazie ad una fase di editing sono riuscito a portare a casa il lavoro e sono contento anche del fatto che si sia stato un lavoro non troppo forzato, che mi abbiano lasciato anche libero di sbagliare così sono riuscito a capire io stesso dove sbagliavo col passare degli anni.
In queste concessioni stai parlando della tua casa editrice, la ManFont?
Sì loro certamente. Quello l’ho pubblicato nel 2017, adesso ne ho pubblicato un secondo sempre con loro (“La fine del mondo di qualcun altro” ndr) e proprio quel primo passaggio mi ha aiutato a farne degli altri. È stato difficile perché è molto diverso raccontare una situazione, un’emozione in una vignetta rispetto che una vera storia in centoquaranta pagine, dal punto di vista operativo è stato stancante e faticoso, da quello creativo e tecnico è stato interessante nell’ottica del fatto che quando una persona compra un libro vuol dire che è più attenta e quindi si può scendere ad un livello di profondità diversa.
È interessante questo passaggio: come cambia il modo di realizzazione di una storia che ha un inizio ed una fine rispetto ad una vignetta che è l’istantanea di un’emozione, spesso momentanea?
A volte più essere più difficile essere sintetici che essere prolissi, quindi non è detto che è più semplice comporre una vignetta perché è più piccola. Quello che scrivi in una storia deve essere pianificato comunque in maniera diversa in quanto deve tornare tutto, mentre quando si ha solo lo spazio di due righe è più semplice improvvisare perché comunque tutto si regge su un’unica pagina e non possono esserci contraddizioni, o è difficile che riescano ad esserci. La differenza è quindi puramente tecnica.
Il tuo rapporto con lo spazio cosmico com’è? Nelle vignette è una componente sempre molto presente…
Sì è sempre presente perché è un mondo che mi affascina tanto in quanto è l’unica cosa che non è stata del tutto esplorata. Anche le esplorazioni del periodo del romanticismo, quando si parlava ancora di parti inesplorate della Terra, del nostro pianeta, oltre che dello spazio, hanno visto concludere anche quelle. Ci resta di inesplorato solo parte del cosmo e questo lascia molto spazio alla fantasia.
Il traid union degli altri vignettisti è il cinismo, tu invece non smetti di parlare di sentimenti e di amore, attraverso riflessioni intime e profonde, l’ultimo dei romantici. Non ci resta che sperare nel baffo per continuare a credere nel bello e nei legami veri?
In realtà uso l’amore perché credo che sia un sentimento universale e lo faccio a volte proprio per parlare di cinismo. Questo è un po’ il contrario di ciò che fanno gli altri, come hai giustamente rilevato tu adesso. Questa penso possa essere una strada interessante da intraprendere poiché bene o male nei sentimenti riescono a vedercisi tutti. Non per forza amore equivale ad una coppietta di fidanzati, ma anche una persona sola. L’amore è una perfetta testa d’ariete per sfondare la fredda barriera d’ingresso che può esserci nel social network, per poi cercare di arrivare nel profondo di cose che sarebbe difficile trattare diversamente, in un modo più diretto.

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