A volte mi è capitato di osservare esperti sommelier che assaggiando un bicchiere di buon vino evocavano da quel piccolo sorso sapori e scenari incredibili. Una sensazione simile l’ho provata spesso ascoltando i dischi di Bruno Bavota. In particolare in occasione della sua ultima pubblicazione, Re_Cordis, uscita per l’etichetta statunitense Temporary Residence Ltd.
Ogni canzone nei dischi di Bruno, ormai riconosciuto polistrumentista e affermato musicista in tutto il mondo, è come un sorso di un vino ben strutturato. Mi è capitato di perdermi all’interno dei miei pensieri sorseggiando il suo ultimo album Re_Cordis. In qualche modo questo disco è una summa di quanto ha ben seminato il pianista napoletano negli anni precedenti. Dalla fama mondiale ricevuta grazie al brano “If only my heart were wide like the sea” incluso nella colonna sonora della fortunata serie di Paolo Sorrentino “The Young Pope” passando a “passengers” brano usato dalla Apple per un suo spot celebrativo fino a “La luce nel cuore” altro cavallo di battaglia del suo repertorio.
Ma Re_Cordis è molto di più, ascoltando brani come “Moving Clouds” ci si ritrova a guardare il cielo sopra di noi perdendoci nei pensieri più disparati fino a che verso la fine dei tre minuti ci si accorge che più che il cielo stavamo fissando i nostri pensieri.
Quella di Bruno Bavota è una musica altamente evocativa, in qualche modo la registrazione di questo album è riuscita a catturare l’intensità che lo stesso musicista riversa sui tasti del suo pianoforte e sulle corde della chitarra. È come se una vibrazione calda partisse dagli strumenti per raggiungere l’ascoltatore senza soluzione di continuità, il tutto evitando sconquassi e senza bisogno di artifici particolari, è una trasmissione ad alta intensità emotiva. Le parole poi diventano superflue, è meglio stare ad ascoltarsi, diventando noi stessi, gli ascoltatori, la cassa armonica delle note suonate da Bruno. Una magia catturata in una registrazione live presso il SoundInside Basement Records luogo che ha visto nascere molti album importanti per la musica campana e non solo.
Sorso dopo sorso i sapori che fuoriescono dal disco di Bavota assumono connotazioni diverse, ora più buie ed introspettive, altre volte più luminose e fruttate, vedi la doppietta “Mediterraneo” e “The man who chased the sea”.
Molto del merito dell’intensità che questo disco restituisce all’ascoltatore è da ascriversi alla modalità di registrazione che ha visto Bruno Bavota registrare praticamente in un solo pomeriggio tutti i brani. Un live in studio capace di riassumere in un piccolo viaggio di undici tappe i più più importanti punti della carriera del pianista napoletano fondendole con nuove composizioni come la canzone che apre il disco.
Alla fine del percorso ci si sente ebbri di sensazioni e carichi di emotività, “Out of Blue” è l’indicazione che porta fuori da noi stessi e da una certa tristezza che in precedenza, anche grazie a questo disco, siamo riusciti a buttare fuori. Vorremmo berne ancora di questa musica, vorremmo assaggiare ancora emozioni, immaginarci ancora altrove, guardare altri cieli ed ascoltare altre canzoni, ma il viaggio è finito e si deve scendere, non prima però di aver scritto le nostre iniziali e quelle della persona a cui teniamo su un vetro appannato.
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