Intro
Il brano è tratto dallo storico album Paranoid, secondo lavoro in studio della band britannica risalente al 1970. Registrato in soli 5 giorni, Paranoid riscuote nel tempo un successo planetario arrivando a vendere oltre 10 milioni di copie e accumulare ben 12 dischi di platino e tre d’oro. Con questo nuovo prodotto i Black Sabbath rinforzano le fondamenta del nascente genere heavy metal, già piantate con il precedente album recante lo stesso nome della band, grazie a veri e propri classici del genere, come
War Pigs, la stessa Paranoid, la celeberrima Iron Man ed Electric Funeral.
Completamente in disaccordo con le altre tracce è proprio Planet Caravan: dalle atmosfere oniriche, pacate, molto più soft, il brano si presenta come una vera sorpresa alle orecchie dei fan, che ascoltano un rilassante (e per questo del tutto inedito) Ozzy Osbourne raccontare con un fil di voce una storia fantastica, aiutato dallo straordinario effetto dell’altoparlante rotante Leslie. Le linee del basso di Geezer Butler e della chitarra di Tony Iommi si intersecano in maniera straordinaria, portate avanti da un’incalzante base ritmica fornita dalle percussioni di Bill Ward e scandita dall’incisivo pianoforte di Tom Allom. Di seguito è riportato il testo del brano con la relativa traduzione, breve ma estremamente evocativo:
We sail Navighiamo
Through endless skies Attraverso cieli infiniti
Stars shine like eyes Le stelle brillano come occhi
The black night sighs La notte nera sospira
The moon La luna
In silver trees tra gli alberi argentei
Falls down in tears Crolla in lacrime
Light of the night Luce della notte
The earth, La terra,
A purple blaze una fiamma viola
Of sapphire haze Di foschia blu zaffiro
In orbit always Sempre in orbita
While down Intanto in basso
Below the trees Sotto gli alberi
Bathed in a cool breeze Immersi nella fresca brezza
Silver starlight L’argentea luce stellare
Breaks down the night Rompe la notte
And so E così
We pass on by Passiamo oltre
The crimson eye L’occhio cremisi
Of great god Mars Del grande Dio Marte
As we travel Mentre viaggiamo
The universe Nell’universo
(assolo e conclusione)
N.B. si consiglia di leggere quanto segue mentre si ascolta il brano in questione.
Strofa
Oggi il sole è timido. Il disco dorato mi guarda di sottecchi, nascosto dietro quel banco di nuvoloni, gettando una sfumatura argentea sul cielo fuori dalla mia finestra. E’ domenica, non ho nessuna voglia di alzarmi o di fare cose; i miei occhi roteano e si posano di tanto in tanto sui cimeli che affollano la mia stanza, fino a fermarsi sul mio vecchi giradischi.
Ma si, oggi ci sta proprio. Mi alzo, mi riprendo velocemente dal torpore del sonno e vado verso la mia libreria, dove sono gelosamente custoditi i miei dischi. Il dito scorre con lentezza sugli angoli delle copertine e scarta un Pino Daniele, un Gilmour e perfino Dark Side of The Moon.
Cerco altro. Cerco lui.
Lo prendo, lo tengo qualche secondo tra le mani, lo sfodero e compio il rito canonico: annuso la sua superficie lucida e oscura, e sembra quasi di sentire ogni singolo giorno visto da quel disco, le risate, gli sforzi e le voci di chi lo ha prodotto. Apro il mio vecchio giradischi, una fonovaligia per essere precisi, e ci poggio sopra il disco. Faccio scattare la manopola di sinistra per accenderlo, apro i toni, setto la velocità su 33 giri e regolo il volume. Il braccetto fa quel caratteristico clac, che riconoscerei senza difficoltà tra tanti suoni, e si posa dolcemente sul vinile. Il disco comincia il suo viaggio, lento, calmo, senza fretta. Forse è questo che mi piace del vinile. O forse il leggero fruscio di fondo che si sente durante la riproduzione, per alcuni un fastidio ma per me uno strumento in più a suonare, un valore aggiunto. Qualche attimo di silenzio, ritorno sul letto… parte Planet Caravan dei Black Sabbath.
Solo
Improvvisamente accade, senza preavviso. Il cielo quasi si apre, si riempie di colori e comincia a turbinare sulla mia testa.
Vedo stelle, galassie, pianeti, tutto improvvisamente fiorisce e sboccia davanti ai miei occhi con ferma delicatezza. Tutto rallenta, smette di correre… Da qualche secondo sono ad occhi chiusi, spinto da quella familiare convinzione secondo cui non mi serviranno a nulla nel luogo dove sto andando. La musica comincia a piovere nella mia mente: gocciola pian piano dalle corde di una chitarra, per poi incalzare a ritmo di bongos… Cadenzata, fresca, incessante… Sento ogni nota del basso esplodermi nel petto, riesco quasi a toccarle mentre si muovono sinuose sotto la mia pelle, scalpitano, si agitano inquiete. Il brano ormai è dentro la mia testa e, come mare in tempesta, si infrange contro ogni singolo pensiero che incontra, trascinato da una voce sussurrante, sommessa, che scandisce le tappe di questo viaggio di 4 minuti e mezzo senza meta. Le parole scintillano nell’aria e mi raccontano di cieli infiniti, di paesaggi che forse neanche esistono, di un viaggio tra colori e pianeti in cui l’unico limite è l’umana comprensione. Per quei quattro minuti e mezzo sento che tutto intorno a me è esattamente come dovrebbe essere, al suo posto ma animato da un moto sinuoso e ipnotico.
Ad un certo punto la voce svanisce e viene sostituita dal dolce ma inquieto lamento di una chitarra, solitaria, ammaliante, indomita… Una cascata di note mi bagnano, mi avvolgono, mi tengono sospeso a mezz’aria… La stanza viene pervasa daun’armonia di corde perfettamente fuse in una meravigliosa danza, avvolte da percussioni a cui d’impatto si aggiunge un piano, solenne, deciso… E’ tutto così meravigliosamente lento.
Ogni strumento ribollisce, divampa e arde a fuoco lento nelle mie orecchie… Fino a che piano piano si raffredda, si posa,così, in punta di piedi, come tutto era cominciato… Tutto si spegne, comincia a morire nelle mie orecchie… Il volume cautamente sfuma, si nasconde dietro alla realtà esterna, fino a sparire del tutto… Riapro gli occhi, e un raggio di sole mi accarezza dalla finestra.
Di Luigi Izzo
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