Dopo una pausa di tre anni successivamente a L’Incolore Tazaki Tzukuru e i suoi anni di pellegrinaggio, il nipponico Murakami Haruki, sempre arrivato ad un passo dal Nobel, ci delizia con una nuova opera: L ‘Assassinio del Commendatore.
Il tremendo horror vacui della pagina bianca non mi ha mai colpito: sono una persona che sa facilmente inventare, sublimare il nulla. anche sul bianco, in sé, come colore, avrei da dire. Forse perché credo che non bisogna per forza scrivere o creare qualcosa di incredibilmente artistico, ogni volta. Del resto, non siamo tutti d’Annunzio. Non ci mettiamo tutti alla scrivania, ben vestiti, baffi ben allisciati, donna di turno pronta a darsi al gioco del flauto, e “capolavoriamo”.
No. Il più delle volte siamo dei mestieranti, che, lentamente, a fatica, con metodo e razionalità, cercano di indirizzare quel guizzo di talento guidato dalla Dea Passione verso un qualcosa che sia seppur vagamente personale e che, così, distingua noi dal marasma delle ragazze con gli occhiali tondi ed i ragazzi Francesco Sole like che affollano Instagram e Tumblr.
L’innominato pittore de L’assassinio del Commendatore, pubblicato nel 2018 da Feltrinelli, per ora solo nel libro 1, è così. Ha talento, ma non troppo: è però una persona metodica, molto pratica, che sa quando incanalare la propria ispirazione seguendone il flusso, mai forzandola, senza sentire il tremendo peso della pagina bianca. E l’innominato pittore, come quasi tutti i protagonisti di Murakami, è una persona molto tranquilla, molto reale, conscia – nella maggior parte dei casi – fin troppo dei propri limiti ma mai abbastanza della propria grandezza, come nel caso di Tazaki Tzukuro dell’omonimo, splendido, romanzo.
Conobbi Murakami Haruki in terzo superiore: comprai per caso una copia di La Fine del Mondo e il Paese delle Meraviglie, romanzo che mescola strani scienziati che controllano il suono, il “sottosopra” – per dirla alla Stranger Things – di Tokyo ed un particolarissimo inferno, silenzioso, privo di guizzi artistici, ma incredibilmente tranquillo – La Fine Del mondo, dove miti unicorni pascolano indisturbati. La punta massima della variegata bibliografia di Murakami si tocca però con 1q84 (che a quanto pare è amato anche da Cesare Cremonini, che ne cita la piccola luna verde in Possibili Scenari), che riprende le tematiche fantascientifiche fondendovi una splendida storia d’amore, creando, per la prima volta, una protagonista femminile, la forte e spietata Aomame.
L’assassinio del commendatore è dunque l’inizio di un nuovo ciclo per Murakami Haruki, in cui può fondere il ben noto amore per il surreale con la profonda praticità dei suoi personaggi maschili: è da qui che nasce l’innominato pittore. Il romanzo si apre con il divorzio dall’amata moglie, dopo sei anni di felice matrimonio. Ha un altro, dice. Fa sesso con un altro. così, meccanicamente, senza amore, immagina il pittore. Dopo due mesi di vagabondaggio per l’Hokkaido (tema già esplorato in Nel Segno della Pecora), il pittore vene contattato da un suo amico dell’accademia delle belle arti, che gli chiede di andare a vivere nella vecchia casa del padre. Così, il pittore abbandona la proficua attività di ritrattista, che tanto odiava – eppure, di lui, si diceva riuscisse a scrutare l’animo delle persone.
Il padre, il pittore Amada Tomohiko. Una specie di Picasso giapponese, per evoluzione stilistica: partito dall’espressionismo teutonico, tornato dall’Austria in Giappone in piena Seconda Guerra Mondiale, si converte senza ragione apparente allo stile nihonga. Termine un po’ offensivo, di per sé, ma così passato alla storia: affiancabile al manierismo italico, il nihonga è una terminologia occidentale per indicare ogni tipo di arte pittorica che non fosse la silografia. L’innominato protagonista è una persona curiosa di natura, e un bel giorno si ritrova a frugare in soffitta, scoprendovi un misterioso quadro: per l’appunto, L’Assassinio del Commendatore. Oltretutto, un misterioso vicino di casa, dai capelli candidi come Leland Palmer, chiede di essere ritratto e diviene compagno d’avventure dell’innominato pittore nell’esplorazione di una strana buca in giardino, da cui proviene il rintocco di una misteriosa campanella: shokunshibutsu?
Facciamo un passo indietro. È difficile, di questi tempi, essere avvezzi all’opera classica: i libri di Murakami ne sono spaventosamente intrisi. Rasentando l’ossessivo, un po’ come l’autore de Le bizzarre Avventure di JoJo lo è per il prog rock, Murakami sciorina vecchi LP jazz, operette dimenticate, come fossero grandi cantanti pop degli anni ’90. Filo conduttore di tutto 1q84 è la Sinfonietta dell’ungherese Janacek, epico pezzo di musica passato incredibilmente sotto silenzio nel corso dei decenni.
L’Assassinio del commendatore, a partire dal titolo del quadro nihonga cui ruota attorno la trama, è pieno di musica. La scena trattata – e opera che risuona per la maggior parte del romanzo – è del Don Giovanni di Mozart: e chi non lo conosce? Quel momento, in cui Don Giovanni, sorridendo falsamente, trafigge al cuore il Commendatore dopo averlo sfidato a duello per l’onore di Donna Anna, mentre il servo, laido, deforme, Leporello, osserva la scena. Nel romanzo, la osserva da una buca, “la faccia come una melanzana, un ghigno infernale.” Nell’opera di Mozart, il basso che impersona il Commendatore emoziona per intensità e virilità senile: la dignità di morire con onore, nonostante l’età che volge al tramonto, contro la sfacciata maschilità di Don Giovanni.
Il tema della buca è un altro ricorrente in Murakami, e, forse, lasciatemelo dire, un po’ abusato. C’era già in uno dei libri più incoerenti, ma comprensibilmente dalla poetica più embrionale, di Murakami Haruki, il mastodontico L’Uccello che Girava le Viti del mondo. Un altro uomo, ma di certo non realizzato e pratico come il pittore, senza nome, la cui moglie lo lascia e tradisce. E che trova conforto in un pozzo nel giardino di una casa abbandonata. Fortunatamente, ne L’assassinio del commendatore esso è unito al tema del buddismo, all’annichilimento volto a raggiungere il nirvana praticato da alcuni monaci – e fortunatamente oramai fuorilegge. Il monaco in questione, quando decideva di intraprendere tale cammino, il nyujo, iniziava a nutrirsi di erbe, riducendo al minimo il quantitativo di grasso corporeo; dopodichè, durante la seconda fase, la sua alimentazione era ridotta a aghi di pino e radici, ingerendo un intruglio tossico contenente una tossina affine ai tessuti molli e se proprio lo volete sapere, contenuta nella famosa tisana dei monaci buddisti venduta da Wanna Marchi che prometteva dimagrimenti fantasmagorici. Infine, dopo circa mille giorni, il monaco entra di sua volontà in una cripta di pietra – come quella del giardino del pittore – che viene poi sigillata, salvo per un foro in cui far passare una canna di bambù per l’aria, e facendo notare la propria presenza solo tramite una campanella. La domanda del libro, dunque, è: chi c’è, in fondo a quel pozzo? Una creatura del nirvana purtroppo bloccata ancora nel mondo tangibile? Talvolta la realtà supera la fantasia.
La risposta arriva quasi a fine libro, ma nel mentre vengono introdotte altre sottotrame – amanti varie, misteriose figlie del vicino di casa- che, soprattutto, contribuiscono a definire come Persona il protagonista: e diciamolo, il pezzo forte e che impreziosce il libro è proprio la personalità del pittore. Probabilmente il personaggio meglio riuscito del Nostro, assieme alla imperturbabile Aomame, fonde la gentilezza di Tazaki e una nuova caratteristica che, sebbene ce lo si possa aspettare, non stride affatto col mondo di sogno in cui esso si muove: la praticità. Una profonda concretezza che è già rara negli artisti, figuriamoci in quelli protagonisti di romanzi.
È proprio la personalità del pittore che mi fa dire che la carriera di Murakami Haruki si trova ad una svolta. Sebbene ricco di digressioni e povero di avvenimenti, L’Assassinio del Commendatore si legge con amabile piacere, e risulta meno ridondante di 1Q84, dalla mole quasi proustiana, tornando alla forma del racconto breve già sperimentato con La Ragazza dello Sputnik. Sebbene ad ora non raggiunge i livelli di magnetismo creati da Kafka sulla Spiagga e La fine del Mondo e il Paese delle Meraviglie, l’Assassinio del Commendatore cattura e fa ritrovare il Murakami Haruki più vero, forse cresciuto ancor di più.
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