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Asian, Mike Lennon [Recensione]

by Antonio Sartori
Mike

È uscito il 2 aprile su tutte le piattaforme digitali “ASIAN” (Carosello Records) il primo EP di MIKE LENNON

Mike Lennon, all’anagrafe Duc Loc Michael Vuong, è un produttore, rapper e graphic designer classe ‘95. Nato a Parma, ma di origine vietnamita, è anche membro fondatore del collettivo Hiii Boys Enterteinment.
Nel 2018 esce “LennonHaze”, il suo primo Mixtape, interamente in Inglese. Durante il corso dello stesso anno però cominciano già a emergere i germi del suo profondo cambio di rotta musicale, con l’uscita dei singoli “Konichiwa”, “Shumai”, “Talocco” e “Aligatò”, che cominciando a farlo conoscere alla web community hanno poi portato alla pubblicazione di “ASIAN”, il suo primo EP ufficiale, uscito il 2 Aprile 2019 per Carosello Records e prodotto da Renzo Stone (Aligatò, Settimo cielo, Shumai, Lavolale), Phra Crookers (5 Stella) e Mike stesso (Liso con Kelly, Gengis Khan).
La diversità e i meriti di Mike sono sotto gli occhi di tutti: è evidente che sia stato il primo a rappresentare la comunità asiatica nel rap italiano, è evidente la spiccata autoironia, così come è evidente la capacità di unire riferimenti e sonorità dei due “mondi” distanti: quello occidentale e quello orientale, fondando un vero e proprio filone liricistico a sé stante, un unicum nel rap italiano.
Detto ciò, è necessario fare una serie di altre premesse, proprio per valorizzare ulteriormente il lavoro di Mike Lennon, provando a collocarlo in maniera più corretta.
Innanzitutto, “ASIAN” è un ottimo EP a prescindere dal cosiddetto “Asian Rap”: se Mike Lennon avesse sostituito i titoli con dei riferimenti più occidentali e avesse pronunciato correttamente tutte le “erre”, l’album sarebbe indubitabilmente diverso, probabilmente molto meno originale, ma resterebbe comunque un prodotti di ottima fattura.
Al di là dei testi, infatti, Mike Lennon possiede una vasta gamma di metriche differenti a cui attingere, e -complice anche la durata relativamente breve del disco, comprensivo di solo sei tracce- riesce a non annoiare, alternando sapientemente un rap più spensierato, ironico e colorato (dove risulta evidente l’influenza -fra gli altri- di G.Bit, che non a caso ha prodotto anche un Remix di “Konichiwa”) a tracce più marcatamente trap, dalle tonalità più scure e dal linguaggio più diretto e infarcito di punchline.
Questa alternanza peraltro è evidente anche nelle produzioni: le sonorità dei brani prodotti da Mike Lennon seguono un po’ la wave della trap nella sua declinazione più “street”, più rappata, utilizzando suoni più profondi e distorti.
Al contrario, le tracce prodotte da Renzo Stone e Phra Crookers si avvicinano all’interpretazione più scanzonata e “chill” legata al mondo della trap, dettando, tramite sonorità vaporose, onirico-orientaleggianti e rasentanti lo psichedelico, la linea per i brani più introspettivi e al contempo ironici.
Dunque, rimane evidente che il motivo principale dell’improvviso successo di Mike Lennon risieda nelle sue innovazioni prettamente attitudinali e tematiche: importantissimo sottolineare la vera e propria epica del riscatto presente in ogni pezzo, epica che trova il suo presupposto morale nell’idea del lavoro e del sacrificio; un’epica dell’etica dunque, che ha la particolarità ulteriore di affondare le proprie radici in una realtà effettivamente vissuta, elemento che traspare, riuscendo a trasmettere la sensazione di limpida verità, quella stessa sensazione del vissuto e del reale che si pone come elemento fondante del gangsta rap, e che in Mike Lennon assume però una dimensione volutamente più luminosa e pulita.
La tematica dello stereotipo poi, riesce ad essere introdotta con disinvoltura, grazie paradossalmente alla sua esasperazione continua: il perpetuarsi mimetico dello stereotipo fa perdere allo stesso qualsiasi sfaccettatura intrinseca, inquadrando lo stereotipo come lo stereotipo di se stesso. Quella che a prima vista può risultare quindi autoironia (dove per “auto”, nel lavoro di Mike Lennon non si intende solo il microcosmo esistentivo di Mike, ma l’intero macrocosmo asiatico), ad un’analisi più attenta emerge essere invece satira nei confronti dei diversi preconcetti che tendono a cristallizzare l’infinitamente vasto, variegato e complesso orizzonte asiatico in alcuni topos, alcune maschere fisse, portando spesso ad una sorta di “limbo integrativo”: le formule fisse aiutano a interiorizzare alcuni concetti e veicolare una sorta di integrazione, ma al contempo, portano ad un’accoglienza volta alla superficialità, fallendo così ad avviare un confronto reale, profondo e sintetico.
Mike Lennon, dall’alto del suo mondo sognante, quasi bambino, conduce quindi una feroce critica culturale ancor prima che sociale, riuscendo però a non risultare pesante, comunicando su più livelli, aprendosi a diverse interpretazioni, come solo i più grandi riescono a fare.
Un primo album che già di per sé rappresenta un’eredità pesante: la sfida più grande per Mike sarà quella di riuscire a proseguire questo percorso evitando di accontentarsi, cadendo in quello squallido fenomeno di auto-plagio che ad oggi contamina una fetta molto consistente del panorama musicale mondiale. In ogni caso, ha tutto il tempo per farlo, e con delle premesse così può star certo che saremo qui ad aspettarlo in trepidante attesa.

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