Il 20 luglio, in occasione del loro Simulation Theory World Tour, la band dei Muse ha toccato anche Roma, per un’unica, grandiosa, serata.
Abbiamo una certezza, in questo ventuno luglio 2019: che i Muse sono la più grande band live sul pianeta Terra. Un primato toccato da poche altre, ed in tempi lontani, prima che la maggior parte dell’uditorio di ieri sera nascesse.
Le premesse, dopo i grandiosi show di San Siro, di questo Simulation World Tour, erano già grandiose; inoltre, la riedizione in chiave deluxe dell’album, che ha aggiunto e arricchito con nuovi arrangiamenti le sonorità forse un po’ minimal dell’originale, ha mandato tutti i fan in visibilio.
Sono le sette di una sera afosa allo Stadio Olimpico, dinosauro appoggiato sul lungotevere, e Nic Cester, frontman dei Jet in tour solista, sale sul palco, giacca dorata e lunghi capelli sciolti. Uno che ha le mani in pasta nella cultura e musica italiana da anni: ha partecipato alla riedizione di Hai paura del buio degli Afterhours nonché Adriano Viterbini dei Bud Spencer Blues Explosion ha fatto parte della sua orchestra. Si esibisce con brani come Sugar Rush, Who you think you are, ed il classico dei Jet Are you gonne be my Girl?. Uno show – orchestrazioni ibride fra i vecchi Deep Purple ed il più recente art rock dei Muse stessi – che ha sicuramente conquistato tutti e non è stato solamente uno spezzanoia.
Le ore passano, e si fanno le 9:45. La colonna sonora di Stranger Things la sappiamo tutti a memoria, con quei synth distorti, e dopo l’ennesima riproposizione finalmente i Muse, terzetto delle meraviglie, salgono sul palco e, come prevedibile, si inizia con l’intro di Simulation Theory, Algorithm, nella versione deluxe, un tripudio di synth, chitarre, e la batteria puntualissima di un più muscoloso Dominic Howard (ma sempre biondissimo). Sul maxischermo montato dietro il palco, astronauti – anzi, esploratori del Sottosopra – si calano camminando in verticale, medusette violette che li circondano.
Il Simulation Theory tour è un tripudio di colori e di figuranti: trombettisti cyberpunk – lucette, led, sull’uniforme – salgono sul palco per Pressure, unica vera hit da Simulation Theory. Matthew Bellamy è in gran forma e si diletta a fare lo showman: gioca con le riprese della telecamera (il concerto è fortunatamente, per la gente bassa come me, proiettato sui maxischermi), e spolvera classici come Psycho sulla sua fida chitarra. Si prosegue con pezzi da Simulation Theory (Deluxe!) come Break it to me, filtri vocali ed ispirazioni arabeggianti e synth anni ’80, e ci viene presentato per la prima volta la mascotte del tour: Murph, lo scheletro robot, direttamente dal videoclip di The Dark Side, la cui creazione è raccontata durante tutto lo show. E, sì, se avete pensato a Robocop siete nel giusto. Danzatori muniti di spade laser salgono sul palco. Si continua però alternando “nuovi” brani a grandi classici, in un grande equilibrio: è il momento di Uprising, da The Resistance (album capolavoro del 2013) e l’intero Olimpico batte le mani e balla al suono dei synth e del giro di basso.
Segue Propaganda ed un tripudio di effetti sul maxischermo, con Bellamy che scorrazza avanti e indietro per la pedana, e con un inedito Howard alla drum machine; i danzatori sono stavolta reinventati soldati di regime, che sparano gas di scena da lunghi cannoni portatili. Dopo Plug in Baby, c’è un glorioso momento di serie tv: per chi non lo sapesse, infatti, Bellamy ha partecipato, assieme ad altri grandi nomi, come i Lumineers, i The National, e Ellie Goulding, ad una compilation ispirata al Trono di Spade: ed ecco che arriva Pray, in Alto Valiriano – la lingua madre della regina Daenerys Targaryen. Synth leggeri ed un’atmosfera surreale avvolgono l’Olimpico.
Il piatto forte della storia del piccolo Murph arriva con The Dark Side, il cui videoclip è riproposto sul maxischermo – l’automobile che, come in Tron, sfugge ai pixel che crollano su una strada sintetica. Se siamo stati prima nella realtà virtuale (che Bellamy esplora con il VR brilluccicoso, dotato di telecamera), ora andiamo nello spazio: cinquant’anni fa avveniva l’allunaggio dell’Apollo 11, e come meglio festeggiare se non con Supermassive Black Hole? Perché, ragazzi miei, se siete all’interno di una galassia e non dispersi nello spazio come scemi è solo grazie al mostro supermassiccio che tutto divora che sta al centro della Via Lattea, il caro Sagittarius A. si continua con la versione “Simulation Theory” di Supermassive Black Hole: la distopica Thought Contagion.
Intermezzi narrativi sulla nascita di Murph si avvicendano durante lo show: apprendiamo che Murph, un tempo, era una persona qualsiasi, soggetto di un tremendo esperimento che l’ha lasciato ridotto a sole ossa; viene poi confinato all’interno di una gabbia dotata di campo elettromagnetico o di vetro – ma che dite? È palesemente un box di simulazione informatico – dal quale riesce ad evadere.
Il pogo esplode poi con il classico Hysteria, seguito da Bliss, dall’antichissimo Origin of Simmetry ma perfetta nel suo intro di pianoforte e nei suoi synth. I Muse hanno sempre adorato i rimandi scientifici nei loro brani, tanto da dedicare un album intero alla disuguaglianza di Clausius, la legge che regola la direzione unilateriale del caos nell’Universo: The Second Law, nel suo penultimo brano Unsustainable, così bello che non speravo davvero riproponessero live. I vecchi fan sono in brodo di giuggiole, e più che ad un concerto dei Muse pare di essere al Tomorrowland. E va bene così. Proseguiamo con Dig Down, uno dei brani migliori da Simulation Theory, nella versione gospel : un pianoforte a mezza coda appare sul palco, e il trio al completo si riunisce – danzatori volanti sullo sfondo, altri esploratori del mondo virtuale.
Poi, ragazzi miei, c’è stato il delirio: Madness, la splendida Mercy, Time is Running out in versione heavy metal, Houston Jam e Take a Bow tutte in fila, per un quarto d’ora di pura gioia per gli occhi e le orecchie. Scosse magnitudo 4 della scala Richter scuotono il foro Italico. Ad anticipare una delle più grandi hit dei Muse, c’è Prelude, intro da The Second Law, piano e archi: cosa aspettarsi, dunque, da Bellamy che indossa una giacca da motociclista ricoperta di led programmabili (la voglio) e danzatori con pistole laser? Ovviamente Starlight. L’Olimpico canta con una sola voce, tanto che Bellamy abbandona il microfono durante il ritornello, e il bassista Chris Wolstenholme se la ride sotto i baffi.
Siamo al falsofinale, dopo un’ora e tre quarti di musica e spettacolo. Ed eccolo, quando riparte Algorithm, il vero piatto forte: Murph, nel formato di un gigantesco gonfiabile, spunta da dietro il palco e ghermisce la band, sparando raggi laser dalle fauci, anche mentre il gargantuesco medley di Stockholm Syndrome (brano amatissimo dai fan)/Assassin/Reapers suona in sottofondo: la meravigliosa New Born è la ciliegina, anche ideale e concettuale, sulla torta, in quanto il neonato e già incazzato Murph artiglierebbe tutto ciò che può.
Un’armonica a bocca di Wolstenholme, spari, e synth distanti: il grande, grandissimo finale è affidato allo space western di Knights of Cydonia, brano puro prog metal in barba a chi dice che il metal fa schifo. Sei minuti di salti, spari, di promesse che nessuno ti catturerà da vivo e che sempre combatterai per ciò che ti spetta.
Lo show, fin troppo presto, finisce. Due ore di musica, due ore di elettronica anni ’80, di metal, di rock, di gran spettacolo, di perfezione tecnica e stilistica: i Muse da sempre amano l’Italia, e sicuramente lo stadio più grande ha un posto d’onore nel cuore del terzetto. Lentamente, la fiumana umana defluisce lentamente – un fluido supercritico – fuori dallo Stadio. Ancora in trance.
Buonanotte, Muse!
PH: Pasquale Colosimo
Inside Music è una webzine italiana indipendente nata nel 2017 e dedicata alla musica, che offre notizie aggiornate, live report, interviste esclusive, recensioni di album e approfondimenti. La piattaforma si rivolge agli appassionati di musica, proponendo contenuti dettagliati e di qualità su artisti, concerti e novità del panorama musicale nazionale e internazionale. Visita Inside Music per rimanere sempre aggiornato sulle ultime tendenze e scoperte musicali.