Home Live Report Depeche Mode Global Spirit Tour live in Roma: questi fantasmi.

Depeche Mode Global Spirit Tour live in Roma: questi fantasmi.

by Luca.Ferri
Depeche Mode

And I thank you, For bringing me here, For showing me home, For singing these tears, Finally I’ve found, That I belong here…

Eccoli i fantasmi degli anni più bui che ritornano. Eccolo lo sferragliare di pezzi di anima arrugginita che si sfregano tra loro. Eccolo il silenzio tra di noi, ed ecco pure i nostri santi personali. Sono ancora qui perché abbiamo bisogno di loro.

Il tempo non sembra passato, o forse si, è passato tanto di quel tempo che nella sua dimensione circolare è ritornato al punto di partenza, ed anni come questi tornano di nuovo buoni per quei fantasmi cantati con i sintetizzatori ed una voce grave, capaci di trovare una via d’uscita dal buio. Quello che ci portiamo dentro e quello che troviamo ogni giorno fuori dalla porta di casa. Perché diciamocelo chiaramente, sono anni bui questi, giorni torbidi, tempi adatti ai Depeche Mode.

Quella di Dave Gahan è una storia fatta di cadute e di risalite, come quasi tutte le storie dei 53000 che erano allo Stadio Olimpico per la prima data italiana del Global Spirit Tour.

Si parte con l’introduzione dei Beatles

You say you want a revolution , Well, you know, We all want to change the world…

Ma questa rivoluzione c’è stata o no? Se ancora i Depeche Mode sono capaci di scuoterci dentro questa rivoluzione forse non c’è stata davvero.

Where’s the devolution?

La rivoluzione l’hanno fatta Martin Gore e compagnia, e ancora continuano nella loro opera, ma forse tranne pochi altri nel panorama musicale, di rivoluzioni ce ne sono ben poche. E’ per questo che un concerto come quello dello Stadio Olimpico, gremito nonostante il tour preveda altre due date italiane, è una di quelle serate che ti riconcilia con la musica e con te stesso.

Ampio spazio nella serata è dato, come è normale, all’ultimo album. I primi due pezzi sono presi proprio da Spirit. La scaletta è ormai rodata per questo tour, forse una selezione più a caccia di vecchie perle che di classici mainstream.

Dave Gahan è il solito, immenso, animale da palcoscenico. Bastano le prime tre canzoni per ritrovarlo senza giacca a dimenarsi sul palco. E’ un sopravvissuto. A tante cose ma più di tutto ai suoi fantasmi, molti dei quali li ritroviamo nelle canzoni, tanti altri svaniti con la droga e le mille vite che ha vissuto in passato. Il concerto però celebra il momento e ci sono poche persone nel panorama internazionale che possono tenere testa, in quanto a magnetismo, al frontman dei Depeche Mode. Il palco azzera tutto, c’è poco da scherzare, Dave Gahan è un gigante, tiene testa a ogni singola persona presente in quello stadio, senza sfuggire gli sguardi anzi sfidando il pubblico e invitandolo a cantare con lui e la band.

Da parte sua il pubblico italiano è magnifico, assolutamente trasversale per età e composizione, segno del lungo e importante percorso che una band del genere ha saputo fare nel corso di tre decenni.

Il vero cuore dello spettacolo è la versione di Home cantata da Martin Gore. Assolutamente da brividi. A mio parere il momento più emozionante dello show insieme ai superclassici che chiuderanno la scaletta.

Un salto nel passato di tutti noi, con uno di quei brani che ormai fanno parte del nostro subconscio, ecco la grande potenza della musica dei Depeche.

E poi Question of Lust, sempre con Gore a tenere tutto lo stadio col fiato sospeso e con gli occhi lucidi.

“Fragile, Like a baby in your arms, Be gentle with me, I’d never willingly do you harm…”

La serata continua in un incessante alternarsi di brani recenti e grandi classici, come Everything Counts e Wrong. Una doppietta che toglie il fiato. Ogni versione live è una storia a sé, ogni canzone diventa occasione per creare una nuova alchimia con il pubblico ed in più di un’occasione si creano dei canti e controcanti con la band che cavalca l’onda di energia che il pubblico riesce a restituire ad ogni brano.

L’omaggio al duca bianco è l’ennesima perla della serata. Una versione di Heroes a tinte scure, capace di crescere poco a poco fino ad arrivare su, dove anche la voce si schiarisce e c’è luce.

Poi succede quella cosa. Prima o poi doveva accadere. Parte Enjoy the silence.

Se uno non ha un motivo per cantare a squarciagola Enjoy the silence forse non ha vissuto abbastanza. E allo stadio eravamo in migliaia a ballare sotto il cielo di Roma su quelle note ormai entrate nella storia. Anche questo sono i concerti dei Depeche Mode, dei grandi raduni di anime scure pronte a sciogliersi in versi come

All I ever wanted All I ever needed Is here in my arms Words are very unnecessary They can only do harm…

 

La musica ci scava dentro, brano dopo brano. Si balla tutti insieme in un modo che solo con la musica della band di Basildon sa ricreare. Non è facile da spiegare a chi non riconosce certe sensazioni, un po’ come dire ad uno sconosciuto che crede di capirci di provare a camminare con le nostre scarpe prima di parlare di noi. Dave Gahan, Martin Gore ed Andrew Fletcher parlano di noi, molto meglio di molti che credono di conoscerci davvero e lo fanno da oltre trent’anni.

I loro fantasmi si sono confusi con i nostri e tutti insieme abbiamo gridato al nostro Personal Jesus tutto ciò che volevamo buttare fuori, tutto quello che ti sa tirare fuori quel grande rito collettivo che è un concerto dei Depeche Mode, un rito che si ripete dal 1980 e che nonostante gli anni restituisce quella sensazione familiare, per cui alla fine nonostante ti sia trovato di fronte ai tuoi fantasmi ringrazi la band per averti portato lì, per averti fatto capire che eri a casa.

And I thank you, For bringing me here, For showing me home, For singing these tears, Finally I’ve found, That I belong here…

Live Report: Raffaele Calvanese

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