Roggy Luciano è un beatmaker, MC (master of chants), e soprattutto artista, italiano. Una figura assolutamente originale nel panorama hip hop attuale. E’ da poco uscito il suo ultimo lavoro: Buon Natale, l’ultima fatica dell’autoproclamatosi cialtrone del rap.
State attraversando la strada, la musica vi riempie le orecchie.
D’un tratto, un viso sconvolto di fronte a voi. Poi un rumore sordo, vi girate.
Un’auto, quasi totalmente accartocciata addosso al muro della Banca.
Voi, e altre persone a decine, rimanete immobili, quasi attratti, mentre arrivano le ambulanze e i poliziotti che fra poco vi allontaneranno.
Eric Wilson, professore di inglese alla Wake Forest University del Nord Carolina, ha provato a spiegare nel suo libro “Everyone Loves A Good Train Wreck” il perché dell’atteggiamento atipico delle persone di fronte a incidenti e tragedie di tale portata, targandolo come meccanismo dalle origini ancestrali di preservamento della propria salute mentale.
Ma veniamo a noi: era un’inedita e uggiosa anticipazione autunnale di un Settembre ancora troppo estivo, io mi aggiravo fra i cunicoli scuri e poco frequentati della periferia di Youtube, quando per puro caso mi imbattei nel mio personalissimo accartocciamento automobilistico.
Si trattava del video musicale di “Il Dr.Moebius“, video per l’appunto attratente e morboso, che mi indicò la via per il magico purgatorio di Roggy Luciano.
Inutile raccontare l’avidità con cui divorai i suoi primi due album da solista, inutile raccontare il senso di prematura malinconia nei confronti di un artista che dal 2009 non aveva più dato cenni di vita. Giunto dunque all’apice dello sconforto, fui risollevato dall’estasi quando a Dicembre, improvvisamente, uscì il suo nuovo lavoro.
“Buon Natale” il titolo, e proprio il Natale è pretesto e cornice di numerose delle 13 canzoni che compongono l’album. Ecco il bandcamp di Roggy Luciano.
Il primo brano, “È Natale“, si apre con una base distonica dal ritmo incalzante, perfetto per una prima traccia ad effetto, accompagnata dalla voce analogamente straziata, quasi da disperato in preda agli effluvi dell’alcool, che nel ritornello già introdurrà uno dei leit motiv del disco, ovverosia una costante nostalgia verso un nido, una casa, che Roggy non potrà più raggiungere.
È “Terapia” però a smorzare il moto enfatico iniziale, trascinando nel turbine della base dalle tonalità oniriche, che fa da palcoscenico al perfetto contrasto fra la nasalità del rappato e l’assoluta limpidezza della voce di Chiara Ragnini, leggermente edulcorata da un autotune tanto innecessario quanto interessante.
Il dialogo assurdo che chiude la canzone, apre alla terza traccia dell’album: “Belin”.
“Belin” è probabilmente uno dei più fulgidi esempi del tentativo -ben riuscito- di rinnovamento da parte dell’artista genovese: la partenza quasi titubante del flauto viene immediatamente adottata e integrata con un beat Trap dai bassi distorti, e infarcita di adlibs atipici, non senza una punta d’ironia e dalla regionalità molto marcata (“Durso Gang”, “Giluciano” “Dai caruggi del ponente”), denotativi peraltro di tutto l’andamento del brano, a partire dal titolo.
Viene ripreso inoltre il tema dello smarrimento di chi è lontano dal nido (lampante il “mamma voglio andare a casa” gridato fino alla stridulità “in un’autostrada”).
In ultimo, emerge fortissimamente la tendenza letterariamente anarchica della metaforizzazione del reale e della razionalizzazione del metaforico, oltre che la natura nichilistica del rifiuto del “prendere sul serio la vita”, entrambe perfettamente rispecchiate da un’autentica chicca del surreale: un dialogo tratto dal Film “Synecdoche, New York“, posto a fine brano.
“Cicogne” si propone di introdurre una corrispondenza fra profondità di temi trattati e pacatezza del suono: cullati dal basso e dalle sirene, si viene accompagnati nella disperazione esistenziale riguardo la noia ripetitiva di una vita imposta dall’alto, senza possibilità di scelta, tema comunque trattato con la solita ironia che contraddistingue l’autore.
“Garibaldi” offre uno spunto di riflessione letteraria riguardo la nascita stessa di un brano: da qui in poi saranno sempre più frequenti le canzoni e le strofe nate direttamente dalla ripetizione ossessiva di una parola casuale. Altro aspetto interessante è l’utilizzo indiscriminato e irrefrenabile del flusso di coscienza, in forte contrasto con un ritornello ironicamente nazionalpopolare.
“Intervallo” riprende le sonorità di “Cicogne” e con la sua strumentale veicola all’ascolto di “Farsa“, brano che potrebbe presentarsi forse come il più rappresentativo di Roggy Luciano.
I numerosi cambi di prospettiva, il linguaggio evocativo, il ritornante tema della Casa e del Bambino alternati al senso di distonia con quelle che sono le convenzioni sociali, infatti, creano delle immagini che appaiono marcatamente autobiografiche.
“Restare?” è un richiamo al Roggy Luciano delle origini: una base hip-hop vecchia scuola, arricchita dagli inciampi sincopatici del ritornello, avvolge uno storytelling cinematografico di una relazione in crisi.
Il flow rapido e incalzante de “Il mistero del risciaquo” permette un’agile digestione delle modalità marcatamente provocatorie e Bachtianamente umoristiche nel trattare il tema della morte, mentre “Natale in Albergo” rimarca il logoramento esistenziale servendosi del pretesto di tracciare, a suon di ciniche pennellate, uno squallido quadretto della vita notturna di un albergo di periferia. “Natale in Autogrill” è il brano più lungo del disco, e dà il via all’intensificazione della tessitura di quel filo rosso -rappresentato dalla tematica del ritorno- che andrà a chiudere l’album.
La litania del ritornello viene costantemente contaminata da intromissioni Brechtiane (soliloqui fuori campo, autocensure intenzionali…) e la libera associazione di suoni sulla base martellante danno vita ad accostamenti stridenti e magnetici (rumori di tazzine sul bancone del Bar miscelati ad una messa di Natale, a sua volta interrotta da bestemmie al telefono o dall’ordinazione di un Camogli all’autogrill).
“Natale al Karaoke“, con la sua atmosfera piratesca, replica una tipica serata a base di sbronza epocale e conseguente voce rauca da karaoke di bassa lega, e funge perfettamente da tramite per l’ultima traccia del disco: “Tornare?“. Quest’ultimo brano riprende le tonalità della prima traccia (disperate, alterate dall’alcool) per esprimere il suo personalissimo grido d’aiuto in un mondo ormai surreale, quasi totalmente “Lucianesco”, dove i bambini allattano le madri e gli aspiranti suicidi si tagliano i polsi in verticale. Anche l’ultimo dialogo sottolinea questo senso di disperazione di fronte al vuoto dei significanti alla disperata ricerca di un significato, e apre la strada alla ghost track, dove ormai tutto si rassomiglia, dove ogni parola è intercambiabile e casuale, dove i ricordi non esistono e i pensieri si costituiscono unicamente di libere dissociazioni visive e vaghe associazioni foniche.
Un purgatorio in cui il pensiero è diventato solamente un’ulteriore fatica, e in cui tutto è dominato dall’unica ossessione autolesionistica -poiché dolorosa e impossibile- del tornare.
In generale, Roggy Luciano riesce a riempire il vuoto lasciato dai 9 anni di assenza, regalando un album intriso di sperimentazioni liriche e musicali, riuscendo ad approfondire il percorso di analisi filosofica, dissolvendo l’aspetto politico-sociale a favore di una prospettiva maggiormente poetico-esistenzialistica, tramite la profonda immersione nell’oceano dell’assurdo e della provocazione, riuscendo così a concedersi il lusso di non prendersi mai troppo sul serio.
Parafrasando il dialogo che chiude “Natale al Karaoke“, “Buon Natale” è un album che si scusa con chi si aspettava di più e con chi si aspettava di meno, ringraziando però coloro i quali si sono soddisfatti di ciò che hanno ascoltato.
E la straordinaria qualità di Roggy Luciano forse è proprio questa: la capacità di riuscire a dare “di più” e “di meno” indiscriminatamente, di riuscire a combinare registri e tematiche differenti e riuscire a dare vita all’inimitabile unicità del suo essere, senza far intuire né negare un’intenzionalità del genio, cosicché da mantenere integro il suo magnifico status di autoproclamato cialtrone.
Antonio Sartori