Paolo Benvegnú e il suo H3+: “Cerco nel vuoto lo sconosciuto che è in me”
Dopo una conversazione con Paolo Benvegnù la sensazione che resta è quella di aver parlato con un filosofo dell’antica Grecia o con un poeta di altri tempi. E non è un’iperbole, l’impressione che permane è davvero quella. Sarà che il peso artistico coincide ed è esaltato dallo spessore umano. Sì perché Paolo non sembra essere consapevole del suo grande universo interiore e della capacitá naturale e fascinosa che ha di metterlo nella sua musica. Ha lo sguardo tipico delle persone talmente umili da non prendersi sul serio, talmente profonde da illuminare gli altri e oscurare un po’ loro stessi, ferendosi con la loro stessa, dolcissima sensibilità. Cesellatore instancabile della realtà, alchimista attento dell’animo umano, Benvegnù si supera nell’ultimo disco, H3+, uscito lo scorso 3 marzo per Woodworm Label. Dopo Herman e Heart Hotel, va anche oltre l’uomo e la materia per approdare nel vuoto infinitesimale dove si trova lo ione triatomico di idrogeno, appunto, ossia nel nulla che è nell’universo e, quindi, ovunque. La vita è vista come una ricerca affannosa e oggettivamente fallimentare nel senso di meraviglioso inseguimento, fatto di lampi di luce e di conforto. E quale migliore obiettivo da perseguire se non quel minuscolo, insignificante vuoto rispetto all’immensità che è lo sconosciuto che è in ognuno di noi?
H3+ conclude la trilogia iniziata da Herman e Heart Hotel, un viaggio nei meandri dell’interiorità, un progetto pensato o che ha preso forma nel tempo?
Ti rispondo con una citazione di Fellini che diceva “I film si fanno un po’ da soli”, nel momento in cui c’è un’idea tutto si incastra in modo naturale. Il tentativo complicato di scrivere un disco sulla storia dell’uomo come è stato Herman doveva essere seguito da uno sguardo più ravvicinato al nostro tempo e, nel caso di H3+, a quello che potrebbe succedere. Ho pensato che una delle inclinazioni dell’uomo, oltre alla tensione all’immortalità, fosse anche la volontà di sciogliersi nella materia però mantenendo la propria identità umana.
H3+ è lo ione triatomico d’idrogeno ossia la particella alla base dell’universo, una metafora?
Ci sono varie chiavi di lettura, la prima è il superamento del dilemma amletico “essere o non essere”, in realtà se si prova l’onniscienza questa molecola triatomica di idrogeno è ovunque nell’universo conosciuto però è invisibile perché è nel vuoto, quindi essere in ogni cosa paradossalmente è non essere materialmente. Poi questa suggestione è stata trovata nel piccolo vuoto che sono io, di piccolo uomo, nel fattore di insignificanza rispetto al creato.
Queste 10 tracce sembrano le tappe di un viaggio che parte da una dimensione iperuranica per arrivare ad una più personale che, dopo un percorso così profondo, diventa reale e impalpabile allo stesso tempo. Dalla prima traccia Victor Neuer, passando per Macchine a Goodbye Planet Earth fino a No Drinks No Food esplori luci e ombre dell’animo umano. Quale era la meta? L’hai raggiunta?
Ogni opera inconcreta degli esseri umani è un fallimento in sé nel senso bello del termine perché questo guida verso l’inseguimento, verso la creazione che in realtà è propria della parte femminile del mondo che effettivamente genera. È la testa che si scioglie e diventa pioggia, il pensiero che evapora e diventa acqua, sorgente, questo era l’obiettivo. La vita è un inseguimento bellissimo, meravigliosamente terribile o terribilmente meraviglioso.
Hai dichiarato “un pomeriggio di tre anni fa ho sentito una voce provenire da lontano. Racchiusa in un fiore mi ha parlato di abbandono e di vendetta. Di distanza e miracoloso sentire. E mi ha dettato un’invenzione da propagare.” Una vera visione, un’illuminazione creativa?
Man mano che cerco di acuire lo sciocco sguardo ulteriore che ogni giorno tento di affinare mi sembra di sentire la terra stessa che parla, nel tempo e nello spazio. Quella era una giornata pienamente rinascimentale, io ho abitato a Città di Castello e vedevo questi cieli confortanti e questo mi ha guidato, mi sono detto se ti conforta qualcosa che conosci allo stesso modo non può confortare anche lo sconosciuto? E se sì questo ha qualche corrispondenza con lo sconosciuto che è in te che ancora stai esplorando? Ecco mi sono mosso in questo gioco di risonanze per cercare davvero lo sconosciuto che è in me.
In Victor Neuer ci sono le muse di tutto il lavoro: la “Dea del Silenzio”, quella “dell’Attesa”, quella “dell’Innocenza”, quella “dell’Incoerenza”, è a questi sentimenti che ti sei ispirato?
Spesso con le persone parlo molto ma in realtà sono un silenzioso, un solitario, sono uno che sa contemplare e attendere e da colpevole sono diventato innocente, questo è un grande traguardo per me. Naturalmente dentro persiste il mostro che c’è in ognuno di noi ma sono riuscita a legarlo molto bene. Poi c’è l’incoerenza che è la dote che mi spiazza di più negli altri e in me, per incoerenza intendo il provare a non essere attanagliato dalla noia e uscire dal torpore, a cercare in ogni cosa che vedo un significato che vada oltre al visibile. È vero, quelle muse sono proprio le ispirazioni che guidano la mia vita e inconsciamente sono uscite nel primo pezzo del disco.
Questo è un disco dedicato alla perdita, all’abbandono ma anche alla rinascita, infatti dici “Il sole esplode tutto rinasce” – “Tutto è luce”. C’è molta luminosità in questo album o sbaglio?
Incredibile, è vero! Non avrei mai pensato. Io sono un po’ un orso e spesso amo stare nelle caverne, però negli ultimi anni ho scoperto che noi dobbiamo davvero gettare i ponti verso “l’altro” inteso come altro da noi, che sia una persona, un sasso o l’universo e che siamo davvero qui per tramandare informazioni. Questo meraviglioso slancio di vita che hanno i neonati e che anche da grande in me rinasce è una tensione importante che tendiamo a sottovalutare, io cerco di perseguirla e quando ci riesco sono davvero appagato.
In No drinks no food anche la linea melodica, sorretta dai violini, rimanda ad una ballata di grazia, che mira alla serenità, al ricongiungimento con noi stessi e con la natura mentre in un pezzo come Quattrocentoquattromila il sound è più quello delle origini, più rock. C’è stata grande ricerca e varietà anche al livello di stile oltre che di contenuti.
Mi ricollego alla citazione di Fellini della prima domanda, l’idea era quella di essere complicatissimi e sintetici all’inizio del disco e poi man mano che si andava avanti nel percorso di diventare sempre più acustici e armonici. In realtà poi più che una storia che si lascia leggere è diventato un insieme di momenti catturati. Il sound rispecchia questi attimi. In Quatteocentoquattromila c’è l’esploratore Victor Neuer preso dall’enfasi punitiva verso i ribelli mentre in No Drinks no food il personaggio ricade sulla terra sotto forma di pioggia, quindi anche l’estetica del suono si adatta alle diverse ambientazioni.
In Olovisione in parte terza dici: “Sei nei milioni e milioni di stelle ad una ad una da elencare. Nei pianeti da esplorare. Nelle esplosioni. Nell’antimateria. Ma quando riusciremo a toccarci Saranno i demoni dell’Amore a ritrovarci”. Parli di una forma di amore assoluta, senza spazio e senza tempo, non è un’utopia?
Decisamente è un’utopia ma è proprio di questo che parliamo. Se è vero che la sofferenza degli uomini sta nello spazio tra reale e immaginato, mi piaceva l’idea dell’innamoramento di un uomo reale con una donna virtuale, anche perché la realtà aumentata sarà qualcosa che a breve ci coinvolgerà. Naturalmente l’amore così assoluto non esiste, ma il confondimento tra un obiettivo vero e uno virtuale è ancor più fuorviante. Non so mi viene da pensare che si debba tendere verso un amore assoluto ma saper anche capire quanto sia bello un amore reale.
“Ho varcato orizzonti per perdermi sempre, l’errore sono io”, lo dici in Questo sono io. Parli di un senso di inadeguatezza che forse, al di lá del carattere, è acuito in chi vive di arte come la musica, che porta continuamente a scavare nel proprio io?
Assolutamente sì. E il fatto di essere l’errore non ha minimamente un’accezione negativa, anzi è una grande guida. Se usiamo un gioco di parole “errare” significa anche, vagare, perdersi e lasciare informazioni in questo universo che ci parla. Anche la solitudine o l’inadeguatezza che a volte proviamo sono solo riflessi, a volte dimentichiamo che abbiamo tutto e che possiamo vivere qualsiasi cosa solo immaginandola.
Sabrina Pellegrini
Si appassiona alla musica sin da bambino, scoprendo la vena rock n roll alla tenera età di 8 anni folgorato dall’album EL DIABLO dei Litfiba e PARANOID dei BLACK SABBATH. Nel 2010, insieme a due amici, Alessio Mereu e Alessandro Cherubini fonda il LITFIBA CHANNEL che di li a poco diventerà la radio ufficiale della storica rock band di Piero Pelù e Ghigo Renzulli, all’interno della quale conduce il programma SOGNO RIBELLE scoprendo e intervistando insieme a GRAZIA PISTRITTO band come IL PAN DEL DIAVOLO, BLASTEMA, KUTSO, ILENIA VOLPE, METHARIA, FRANCESCO GUASTI, PAVIC, UROCK. Format portato anche in formato live organizzando serate di vera e propria musica live in alcuni locali di Roma. Nel 2017 dopo tre anni alla direzione di una webzine, decide di fondare e dar vita a INSIDE MUSIC insieme alla socia MARTA CROCE.