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Spaghetti Unplugged: buona anche la seconda. Intervista a Caffellatte

by InsideMusic
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Della fine mi piace l’appuntamento successivo. Della fine mi piace che è relativa, almeno in questo caso lo è, o perlomeno con Spaghetti non è ancora tempo, al contrario «Abbiamo appena cominciato» mi ha detto Wichela, domenica sera a metà tra palco e platea.

Sono nostalgica quando mi diverto, nel mentre e ancora di più, alla fine. Al termine della seconda serata all’Alcazar lo ero, quando ho visto bocche aperte, braccia alzate, chitarre, microfoni volanti come in film distopico, oppure galleggianti come sott’acqua. In effetti quel palco è una vasca.

Voci innocenti hanno cantato l’amore, che se non è innocente non vale. Hanno cantato la rivendicazione della bellezza, hanno cantato la riappropriazione dei diritti. L’open-mic, lo spazio libero per cantanti liberi, è potente perché è lo spazio collettivo, condiviso, comunitario.

Spaghetti Unplugged è il luogo in cui chi canta lo fa per il gusto di farlo, soprattutto alla fine, quando senza troppe pretese, andare sul palco significa stare insieme. “L’ultima festa”, per citare chi di musica indipendente ne sa qualcosa, io non la voglio ancora, ma voglio goderne come se lo fosse tutte le domeniche.

Tra gli ospiti Sandro Cappai, Mox, Giovane Giovane e Caffellatte. Con quest’ultima ho chiacchierato al bar in balconata, prima che si esibisse.

«Perché intervisti più le donne?» mi ha chiesto qualcuno, a un certo punto. «Perché hanno meno voce» ho detto e non alludevo alle doti canore. Lei, Caffellatte, l’ho riconosciuta dalla frangia bionda squadrata sulla fronte. Aveva una maschera disegnata intorno agli occhi di perline bianche, piccole e circolari e delle scarpe di vernice rossa. Le mani sottili, ma la presa forte.

Caffellatte da dove nasce il nome? Si è avvicinata perché la musica era alta.

«Quando è nato Facebook, il primo nome che ho messo tra parentesi è stato Caffellatte e poi tutti hanno cominciato a chiamarmi così. È mio da prima di ogni cosa. Si può dire essere il mio primo nome». 

Quando e perché hai cominciato a fare musica?

«Da sempre. Avevo 3 o 4 anni e già cantavo. Ho sempre saputo di voler cantare, sebbene con la musica abbia avuto spesso momenti difficili. Posso dire, con certezza, che la musica mi ha sempre ripreso per i capelli, mi ha salvata».

Se dovessi scegliere due parole che descrivono la tua musica?

«Serpente e contrario» risponde senza troppo pensarci, come se lo sapesse da sempre «Perché in entrambi esistono le contraddizioni: lo spavento e la sensualità. Credo che il serpente sia una figura complessa e che contenga i dualismi. La mia musica è così».

Quali sono gli artisti che hanno più influenzato il tuo percorso musicale?

«Battiato e Concato, sicuramente e poi ho cominciato ad avvicinarmi al Rap, Fabri Fibra, Guè, Dargen. Mi piace mischiare, stare in mezzo alle cose. Il fil rouge è tutto e il suo contrario».

Quali sono i commenti che più ti rendono orgogliosa riguardo alla tua musica?

«Gli apprezzamenti sui testi delle mie canzoni. Quando vengono percepite le parole che scrivo. Per me le parole sono molto importanti».

Se non fossi stata una musicista cosa avresti fatto?

«Probabilmente la psicologa, perché sono laureata in psicologia e mi piacciono le persone, quindi sì, direi la psicologa».

Quali sono i temi che ritornano di più nei tuoi testi?

«L’alcol» ride «Non so perché e poi serpenti, cicatrici, tagli. Il tetro che si porta dietro le sfumature di luce».

Partire dalla fine e tornare all’inizio. Vorrei che Spaghetti finisse solo per ricominciare, ogni domenica d’inizio. Le note d’inizio, le melodie d’inizio, la musica di inizio. Che comincia all’infinito, rinnovandosi ogni volta, cambiando forma, tenendoci dentro al flusso.

A Cura di Giulia Della Cioppa

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