Questa settimana come ospite di Gioved-INDIE abbiamo Riccardo Sinigallia, cantautore e produttore romano.
È uscito il 14 settembre per Sugar il suo nuovo album intitolato “Ciao Cuore”. Da gennaio 2019 sarà in tour per nove date nelle principali città italiane.
Ciao Riccardo, benvenuto nella nostra rubrica del giovedì più indipendente del web, Gioved-INDIE, domanda introduttiva alla rubrica: cos’è per te l’Indie e cosa mantiene ancora indipendente?
L’indie per me che sono – diciamo – più anziano è una specie di attitudine che si ha con la propria materia artistica, l’ho sempre pensata come l’indipendenza delle aspettative del mercato e dai sistemi di divulgazione, quindi case discografiche, agenzie di booking… Un artista che si ritiene indipendente e che cerca di tutelare la propria creatività per mantenerla più vicina al suo concetto di somiglianza con sé…dopo di che è diventato una specie di genere. Si definisce indie tutta quella musica che ha un certo tipo di estetica, una categoria pop… ma io non riesco proprio ad accettare questa definizione.
“Per Tutti” è uscito ben 4 anni fa, nel 2014. Hai iniziato subito dopo a lavorare al nuovo album o è stato un disco scritto di getto?
Non interrompo mai la lavorazione al punto che alcune canzoni di “Ciao Cuore” sono delle canzoni che avevo durante “Per Tutti” o addirittura prima di “Per Tutti!”. È un continuo lavoro. Sai, ho una specie di magazzino di spunti, di idee, di brani musicali da cui poi ogni tanto ripesco e rielaboro ciò che avevo. E poi sì, c’è tutta una parte di lavoro che è iniziata non subito dopo l’uscita di “Per Tutti”, quel tipo di lavoro lo faccio dopo un anno di reset. C’è sempre un lavoro continuo ma non un pensiero programmatico continuo.
Possiamo dire che sei un supereroe. Fai il lavoro più difficile e di nascosto… Hai collaborato con Gazzè, Fabi, Tiromancino; hai prodotto ultimamente Coez e l’album di Motta poi vincitore del premio Tenco come Opera Prima. È stato difficile ritornare protagonista, stare davanti al disco invece che dietro?
No, perché parallelamente ho sempre continuato a fare le mie canzoni, a cantarle, a suonarle, magari non era evidente a chi non mi seguiva molto da vicino; facevo tournée anche da solo per poche persone però molto intense, non ho mai sospeso. Quello del produttore e del musicista o dell’autore per altri, è un lavoro con cui mi sono mantenuto e mantenuto la mia famiglia; mentre il territorio della mia produzione discografica è un territorio che non definisco come lavoro ma come il mio sogno.
Lavorando con nuovi artisti come abbiamo detto prima Motta e Coez – che ora fanno parte di un nuovo genere, e che sembra andare a molto… Hanno influenzato in qualche modo il tuo nuovo lavoro, magari anche la visione della musica o ci sono stati dei consigli scambiati?
Io penso che sia abbastanza normale che lavorando insieme qualcosa, reciprocamente qualcosa si lasci; di sicuro qualcosa da Coez e da Motta avrò preso, sicuro non era un mio obiettivo, nel senso che il mio disco uscito adesso è molto simile al mio primo album da solista, simili alle canzone che facevo quando avevo 12 anni ma anche dalla parte produttiva non è diverso. Poi ogni lavoro che ho fatto a partire da Niccolò Fabi, Tiromancino, ogni volta ci si mischia e ci si lascia qualcosa. Sta poi a noi mantenere la propria integrità artistica, però l’influenza è sempre positiva perché arricchisce. Certo non so dirti bene in cosa ma sicuramente sì.
Invece riprendendo una parte del testo di “Bella quando vuoi”… “chi dice niente paura e intende niente coraggio” Hai avuto un po’ di timore per l’uscita di “Ciao Cuore” visto che siamo in un periodo in cui quasi ogni settimana escono nuovi artisti con nuovi album?
Ero abbastanza preparato all’indifferenza che comunque conosco bene perché dopo aver fatto molti dischi che non hanno raccolto l’attenzione del pubblico più distratto, ero preparato al fatto che anche questo disco fosse in qualche modo ignorato dalla maggior parte degli ascoltatori di musica di “sottofondo”. Rimango così, tutto quello che succede per me è qualcosa di più. Sono felice di aver fatto un disco che posso mettere vicino agli altri tre precedenti.
Andando un po’ più dentro al lavoro… “Mi piacciono le donne di destra capaci di tanta indifferenza e ingenuità” chi sono le donne di destra?
Un modo un po’ superficiale – ne sono abbastanza consapevole – però forse era il modo più immediato e più efficace di definire un certo tipo di canone estetico e di manifestazione espressiva di femminilità che spesso viene criticata ma che secondo me, ha una sua potenza espressiva che non viene riconosciuta dalla maggior parte delle persone in maniera onesta. Mi è venuto questo testo che è un po’ il frutto del mio pensiero, ad esempio quando faccio delle cene con degli amici e siamo un pochino tutti alterati e ci parliamo di gusti femminili, io, a volte, ho una posizione scomoda e ho sempre pensato che alcuni modi di alcune donne, lontane dal mio mondo, siano affascinanti nonostante non ci sia affinità intellettuale.
Come mai la decisione di includere nell’album “A cuor leggero” brano tratto dal film Non essere cattivo di Caligari?
Lo avevo escluso da “Per Tutti” perché mi sembrava che in quel disco potesse essere una ripetizione, che non fosse sufficientemente motivata la sua presenza in quell’album. Invece quando Valerio ha deciso di proporlo per i titoli di coda per il film di Caligari, io stesso l’ho visto con una luce diversa e il messaggio che c’è – un messaggio molto piccolo, leggero ma in realtà apparentemente leggero – è l’ideale per chiudere il disco. Era perfetto per fare questa operazione di rilascio dall’entrata in tutto l’album. Un’entrata abbastanza impegnativa, mi interessava che la chiusura fosse più leggera.
A livello sonoro “Ciao Cuore” l’ho trovato in linea con Per Tutti. È così?
È una evoluzione, anche nei dischi precedenti ci sono situazioni simili poi andando avanti le vicinanze sono sempre più adiacenti.
Ti saluto con un gioco: se dovessi inviare un messaggio a un tuo collega indipendente. Chi sarebbe e cosa gli diresti?
Direi di ammettere le proprie dipendenze, ai miei colleghi che usano la parola indie come vezzo. Direi di fare conti con le proprie dipendenze, ma molto in generale perché di dipendenze ne abbiamo tutti, quindi il termine indie è molto impegnato se si vuole essere puri nel poterlo affibbiare a se stessi.
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