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“Harvest” di Neil Young è il vinile della settimana

by InsideMusic
neil young

Rieccoci, è di nuovo mercoledì e senza che ce ne accorgessimo luglio ha già pervaso le nostre vite. L’ospite della serata è Neil Young – il cantautore folk- country canadese – con il più classico di ogni tempo “Harvest”, pubblicato nel 1972 dall’etichetta Reprise Records, posto al settantottesimo posto fra i cinquecento album migliori di tutti i tempi, secondo Rolling Stone.
Un uomo esigente e dal prevaricante gusto estetico, Stefano mi incuriosisce con una curiosità che non sapevo: il disco era pronto già nel 1971, ma venne pubblicato solo un anno dopo poiché Neil cercava la più appropriata copertina, disputa vinta dalla forma stilizzata del nome e nient’altro, ma in una carta molto pregiata in un cartone speciale fatto di cellulosa ottenuta da fibre d’avena.

Torno a casa dopo due giorni passati fuori, tra treni presi e affanni, taccuino sempre con me e quel sogno nel cassetto che – se solo avessi più coraggio, o solo più incoscienza – potrei tirare fuori a mio piacimento. Ne ho avuto un’occasione ghiotta proprio in questi giorni, ma un senso di inadeguatezza – o forse semplicemente istinto – mi ha fatto restare semplicemente sul ciglio della possibilità, ferma ad aspettare. Che poi del Dio Procrastinatesimo io sia la più agguerrita adepta, lo si sa. Insomma mentre disfo quel borsone che è diventato un po’ il riassunto della mia short bio, inizio ad indagarmi sul valore della musica, e delle persone. Nel corso della vita se ci va bene riusciamo a tracciare un sentiero, quello che seguiranno altre persone, figlie del nostro esempio o dei nostri consigli, saremo noi stessi a camminare in orme già segnate da altri prima di noi, ma quelle più segnanti saranno sempre quelle che – pochi eletti – riusciranno a marchiare a fuoco nelle nostre anime. Sono stati due giorni davvero impegnativi, tutto quello che vorrei questa sera è uscire, respirare l’aria dolce dell’ennesima estate in questa città, e guardare le stelle col naso all’insù all’Osservatorio Astronomico di Capodimonte, magari con la compagnia della scorsa puntata, mentre è intento nel suo sport preferito: spostare i miei (troppi) capelli sulla mia spalla, e sistemarli dietro l’orecchio. Vorrei, ma non posso. La stanchezza mi prevarica, e la quotidianità e le scadenze incombono, così accendo la radio, ad attendermi ci sono sempre i miei amici del mercoledì Rita Romano e Stefano de Asmundis di Radio Crc e il mio programma del cuore: “I Discopatici – Malati di Vinile, che oggi giunge alla sua ultima puntata di stagione.

Puntina sul disco, parte subito il primo brano del Lato A “Out on the Weekend”, traccia incisa a Nashville in aprile, si tratta di un brano dall’impianto sonoro acustico dominato dalla presenza dell’armonica a bocca suonata da Neil Young, che tratta il tema di un amore giunto al capolinea. Non è difficile rintracciare nella canzone echi autobiografici della fine del matrimonio dell’artista con la prima moglie Susan, con la quale si era da poco lasciato.

A proposito di amori, quello per il cibo e l’alcol che avete imparato a conoscere in questo viaggio vinilico non mi abbandona neanche stasera, così come so di aver mancato di dirvi dove sono. No, non c’è mistero, sono in cucina e tutto questo country targato Neil Young mi ha messo particolarmente appetito. Cosa sarebbe più azzeccato di un bel raduno di amici e un barbecue insieme? Nulla, ma stasera la fortuna non è dalla mia parte, così accendo la griglia e immaginando il Minnesota, arrostisco due costine di maiale e una marchigiana. Mentre loro cuociono, le parole di Neil scorrono e il battuto di olio, limone e rosmarino è pronto per lucidare la mia cena. E da cosa facciamo accompagnare ciò? “L’acqua può diventare anche una buona bevanda, se mescolata con malto e luppolo!”. Recita così un tipico proverbio tedesco, e io di Germania me ne intendo, essendo tedesca per metà. Stasera a coccolarmi, in assenza dei suddetti, ci penserà una  Doppelbock, croce e delizia del mio palato. Birra e cibo condividono alcuni sentori, ad esempio per il barbecue i malti caramellati di una birra ambrata o scura sono un ottimo “ponte. QuindiSalvator” della Paulaner is the way on this night.
Stappo la birra e intanto i primi due brani sono passati, siamo già aA Man Needs a Maid”, letteralmente “Un uomo ha bisogno di una domestica”, un brano particolarmente discutibile che è valso all’autore l’accusa di maschilismo. In realtà nelle sue parole Neil Young cela profonda insicurezza, ed esprime il bisogno di avere accanto una donna che si prenda cura di lui, nell’impossibilità che egli sente di riuscire a vivere una storia di lunga durata. Una donna forte che si addossi la responsabilità di amare per due, di avere attenzioni per due, di gioire per due. Il successivo brano invece pare abbia messo d’accordo tutti, e resta – insieme ad Old Man – uno dei capisaldi della storia musicale. È tempo di Heart of Gold”, in testa alle classifiche di mezzo mondo per tutto l’anno. Forse la più bella ballata dall’inizio della carriera di Neil Young, “Heart Of Gold” è il classico pezzo da ascoltare da soli o con una persona speciale, magari guardando fuori dal finestrino di un treno o guidando verso un tramonto estivo, o sotto quella coperta di stelle dove sognavo di essere in questo primo mercoledì di luglio. La pedal steel di Ben Keith, l’armonica, la chitarra acustica, e la magica voce di Neil Young si fondono in qualcosa di incredibilmente musicale e melodioso, una sensazione di pace interiore, qualcosa di profondamente catartico. E dopo questa valanga di emozioni, il classico momento scherzoso che ha caratterizzato ancheAfter The Goldrush“: “Are You Ready For The Country?“, un breve pezzo di chiusura di facciata A. La traccia è un country blues elettrico che gioca sui molteplici significati del suo titolo (in lingua inglese Are You Ready for the Country? può infatti voler dire “Sei pronto per la campagna?“, oppure “Sei pronto per il country?”, ma anche “Sei pronto per il tuo Paese?”) con il quale il cantautore canadese sembra voler ironicamente fare il verso alle campagne nazionalistiche dell’epoca mirate al reclutamento di nuovi soldati da spedire in Vietnam da parte del governo statunitense. Neil Young volle assolutamente che a suonare la slide guitar nel pezzo fosse Jack Nitzsche, poco pratico con tale strumento, donando al tutto un senso di precarietà con la sua esitante esecuzione.

Affacciata alla finestra di questa piccola cucina, con il naso immerso nella brezza serale e la mente sconfinata in una moltitudine di pensieri, esattamente come la donna immaginata da Neil nel brano timoroso, afferro le pinze e giro la mia cena. È tempo di Lato B anche per la mia grigliata. Do un sorso alla mia Paulaner e nel frattempo la puntina sta già strisciando nuovamente sul vinile, è l’ora di “Old Man”, altro singolo estratto che è un classico intramontabile di Neil Young. Un brano che mette a confronto due diverse generazioni, una più anziana ed una più giovane, dimostrando alla fine come i bisogni possano essere incredibilmente sempre gli stessi, ad ogni età. Il brano vede la partecipazione di James Taylor al banjo a sei corde (accordato come una chitarra) e ai cori del brano, come anche Linda Ronstadt. There’s a World” forse il pezzo meno riuscito dell’album – probabilmente a causa dei soliti arrangiamenti per orchestra di Jack Nietzsche. Il testo è di difficile interpretazione, ma sembra aprire uno spaccato più serio nel disco. Infatti il pezzo che segue è “Alabama“, inno antirazzista che va a fare coppia con “Southern Man” (da “After The Goldrush“) sul tema delle colpe dei sudisti in materia di schiavitù. Per il canadese l’Alabama si macchiò di crimini indelebili (“Alabama, you’ve got a weight on the shoulder that’s breaking your back, your cadillac has got a wheel in the ditch and a wheel on the track“). Il pezzo fu motivo di litigio con i Lynyrd Skynyrd, che successivamente difesero l’Alabama e i sudisti in “Sweet Home Alabama”.
La prima birra è andata, la carne sta iniziando a fare la sua crosticina e intanto dopo aver affettato il pane, lo aggiungo alla mia grigliata sulla stessa ardente pietra, ignorando che per me il pane è veleno, data la mia intolleranza al lievito, ma stasera è anarchia, anche culinaria. Mentre il profumo invade la mia cucina e i miei capelli, che mai come adesso andrebbero spostati, è il momento di
“The Needle and the Damage Done”, registrata dal vivo dal tecnico del suono Henry Lewy nel corso di un’esibizione alla UCLA Royce Hall di Los Angeles il 30 gennaio 1971, è una triste ballata folk acustica che tratta lo scottante tema dell’effetto distruttivo dell’eroina sulle persone. Il brano contiene specifici riferimenti a Danny Whitten, chitarrista dei Crazy Horse, la cui tossicodipendenza e conseguente morte ebbe un profondo effetto sulla personalità di Young condizionandone la creatività, l’emotività e la carriera negli anni a venire. Celeberrimo l’arpeggio alla chitarra acustica presente nell’introduzione del pezzo. “Words (Between the Lines of Age)” canzone piuttosto atipica rispetto al tono generale dell’album è Words: per quanto riguarda la struttura armonica, le strofe in un tempo inusuale a terzine (6/8 e 5/8) con un ritornello invece in un usuale 4/4 conferiscono al brano un fascino ammaliante. Words è inoltre un brano molto suggestivo, anche perché è costituito da una lunga dissertazione elettrica, un prolungato botta e risposta tra la chitarra di Neil Young (che si lancia in frequenti lancinati assoli) e il resto degli strumenti, contenente uno dei testi più surreali ed enigmatici mai scritti dal canadese, nel quale alcuni critici hanno voluto scorgere echi kafkiani. In realtà, lo stesso autore ha confidato come il brano sia da considerarsi la prima avvisaglia delle sue perplessità circa un rapporto sentimentale di lungo corso con Carrie Snodgress.
Quest’ultimo viaggio nel passato con Neil Young è giunto al termine, ma prima di lasciarci c’è il solito e felice ritorno al presente con l’ospite live in onda con i miei amici del mercoledì, questa settimana sono gli EPO, storica e autorevole band partenopea, impegnata in un tour estivo dopo la pubblicazione del singolo “Appriess’ e stelle” di questo inverno, che segna un giro di boa nella carriera della band che ha iniziato a scrivere in napoletano, e l’album sarà presto disponibile per tutti noi. Il regalo che Ciro Tuzzi e soci decidono di farci è una spettacolare versione di Heart Of Gold”e il singolo sopracitato.

Con un velo di malinconia mi appresto a chiudere questo pezzo e a spegnere la radio. Sono entrata in questa stanza stasera con un interrogativo, quello del valore che la musica ha per me. Fino a qualche mese fa non sapevo bene cosa davvero questa passione mi avrebbe condotta, e ho capito tardi da che parte bisognava andare: dalla parte dei desideri. Sono i desideri che ci salvano, non il dovere, l’onestà, l’essere buoni o giusti. No, sono i desideri e le passioni l’unica cosa vera. Tu stai con loro e ti salverai. Sappiate desiderare. In questa notte di stelle e di vento africano. Che siate seduti sugli scogli, affacciati sul mare, o nelle vostre quattro mura di casa. Che i desideri non hanno una forma, hanno bisogno solo di tanta intensità. E pazienza. Pure quella di sapere aspettare il momento giusto per sfoderare il plaid più bello e stenderlo a Capodimonte e guardare le stelle. Ma mentre aspettate non dimenticate di mettere la giusta colonna sonora ai vostri desideri, che non vorrete mica che mentre si realizzino a ricordare quel momento sia un brano di Calcutta? E imparate a dire “grazie”, come faccio io in questo momento, a Lorenzo che ha condiviso con me questo percorso, a Rita e Stefano per le lezioni di musica che hanno regalato alle nuove e – perché no – vecchie generazioni, a Radio Crc e a Inside Music per non trascurare mai queste belle iniziative.

Ci vediamo l’anno prossimo miei adorati lettori. In quali stanze vi condurrò? In quelle che la vita deciderà di mettermi a disposizione.

A cura di Fabiana Criscuolo

 

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