I Godspeed You! Black Emperor sono tornati dal Canada per due date a Roma e a Milano. Queste date fanno parte di una breve parentesi europea nel tour di presentazione del loro ultimo disco, Luciferian Towers, uscito lo scorso autunno.
Al Circolo Magnolia c’era l’ottetto al completo (senza considerare il proiezionista Philippe Léonard, che anche non suonando alcuno strumento è parte integrante del collettivo) comprendente anche un cameo di Tashi Dorji in veste di sassofonista, strumento insolito per il sound del gruppo.
La formazione era composta da due batterie, tre chitarre elettriche, un violino e due bassi (di cui un contrabbasso). Il grande muro di suono prodotto dal complesso risulta, infatti, dovuto alla quantità di esecutori sul palco, che di fatto risulta in una piccola orchestra.
Il concerto non ha un vero e proprio inizio. La lentezza è uno dei grandi pregi di questo gruppo, le cui composizioni evolvono in tempi geologici ma con un’inesorabilità tipica della deriva dei continenti. Dall’impianto inizia ad uscire un bordone molto basso e statico, una sorta di antipasto per le orecchie. Con una lentezza intenzionale questo bordone si fa sempre più invadente fino a che i primi musicisti iniziano a salire sul palco (senza alcuna cerimonia) e con i loro strumenti iniziano a creare stratificazioni su questo già grosso muro di suono: la montagna inizia a muoversi. Una volta cresciuto fino ad essere un boato assordante, entrano finalmente sul palco i percussionisti che portano questa unica nota che va avanti da milioni di anni alle intensità a cui i Godspeed ci hanno abituato. Con la formazione al completo ha inizio il primo vero pezzo del concerto, Mladic.
Le chitarre iniziano a lavorare come si deve, i suoni sono perfetti e distrutti al punto giusto. Le proiezioni colgono al meglio le suggestioni accennate dalla musica: zone industriali sovrapposte a disegni tecnici sovrapposte a case popolari accompagnano una musica che sembra a volte un incidente ferroviario e altre volte è invece carica di umanità. Il pezzo si evolve in maniera estremamente lenta finendo per creare una sensazione di straneamento e blocco temporale, come rivivere lo stesso momento infinite volte consecutivamente. Si arriva alla fine tra i fischi delle chitarre e gli applausi del pubblico, tornando al presente.
La seguente ora verrà dedicata alla presentazione di Luciferian Towers, suonato per intero, ma con i brani in un ordine diverso.
Bosses Hang inizia con il violino che introduce il tema portato da una chitarra al limite dell’esplosione anche se straordinariamente delicata. Quel tema, come è solito fare il gruppo, viene poi esteso e insistito fino a quando l’intero gruppo non arriva a suonare al massimo dell’intensità sopportabile dal corpo umano per poi allentare la tensione e ripartire con uguale lentezza. Negli ultimi pezzi il sassofono riesce ad incastrarsi bene nei momenti di maggiore intensità con degli assoli veramente spirituali. Insieme al sassofonista vediamo un cambio nel tema delle proiezioni, che si fanno più politiche, con scene da rivolte popolari e scontri con la polizia.
Dopo la fine del disco e gli applausi, torna un po’di rumore e uno dei chitarristi sussurra un paio di note, che non vengono immediatamente colte dal pubblico (io letteralmente non credevo alle mie orecchie ed ero paralizzato al pensiero di quello che stava per arrivare). Dopo molti lunghi secondi il chitarrista finisce la frase. Non ci sono più dubbi, è The Sad Mafioso, tratta dal loro primo disco risalente ad almeno 20 anni fa, F#A#∞. Il pubblico esplode. Per quest’unico pezzo le proiezioni sono a colori e a sfondo ancora più politico, per poi virare verso il rosso dopo pochi minuti. Il tema della chitarra cresce fino ad arrivare ai due accordi che hanno dato il nome al disco: FA# e LA#, suonati all’infinito e con intensità sempre maggiore. In questo modo, però, suonati infinite volte e ogni volta in modo più intenso, non si arriva a un punto dove i musicisti suonano al massimo e non è più possibile raggiungere intensità superiori? A quanto pare no. Ogni ripetizione spingeva più in alto il limite di sopportazione, ad ogni ripetizione mi dicevo “questa sarà l’ultima, non possono suonare più forte di così” per poi sbagliarmi. Ho rischiato l’infarto.
Arrivati al rullo strettissimo della batteria sapevo di essere vicino alla fine e mi sono pentito di tutti i peccati commessi. La fine è stata una rinascita. Il concerto finisce come è iniziato, con un bordone che nel corso degli anni si smorza, come una pietra che piano piano viene erosa dalle acque.
La fine è rossa come il sangue, la disperazione e la speranza. Esco da questo rituale come una persona migliore, la mia fede è rinnovata.
Lorenzo Leopardi
Scaletta:
Hope Drone
Mladic
Bosses Hang
Anthem for No State
Fam/Famine
Undoing a Luciferian Towers
The Sad Mafioso
Outro Loop

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