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Fabrizio De André – ricordando le sue parole

by InsideMusic
Fabrizio De André

Vent’anni fa, l’11 gennaio del 1999, moriva Fabrizio De André. Il prematuro decesso del cantautore nostrano lasciò e continua a lasciare, nel panorama nazionale, un grandissimo vuoto. Un vuoto non solo musicale ma anche, sotto molti aspetti, umano.

Faber lo abbiamo conosciuto e lo conosciamo tutt’oggi come il poeta dei minori e delle minoranze, degli oppressi. Il poeta dei sofferenti che, con la sua arte e la sua lirica romantica e allo stesso tempo tremendamente cinica riusciva a fotografare, in modo nitido e privo di veli, il mondo e le sue oscurità, le mediocrità dell’essere umano, le sue debolezze.

Così, anni e anni fa, il cantautore genovese narrava le avventure e disavventure dell’uomo finendo su temi oggi come non mai calzanti.

La resistenza delle minoranze raccontata in Quello che non ho, i figli della luna in Andrea, ovvero gli Omosessuali che, ancora oggi, sono oggetto di pesante discriminazioni nel mondo tutto e, in particolar modo, nel nostro non più così bel paese. O ancora il tema della guerra, come quella raccontata in Sidun, dove una madre Libanese tiene tra le sue braccia il figlio ucciso dalle bombe. Una guerra che, oggi, potrebbe essere il parallelo storico di quella Siriana, che in molti sembrano troppo spesso dimenticarsi con la stessa facilità con cui è facile dimenticarsi di quelle parti del mondo dove l’essere umano vive nelle più grandi difficoltà.

A quanto pare, però, solo la guerra sembra capace di ricordarci dell’esistenza dell’altro, un altro con cui poi siamo incapaci di empatizzare.

Così, sempre più vicini al chiudersi del primo ventennio del secolo ventuno, non possiamo non pensare a come un uomo come Faber sarebbe, oggi, quanto mai non utile ma necessario, per risvegliare i cuori intorpiditi delle persone che, nutrite di preconcetti, cattiveria, tendenze selfish social e uno sfrontato individualismo, si dimenticano troppo spesso che dall’altra parte della barricata vi è un altro essere umano.

Un’altra creatura vivente che, come noi, ha un cuore, una mente, una casa. Un’altra creatura che, come tutti noi, è nata e morirà da sola, ancor più in una simile epoca.

Fabrizio De André

Come poter ricordare a meglio, a vent’anni dalla sua morte, uno dei più grandi cantautori dell’Italia del secondo 900? Forse non con la musica. L’arte, ormai, è messaggio e strumento per pochi. Sempre meno concettuale, sempre più opzionale, scanzonata e disimpegnata.

L’arte di De André, in fondo, è sempre sotto ai nostri occhi. I suoi album, i suoi testi, le sue canzoni. Nei negozi di CD, nell’internet, Youtube, Spotify. La sua musica continua a vivere nel cuore di chi lo ha amato e così sarà per sempre.

Ciò che, ahimè, più facilmente sparisce, è il messaggio. Quindi, per ricordare al meglio Fabrizio De André, forse noi tutti dovremmo ricordarci del nostro prossimo, dovremmo ricordarci che anche l’ingiustamente emarginato è e sarà sempre un nostro pari. Per celebrare Faber, forse, la cosa migliore potrebbe essere un gesto, semplice, nei confronti di chi ha bisogno.

Perché dopo molte glaciazioni, dopo una guerra fredda, il nuovo grande freddo è quello dei cuori umani che, mentre il sole splende alto, ci sta congelando, giorno dopo giorno. Serve allora l’amore, serve il ricordo, serve l’attenzione. Un abbraccio, una carezza, una parola di conforto, un pasto caldo offerto ai bisognosi, una storia raccontata ad un bambino, una coperta calda a coloro che, di notte, congelano per soddisfare gli istinti di chi si definisce umano ma permane animale.

Questi e molti altri piccoli gesti possono costituire le singole lettere che vanno a comporre il grande messaggio. Quel mosaico che, una volta composto, rappresenterà il solo modo veramente degno per ricordare l’arte di Fabrizio De André, in arte Faber, morto, ad oggi inutilmente, l’11 Gennaio del 1999.

 

Lorenzo Natali

 

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