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M¥SS KETA: “PAPRIKA”, diario di una conferenza stampa

by Antonio Sartori
Myss Keta

Mercoledì 27 Marzo siamo stati alla presentazione del nuovo psichedelico album di M¥SS KETA: “PAPRIKA”, in uscita venerdì 29 Marzo e anticipato dai singoli “MAIN BITCH” e “PAZZESKA” ft. Gué Pequeno

L’album è uscito per Island/Universal Music Italia, prodotto da RIVA, scritto da M¥SS KETA, Dario Pigato e Simone Rovellini e arricchito da 3 remix e numerose collaborazioni (Gué Pequeno, Wayne Santana, Gemitaiz, Quentin40, Luchè, Mahmood, Elodie, Joan Thiele, Priestess, Populous, Gabry Ponte e Cacao Mental).

Myss Keta

Ciao M¥SS, quasi un anno fa usciva “UNA VITA IN CAPSLOCK”, album che hai definito come la tua Divina Commedia. Se l’album precedente era quindi una discesa negli inferi, questo che cos’è?

È vero, l’album precedente era una sorta di discesa negli inferi interiori, “UNA VITA IN CAPSLOCK” era un album che guardava all’interno, sia nelle tematiche che nelle sonorità. Al contrario, “PAPRIKA” guarda all’esterno, abbandona alcune sonorità claustrofobiche a favore di suoni più contemporanei (come ad esempio la ripresa del future pop tipicamente M¥SSKETIANO), pur mantenendo melodie di partenza Old School e R’n’B.
Questa apertura musicale fra l’altro si rispecchia pienamente nell’elevato numero di featuring presenti nell’album, molto vari fra loro, che hanno arricchito grandemente il progetto.

Il dato quindi è che questo album presenti delle sonorità più variegate e forse più mature. La domanda è: è cambiato qualcosa nel processo creativo?

No, non ci son stati grossi capovolgimenti, semplicemente si cresce e col tempo ci si affina.
Il processo creativo è rimasto lo stesso: bisogna capire la direzione che si vuole dare al brano, e poi i beat vengono da sé. In questo caso ad esempio eravamo alla ricerca di un mondo esterno, di sonorità colorate, e in tal senso ci siamo ispirati molto a sonorità più esotiche, mediorientali sudamericane… anche se di fatto l’ispirazione non giunge mai nitida, è sempre spuria, densa di tanti elementi, e poi viene mediata dal filtro M¥SSKETIANO.
Il più grosso cambiamento è stato dato dalla collaborazione con altri artisti, è stata un’occasione stupenda per osservare modi diversi di lavorare, imparare nuove cose e crescere, anche tecnicamente.

Durante la conferenza stampa per la presentazione di “UNA VITA IN CAPSLOCK”, l’anno scorso, le risposte ai vari giornalisti erano sistematicamente ironiche. Adesso non è più così: cos’è cambiato? Stai pian piano “uscendo” dal personaggio o il personaggio stesso si sta evolvendo in modo meno ironico e forse più sincero?

Non credo che l’ironia e la sincerità siano due sentieri distinti. È chiaro che M¥SS e tutto il Motel (ndr. Motel Forlanini) siano due progetti in evoluzione, sia artistica che tecnica, ma l’ironia e la satira rimangono -e rimarranno sempre- due elementi fondamentali.
Semplicemente tengo molto al progetto, e il dover rispondere alle domande su un lavoro finito da poco mi obbliga a riflettere sul progetto stesso, le varie domande mi aiutano ad aggiungere alcuni ragionamenti ed elementi interpretativi, ed è per questo che trovo utile ragionarci in maniera seria.

Può darsi però che il tuo ascolto ad oggi sia comunque meno ironico?

È quello che mi auspico. È palese che l’ironia sia fondamentale nel mio percorso, ma sono molto contenta del fatto che adesso si cominci a vedere anche qualcosa oltre, proprio perché c’è sempre stato un lavoro serio e strutturato dietro.

La copertina dell’album precedente era molto iconica, ma tu avevi fornito una forte chiave interpretativa. La copertina di “PAPRIKA” è un chiaro riferimento a Tinto Brass, una citazione a tutto quel genere cinematografico: anche per questa copertina c’è un messaggio più profondo dietro?

Certo: amo gli affettati (ndr, ride).
Parlando seriamente, c’è un grande lavoro estetico dietro, ma il significato simbolico è quello di una M¥SS pienamente consapevole del proprio corpo, una M¥SS forte, ma sempre con un’accezione M¥SSKETIANA, dove prendersi sul serio e fare autoironia sono due aspetti inscindibili.
Ho voluto attuare una riflessione sulla potenza del corpo femminile e della sua immagine, una forza primitiva, generatrice, quasi archetipica. E poi, viva la Mortadella!

Un paio di anni fa hai partecipato al Red Bull Culture Clash: io ero lì fra la folla e mi ricordo che -nonostante il vostro palco fosse il più colorato e vivace- solo una piccola fetta del pubblico apprezzò a pieno la vostra performance. Credi che ad oggi sia cambiato qualcosa nel modo di percepirti e ascoltarti negli ascoltatori della scena rap attuale?

È vero, sono stata al Culture Clash, e tutt’ora ricordo quell’esperienza come una delle più difficili e allo stesso tempo formative del mio percorso musicale. Il pubblico del Culture Clash è un pubblico molto difficile, e ai tempi avevo meno esperienza, le mie performance erano più “selvatiche”.
Per fare un paragone con “PAPRIKA”, è stata un’esperienza fondamentale per aprirsi musicalmente e confrontarsi con artisti molto differenti fra loro, una grande occasione per imparare.
Nel frattempo sono cresciuta molto, la mia maturità artistica e musicale è nettamente superiore -sia in studio che nei live- e può darsi che questo abbia influito nella maniera in cui vengo percepita attualmente dagli ascoltatori di rap.

Può darsi che il prepotente avvento della Trap abbia aiutato in questo senso ad “aprire” le orecchie degli ascoltatori?

Sicuramente sì, la Trap e l’apertura a nuove sonorità sono dei chiari segnali del fatto che la scena rap italiana si stia evolvendo, e in tal senso l’influenza di Achille Lauro è evidente: tutto il suo lavoro di ricerca relativo alla Samba Trap, ma non solo, e la sua enorme capacità comunicativa son stati elementi fondamentali che hanno cambiato profondamente il modo di porsi musicalmente da parte di quasi tutta la scena rap attuale.

Tu fai dell’eccesso una delle tue caratteristiche principali.
Per fare fare un paragone con l’arte moderna, molti critici ad oggi ritengono che l’eccesso non sia più tale, ma anzi sia parte integrante e fondamentale per il sistema.
Tu credi che l’eccesso possa avere ancora un valore scioccante -soprattutto in un hummus culturale arretrato come quello italiano- o ormai è solo routine?

M¥SS KETA nasce dall’eccesso, vive per l’eccesso e comunica in modo eccessivo, sono portatrice di ironia, prorompenza, aggressività, ma è semplicemente il mio modo d’essere.
Sono fatta così, o tutto o niente, il mio obbiettivo non è shockare, non credo nella creazione artificiosa e artificiale dello shock e dello stupore: semplicemente è il mio modo naturale di espressione, sono naturalmente eccessiva.

All’interno della scena rap italiana, le donne sono oggettivamente meno considerate di molti rapper maschi al di là di quelli che sono i meriti effettivi, mi viene da pensare ad esempio a Priestess e Chadia, oltre che a te. Qual è l’origine di questo problema? Quale potrebbe essere la soluzione?

È vero, purtroppo è così: il problema c’è e si chiama patriarcato. Viviamo in un mondo interamente costruito su riferimenti culturali maschili, ai maschi è stata sempre data molta possibilità di esprimere e parlare, spesso a nome anche delle donne, mentre si ha l’impressione totalmente errata che le donne possano parlare solamente alle donne.
È colpa di questa visione distorta e ingiusta se molte artiste donne, in Italia e nel mondo, fanno molta più fatica ad arrivare allo stesso livello di visibilità e considerazione di molti artisti maschi che in certi casi ne meriterebbero di meno, considerando puramente i meriti.
L’unico modo per superare questa situazione è lottare ogni giorno, supportarsi a vicenda e diffondere il più possibile una visione che porti a considerare gli artisti SOLO artisticamente.

In questo senso, quanto credi sia pesante il legame a doppio filo che corre fra Maschilismo e Rap? E come è possibile che questo tipo di linguaggio sia presente in parte anche in alcuni deo featuring del disco? Come si possono conciliare le due cose?

Il legame fra patriarcato e Rap è un tema reale, che meriterebbe di essere discusso in università.
Per quel che riguarda il mio album, io credo fermamente nella libertà di espressione, pertanto ho dato completa carta bianca agli artisti che ho ospitato nei featuring: ognuno ha il proprio stile, il proprio linguaggio, la propria espressività ed è giusto che si possano esprimere nella libertà più totale.
Senza considerare che i brani contenenti un featuring sono ascoltati anche dalla base che ascolta gli artisti presenti nel featuring, e non solo dalla mia: in questo senso è un’ottima occasione per diffondere anche al di fuori di quello che sarebbe il mio raggio di influenza abituale una serie di tematiche e approcci queer e femministi, propriamente M¥SSKETIANI. Detto ciò, conosco personalmente tutti gli artisti che hanno collaborato al disco e posso garantire un loro profondo rispetto per me e per le donne in generale, per cui molto spesso non è da eslcudere che ci sia anche un intento volutamente ironico.

Le tue sonorità sono molto internazionali, si aprono a tante influenze diverse, ma non credi che la componente marcatamente ironica dei tuoi testi in italiano possa essere un limite per la tua ricezione e popolarità all’estero?

Nei miei concerti all’estero la maggior parte delle volte la platea è composta principalmente da pubblico Italiano, e questo sicuramente aiuta, ma penso che anche nel caso di pubblico a maggioranza “straniera” il messaggio arrivi comunque, ed è quello che ad esempio ho percepito durante l’importantissima esperienza al Berghein di Berlino.
Una live performance vive anche di componenti fisiche ed energetiche, per cui credo che per uno straniero sia più semplice comprendere il messaggio durante un live rispetto al semplice ascolto del disco: c’è una sorta di aspetto primordiale, istintivo, che unisce l’artista con chi ascolta durante un live, durante la performance si parla nella lingua universale dell’amore.

La crescita di popolarità porta sempre con sé anche una crescita di hater: come vivi l’amore e l’odio crescenti che ti sono arrivati durante l’ultimo periodo?

L’amore ricevuto è in assoluto una delle cose che più mi rendono felice, forse l’aspetto più bello di un progetto del genere.
Per quel che riguarda l’hating: io non scelgo di essere divisiva, può darsi che il mio linguaggio spontaneo e assieme provocatorio sia polarizzante, ma al contrario io cerco sempre il dialogo e l’amore.
La presenza degli hater è un fenomeno naturale, è giusto che ci siano; ciò che è invece molto sbagliato è la crescita costante di odio e di un tipo di hating poco costruttivo: far discutere è sano, criticare in maniera superificale è deleterio e non fa piacere a nessuno. Soprattutto oggi ci sarebbe bisogno di più riflessione e di più amore, queste situazioni di odio incondizionato andrebbero debellate.

Durante questa intervista è emersa una grande attenzione nei confronti del suono: nel tuo processo creativo è piu rilevante la musica o il testo ai fini puramente espressivi?

Non credo si possa parlare di rilevanza, i due aspetti si complementano a vicenda, si chiamano: la musica parla, così come i testi, anche se con modalità diverse.
Le basi musicali rendono un mondo sempre diverso, le storie vengono fuori grazie alla musica ma sono già tutte presenti in uno stato embrionale.
Il mio linguaggio procede per immagini, il ché lo rende universale e inevitabilmente legato ai vari mood musicali.

Parli spesso di immagini, il tuo linguaggio si rifà molto a vari riferimenti visivi: cosa li unisce tutti? Solamente un gusto estetico?

Sicuramente c’è un fil rouge, con tutto il Motel abbiamo creato un mondo, un modo di vedere comune che ha portato con sé necessariamente un gusto estetico comune.

La tua musica presenta alcune caratteristiche proprie della trap -come ad esempio una serie di tematiche incentrate appunto sull’eccesso, su quel mondo notturno e un po’ oscuro, fatto anche di droga e sesso- e dall’altra parte altre prerogative tipiche della musica indie -come l’aspetto marcatamente ironico e la ricerca di storytelling.
Di fronte a queste due macrocategorie che si stanno diffondendo fra i giovani, tu dove ti inserisci?

È come se fossi una outsider di entrambe, ma allo stesso tempo fossi “In lista” per entrambi i generi. Personalmente non sono una grande divoratrice né di Indie né di Trap, ma ricerco e apprezzo molto tutte quelle canzoni capaci di fornire una prospettiva differente dalla norma, capaci di innovare, sia nella scrittura che nella musica.
Per quel che riguarda la mia musica, ci sono sicuramente degli elementi in comune, ma c’è anche tanta elettronica: noi siamo sempre andati dritti per la nostra strada, M¥SS è M¥SS, mi piace molto confrontarmi e comunicare ma il mio stile di fondo è rimasto e rimarrà sempre lo stesso.
Senza offesa né cattiveria, lo sforzo di categorizzarmi lo lascio volentieri agli altri.

Infine, una curiosità: qual è il tuo rapporto con Mahmood (presente nel tuo brano “FA PAURA PERCHÉ È VERO”)? Il featuring è nato prima della sua vittoria a Sanremo?

Mahmood è un amico e una persona speciale, la canzone è nata prima di Sanremo perché noi due ci conoscevamo di persona già da tempo. Il brano è in assoluto il più intimo del disco, e questo proprio grazie al bellissimo rapporto che abbiamo: artisticamente siamo molto distanti, ma umanamente e personalmente mi sento molto vicina a lui.

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