Susanna Parigi è sicuramente una delle artiste più poliedriche e profonde del panorama musicale italiano, la cui vita è dedicata all’arte a tutto tondo, tra musica e teatro, declinati nei vari ruoli di cantante, autrice e scrittrice.
Il suo decimo album s’intitola “Caro m’è ‘l Sonno”, nel quale la cantante fiorentina ha deciso di sondare in profondità aspetti umani e comportamentali di questi tempi di difficile lettura.
Un compito per niente facile quello che Susanna Parigi ha scelto, ma che è riuscita a portare avanti con coerenza nella scrittura dei testi, densi di significato e desiderosi di risposte a domande che (a volte) non ne hanno ma che le richiedono, urgentemente.
Ad impreziosire questo lavoro inoltre c’è la mano del produttore Taketo Gohara, cui è spettato il compito di innestare respiro e profondità sonora a un disco consapevole e lucido, con aperture musicali struggenti, come ci racconta in questa intervista.
“Caro m’è ‘l Sonno” è dedicato a chi si sente invisibile per vari aspetti. Da cosa nasce l’esigenza di dar voce a chi non ne ha, a temi di cui non si parla volentieri?
Non è dedicato agli “invisibili” per come si intendono di solito, cioè persone ai margini, persone che spesso non hanno cultura né mezzi, è dedicato a chi si sente spaesato, disorientato, a chi non si riconosce in questo sistema.
Anzi, queste sono spesso persone che hanno notevole capacità di giudizio e proprio per questo non si ritrovano nella politica senza contenuti degli slogan, non si ritrovano in una comunità senza comunicazione, nella forma litigiosa e arrogante dell’apparire, tanto per portare qualche esempio.
Il titolo che hai scelto per questo album è tratto da una quartina di Michelangelo (Rime 247). La medicina a questa “vergogna”, come la chiama lui, è rappresentata dalla sete di conoscenza. Come si può stimolare questa curiosità nei più giovani?
Più che sete di conoscenza la chiamerei capacità di analisi, volontà di passare al setaccio tutte le informazioni che arrivano dai mezzi di comunicazione e non dare niente per scontato.
Riguardo ai più giovani credo sia un lavoro che dovrebbe svolgere la scuola e la famiglia, ma la famiglia spesso è assente e oggi è poco abituata ad educare, lascia correre e la scuola è una scuola di informazione e non di formazione.
Nel ritornello “Io sono il meno” dici: “La somma è come una croce al petto, la sottrazione come un taglio netto”. Cosa è per te quel “meno” e talvolta può anche portare a qualcosa di positivo?
Il segno meno distrugge, non crea. Sottrae tutto quello che può costruire senso. Ecco cos’è il grande “meno”, la grande “sottrazione” che porta sempre più giovani a problemi psichici, vittime di una comunicazione senza comunità.
Naturalmente esiste un’altra faccia del segno meno, di cui non parlo in questo brano, ed è la diminuzione dell’eccesso.
Questo è quello che dovremo mettere in atto per forza, altrimenti le generazioni future non potranno più abitare questo pianeta.
La naturale contrapposizione del “meno” è il “più”. Di quali “più” avrebbe bisogno il mondo?
In un certo senso ho risposto prima. Secondo me l’unico vero valore sono i rapporti.
Dove i rapporti vengono disintegrati, dalla fretta, dalla superficialità, dall’abuso dei social, dove c’è un cicaleggio continuo che toglie alle parole il loro vero significato, viene a mancare un appoggio fondamentale.
Quindi direi che i miei “più” sono le relazioni, il senso di comunità, la condivisione, la cultura, la cura delle parole che sono poi quelle con cui comunichiamo. In altro modo siamo persi
Le percussioni segnano l’incedere di questo album, quasi a riportare l’attenzione sul respiro e sul battito del cuore, non solo dell’uomo ma della terra stessa. È così?
Sì le percussioni per me erano molto importanti in questo album.
Volevo che fossero tribali, quasi a riportare a terra il mondo onirico del mio pianoforte, e poi anche perché volevo che si avesse la sensazione non certo di resa ma di consapevolezza e determinazione.
Infatti il “sonno” di Michelangelo non è certo nichilismo ma voglia di trasformazione e cambiamento. Quindi partecipazione.
Per ogni cosa c’è un posto
ma quello della meraviglia
è solo un po’ più nascosto
(Niccolò Fabi)