Nasce a Palermo, in questo periodo di crisi per il mondo dello spettacolo, il progetto fotografico Voglio Esistere in Quanto…ideato dal fotografo ed artista
Giuseppe Mazzola, in collaborazione con l’attrice e scrittrice Francesca Picciurro e Marco Cangelosi, produttore, musicista e sound designer.
L’idea è quella di dare voce e volto a tutti gli operatori dello spettacolo, attraverso il focus del foto ritratto.
La fotografia è stata scelta come arte messa a servizio di chi, con l’arte, lavora e chiede a gran voce il riconoscimento della dignità che merita.
Lo slogan evidenzia la necessità primaria di tutela dei lavoratori dello spettacolo che con il DPCM del 24 ottobre 2020 sono stati collocati nella categoria dei Non indispensabili.
Proprio per ribadire che ogni lavoratore ha una sua dignità, è stato scelto di utilizzare delle foto in cui il soggetto appare in primo piano o a mezzo busto,
con in evidenza lo slogan e la categoria alla quale appartiene e nella quale svolge la sua attività.
Abbiamo rivolto qualche domanda ai tre giovani promotori di questa particolare iniziativa fotografica.

Giuseppe, perché hai deciso di ritrarre proprio i lavoratori del mondo dello spettacolo? In che modo sei coinvolto?
Sono un fotografo dello spettacolo, perché l’ho sempre amato. Sono spesso in giro per concerti, mi sono ritrovato a fare il fotografo per indole e ho cercato di unire le cose.
Questa condizione di precarietà la sto vivendo anch’io, perché tutte le volte che uno spettacolo viene annullato o che una compagnia annulla un evento o un concerto salta, anche io non lavoro.
Inoltre subentra anche un aspetto empatico e sensibile.
Se vivi d’arte, vivi questa condizione di assenza. Rispetto a un attore sul quale si è spento il riflettore, il mio strumento, il mio linguaggio, non viene mai spento, a meno che non decida io
di farlo. Ho deciso di rendermi utile perché se vengono spenti i riflettori, se nessuno dà loro voce, nessuno li ascolterà. Poi mi son chiesto: come li posso far comunicare? Realizzando una serie di ritratti.
Quale è la finalità del progetto?
Quando decidi di essere un fotografo a tempo pieno e il 90% del tuo lavoro è dedicato allo spettacolo, ti rendi conto che la luce spenta sull’attore è spenta anche su di te;
l’unica differenza è che io ho scelto di stare sotto il palco o dietro le quinte.
Io, rispetto all’artista, ho uno strumento come la fotografia, che non si può mettere a tacere e sarei stato un vigliacco a rimanere a casa a non far nulla, senza mettere a disposizione la mia arte.
Non ho fatto nulla di diverso da chi scende in piazza e lotta.
Può aderire chiunque?
È un progetto indirizzato a tutti e che non avrà fine finché la tutela non sarà garantita a tutti. Adesso il problema è stato sollevato e non si può più negare.
Non ci sono limiti di tempo o costi per chi si fa ritrarre e spero di poterlo esportare in futuro nel resto della Sicilia e perché no, anche in tutta Italia, come se fosse un tour, magari con l’aiuto di qualche collega.
Perché hai scelto il bianco e nero per i tuoi scatti?
Secondo me il colore, in questo caso, non serviva, volendo realizzare dei ritratti non retorici. Non volevo raccontare l’artista nella ovvietà della performance, a meno che non fosse identificabile dallo strumento o dal modo di vestire.
Volevo raccontare la persona in quanto esistente, infatti lo slogan Voglio esistere in quanto… pone il focus proprio su questo concetto, di conseguenza per me il colore era davvero un sovrappiù. L’espressione, la carica emotiva e lo stato d’animo passano dalla postura e dall’espressione; quindi ridurre tutta la scrittura di luce o ombra era la sintesi perfetta.
Ho cercato di rifarmi al concetto del sonoro di Charlie Chaplin: lui sosteneva che malgrado per il film avesse scritto il copione in realtà non gli serviva la parola perché era tutta nel gesto.
Volevo ottenere l’impatto e allora ho spogliato tutti da vestiti, trucchi, colore e ho lasciato spazio alle presenze e al bianco e nero.
Francesca, tu sei un’attrice, quale è il tuo ruolo all’interno del progetto e quale il motore che ti ha spinto a prendere parte all’iniziativa?
Per il progetto mi sto occupando della comunicazione e delle pubbliche relazioni; sono io a contattare le persone e a gestire gli appuntamenti. Conosco tanta gente nel panorama artistico
della città (per il momento stiamo lavorando solo con persone che vivono a Palermo) ma l’idea è quella di espanderlo quanto più possibile:
si pensa anche di fotografare operatori e lavoratori del mondo dello spettacolo fuori dalla Sicilia.
Quello che mi piace è che si sta facendo emergere un’unione senza precedenti tra gli artisti e coloro che vivono nel mondo dello spettacolo, al punto che, diverse persone, sono anche per me un grande arricchimento.
Mi auguro che questo progetto non sia fine a se stesso, ma prosegua, senza limiti temporali.
Probabilmente il mondo dello spettacolo non si era fatto sentire così tanto fino al momento in cui ha ricevuto delle limitazioni totali.
Ora si sta ottenendo maggiore attenzione e bisogna tenerla viva.
Purtroppo il nostro è un settore sottovalutato, spesso legato al divertimento, e non si pensa al fatto che dietro qualsiasi rappresentazione ci sono dei sacrifici, oltre all’investimento di tempo e di denaro.
Un lavoratore dello spettacolo non ha nulla in meno rispetto a qualsiasi altro lavoratore e per questo gli va restituita la sua dignità.
Quante persone avete già coinvolto nel progetto?
In dieci giorni Giuseppe ha fotografato circa 100 persone, ma sono forse un decimo rispetto a quelle che nella sola Palermo lavorano nel mondo dello spettacolo.
La più grande soddisfazione per noi è ricevere delle chiamate di ringraziamento e di apprezzamento per il lavoro che stiamo svolgendo, soprattutto per Giuseppe,
che sa sempre mettere a proprio agio le persone davanti all’obiettivo.
Marco, ti occupi della parte relativa alla promozione del progetto, come sei stato coinvolto?
Ho un piccolo studio di registrazione, una piccola label e una scuola dove cerchiamo di dare il nostro contributo a chi vuole esprimersi attraverso la musica e poi lavoro nell’ambito
dell’organizzazione di concerti, festival e rassegne, quindi mi sono sentito toccato in prima persona. È stato un intreccio di idee: infatti, con il mio team, stiamo organizzando una rassegna di musica nata durante l’epidemia e volevo proporre a Giuseppe di partecipare in
qualità di fotografo. Parlando, è emerso che stavamo lavorando concettualmente a un progetto analogo, per cui ho accettato di collaborare al suo dato che mi occupo anche di comunicazione.
Insieme abbiamo scelto il messaggio che deve arrivare e cioè che gli operatori dell’arte sono sempre stati penalizzati. Il concetto era puntare i riflettori sui soggetti che portano avanti
l’arte, senza distinzione di ruoli, e poter dare loro la possibilità di essere riconosciuti come lavoratori a servizio dell’arte. Più avanti vorremmo fare anche delle interviste per poter dare
anche voce a questi operatori dello spettacolo; è un progetto in divenire.
Chi vuol farsi fotografare può contattarvi attraverso i social?
Al momento stiamo lavorando su contatti diretti, coinvolgendo artisti, musicisti, attori, ballerini che poi spargono la voce; successivamente partirà un a call sul web per far sì che le persone si possano riconoscere e ci contattino per essere fotografati.
A cura di Alessia Andreon
